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Geopolitica di internet. Attacco alla rete. Se l’Europa ci fosse potrebbe difendere il network e sé stessa

Huawei ha una proposta per il pianeta: cambiare l’architettura di internet. Lo riporta il Financial Times che ha visto la presentazione del progetto proposto dalla delegazione dell’azienda cinese all’Ito di Ginevra in settembre con il quale si argomenta intorno all’opportuità di creare un nuovo standard sulla base del quale definire il protocollo che fa funzionare la rete. Un gruppo di studiosi britannici ha analizzato la proposta e valutato che si tratta di un modo per centralizzare ulteriormente la rete, rendendo più facile per gli stati di controllare capillarmente il comportamento delle persone che la usano. A quanto pare, i cinesi sono sostenuti dai russi e dai sauditi in questa proposta. (FT: China and Huawei propose reinvention of the internet; il pezzo contiene anche un documento che spiega tecnicamente la proposta cinese – Inside China’s controversial mission to reinvent the internet).

È evidente che occorre rendersi conto di quello che sta succedendo. Senza falsi miti. E con un’idea strategica in mente.

La Cina sta conducendo un attacco generalizzato per rendere il sistema di gestione della globalizzazione più compatibile con il suo sistema di gestione interno. Il che è precisamente quello che hanno fatto gli Stati Uniti negli anni Novanta. Il problema della Cina è che negli anni Novanta gli Stati Uniti erano praticamente gli unici ad avere una strategia globale. Oggi c’è una pletora di poli di potere con una strategia globale: Cina, Russia, Arabia Saudita, Iran, Usa, oltre ad alcuni enormi poli regionali come Brasile, Sudafrica, India. L’Europa, se esistesse, sarebbe certamente adatta a stare nel primo gruppo, mentre i suoi stati membri al massimo possono aspirare a essere nel secondo gruppo.

La proposta della Cina è fortemente tecnologica, in apparenza. La chiamano New IP e deve servire per riconfigurare una rete di reti che attualmente si stanno separando tecnologicamente (satelliti, mobili, privati, iot e altro) e che si trovano di fronte a sfide complesse come quelle poste dalle auto senza guidatore o dalle altre macchine che devono parlare con altre macchine. In realtà, i critici vedono nell’architettura cinese la plastica rappresentazione della visione centralistica del mondo che viene portata avanti dal paese asiatico e la fine dell’internet che consente di innovare senza chiedere il permesso. La stessa Russia ha adottato le tecnologie cinesi per implementare il controllo capillare della rete interna deciso in novembre scorso, che consente tra l’altro al paese di separare la sua rete dal resto del mondo. I critici del mondo attuale peraltro non mancano: lo stesso Tim Berners-Lee, creatore del web, è deluso dalla piega che ha preso la rete in Occidente. Invece di un’architettura distribuita e di una risorsa comune, la rete è diventata il territorio di caccia di una manciata di mega aziende che accumulano potere e ricchezza senza lasciare molto spazio agli innovatori indipendenti. Il contributo di Edward Snowden alla conoscenza su come stanno le cose non può essere passato invano: le agenzie Usa fanno uso spregiudicato della rete per sorvegliare i cittadini americani e gli stranieri. Nel frattempo il caso Cambridge Analytica ha dimostrato che la politica americana non si fa scrupoli a sua volta per manipolare quel che resta dell’opinione pubblica, come peraltro fanno i partiti che vogliono farlo in tutto l’Occidente. E il libro di Shoshana Zuboff ha reso più popolare il dibattito sulla sorveglianza condotta col mezzo della rete. E gli importanti lavori di Laura DeNardis hanno mostrato come sulla rete si conduca la principale battaglia geopolitica del momento.

Insomma. Internet ha conquistato a suo tempo le coscienze degli innovatori in Occidente. Ha deluso quelli che avevano creduto che fosse una forza di rinnovamento culturale profonda: è stata invece usata dal capitalismo per rigenerare il suo potere globale. I cinesi vogliono replicare il percorso: e non si vede perché non dovrebbero tentare questa strada in un’epoca in cui vedono l’opportunità di redistribuire il potere globale a loro favore. Gli stati autoritari li seguono. L’America non sembra in grado di difendere la libertà di internet, avendo tra l’altro abolito la neutralità della rete, e forse neppure la propria egemonia.

C’è solo l’Europa a poter dire qualcosa di diverso. L’Europa che non ha altro potere che non sia la sua ricchezza e cultura potrebbe rappresentare un’alternativa orientata ai diritti umani, all’intelligenza comunitaria, all’architettura della rete adatta a una forma di innovazione coraggiosa e dotata di un senso, favorevole alla sostenibilità, all’inclusione, alla qualità culturale. Non è solo una strategia per fare il bene: è una strategia per fare bene, cioè per avere una strada di crescita economica in un mondo nel quale la competizione economica si gioca ormai spudoratamente anche con le regole della geopolitica.

Ma l’Europa si comporta in modo strano. Se sceglie di lasciarsi spezzare dal coronavirus, se gli stati del Sud saranno costretti a subire la visione ristretta degli stati del Nord, anche questi ultimi perderanno una delle chance geopolitiche fondamentali per il loro futuro. Gli europei possono vincere solo insieme. L’interesse di tutti è l’interesse di ciascuno. Qualcunque problema di rete, dall’internet del futuro all’epidemia del presente, si affronta meglio con una strategia “win-win”. Se gli olandesi o gli austriaci si limitano a opporsi alle proposte di Francia e Italia invece che proporre alternative migliori, in questa fase, perdono il loro tradizionale ruolo: non sono più lungimiranti e diventano cicale.

Photo by Robynne Hu on Unsplash

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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