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Elon Musk, libertà di espressione, rispetto della diversità, regole sociali e labirinti morali. Con tre libri per discutere i preconcetti

Elon Musk alla fine si prende Twitter. È l’occasione di riparlare di libertà di espressione. Non solo per condannare chi vieta l’espressione libera e non solo per osservare che di quel diritto si può anche abusare. Citiamo anche i casi in cui quella libertà fondamentale viene messa in discussione per via di autocensura.

In questo post commento il tema della libertà di espressione e segnalo tre libri che toccano un aspetto laterale ma non secondario di questo diritto fondamentale, il politically correct. Tema che dovrebbe uniformare il linguaggio a regole che evitino di offendere, ma che paradossalmente è difficile da affrontare senza generare controversie. 


«Sono un assolutista della libertà di espressione» diceva Elon Musk presentando le motivazioni del suo interesse a comprare Twitter. Da allora ha fatto in tempo a cambiare idea su tutto più volte. Alla fine ha effettivamente comprato Twitter per 44 miliardi di dollari. Ma non è più un assolutista della libertà di espressione. Agli inserzionisti pubblicitari Musk ha detto nei giorni scorsi che Twitter sarà il posto migliore dove investire, perché i discorsi che vi si faranno saranno mantenuti a un buon livello di decenza e qualità: Twitter non diventerà la cloaca di tutte le violenze verbali che vengono in mente agli amanti del genere. Se ne deduce, appunto, che la libertà di espressione non è più un valore assoluto, ma relativo: alla legge, alla decenza, al business.

Chiosiamo dunque su questo argomento.

Del resto, chi ci pensa un poco sa che i diritti – come la privacy, la libertà di espressione, la sicurezza – si devono perseguire coltivando una mentalità equilibrata e contemperando le esigenze diverse di molte persone. Un esempio tra mille si trova andando a vedere che cosa succede nel terribile mondo dei discorsi di istigazione all’odio: la libertà di espressione di chi vuole dire che odia indimidisce le vittime tanto da indurle spesso a ridunciare alla loro libertà di espressione, per evitare di entrare nel mirino dei violenti. 

Nella ricerca di questo equilibrio, insomma, la libertà di espressione si trova da un lato a confrontarsi con chi tenta di vietarla e dall’altro con chi ne abusa. La vietano in molti paesi del mondo anche per salvaguardare il potere politico che sarebbe spesso il bersaglio dell’odio. La vietano alcune piattaforme che bloccano automaticamente chi si esprime usando certe parole. Ne abusano coloro che odiano, appunto, oppure quelli che mettono in circolazione notizie false o quelli che cercano l’attenzione con mezzucci retorici, fotografici, titolistici di qualsiasi genere che fanno perdere tempo. Forse si può dire che ne abusano anche le piattaforme che incentivano la pubblicazione di messaggi – di testo in video – che attirano l’attenzione senza coltivare la qualità dell’informazione messa in circolazione, oppure che alimentano una competizione per il consenso che finisce per favorire dipendenze, depressioni, sofferenze. L’abuso della libertà di espressione può generare difficoltà serie, anche se probabilmente non sono paragonabili per gravità al divieto della libertà di espressione.

Tra i divieti, se ne osserva uno emergente. Non si manifesta per via normativa, non avviene nelle autocrazie, anzi spesso avviene nelle democrazie. È la conseguenza di un’esigenza sacrosanta, innovativa, fondamentale. Ma può diventare problematico. Qualcuno la definisce “linguaggio politically correct”. Altri “cancel culture”. Ne parlano a modo loro tre libri che può essere utile consultare.


Quando il linguaggio incrocia la morale, cioè molto spesso, si costruisce un nuovo pezzo di un labirinto nel quale l’errore è dietro l’angolo. Di fronte alla possibilità di sbagliare alcuni stanno molto attenti, altri non se ne curano e altri ancora tacciono. È un labirinto perché una lotta per i diritti può diventare un confronto acceso e talvolta violento che può indurre alcuni a rinunciare a esprimersi ma che spesso di traduce in un nuovo sistema di potere. «Questo libro … è … una critica generale di tutte le forme di politicamente corretto come mezzo di soppressione del dibattito». È il compito che si è dato Jonathan Friedman: ne parla come antropologo e ne parla come testimone oculare.

Jonathan Friedman, Politicamente corretto. Il conformismo morale come regime, Meltemi 2018

«Proposte di legge per contrastare le discriminazioni, discussioni parlamentari sui sostantivi femminili, regolamenti aziendali che sanzionano comportamenti inappropriati, circolari scolastiche su tematiche di genere, partite sospese per cori razzisti. Da tempo i temi distinti ma incrociati di politicamente corretto e cancel culture sono all’ordine del giorno, investendo contemporaneamente la sfera privata e quella pubblica, i litigi in famiglia o tra amici e le prese di posizione su giornali cartacei, programmi televisivi, podcasat, blog, riviste online e social network. Sono temi che reagioscono facilmente proprio nell’ecosistema digitale, che macinano commenti e polemiche …». È la presentazione di un libro che raccoglie 14 punti di vista sul politicamente corretto dintorni. Che ha il pregio di mostrarne la complessità. Gli autori sono: Matteo Bordone, Elisa Cuter, Federica D’Alessio, Giulio D’Antona, Federico Faloppa, Liv Ferracchiati, Vera Gheno, Jennifer Guerra, Christian Raimo, Daniele Rielli, Cinzia Sciuto, Neelam Srivastava, Laura Tonini e Raffaele Alberto Ventura.

AA.VV, Non si può più dire niente? 14 punti di vista su politicamente corretto e cancel culture, Utet 2022

«Il vecchio marxista-gramsciano in me inorridisce di fronte allo spettacolo attuale. Le giovani generazioni schiavizzate dai social media sono manipolate dai miliardari del capitalismo digitale. Il vero potere forte del nostro tempo, questo establishment radical chic, si purifica con la catarsi del politically correct. È il modo per cancellare le proprie responsabilità: l’alleanza fra il capitalismo finanziario e Big Tech ha pianificato una globalizzazione che ha sventrato la classe operaia e impoverito il ceto medio, ha creato eserciti di decaduti. Ora quel mondo impunito si allea con le élite intellettuali e si rifà una coscienza». Federico Rampini teme che tutto questo porti al suicidio dell’Occidente. Ma sostiene che la maggioranza degli occidentali è tutt’altro che d’accordo.

Federico Rampini, Suicidio occidentale, Mondadori 2021


Vedi:

La libertà di espressione e i veti del “politicamente corretto”: la trappola dell’individualismo

La privacy transatlantica e il nuovo ordine mondiale dei diritti

UNESCO. La cultura è un bene comune globale


Foto. “FREE SPEECH” by Newtown grafitti is marked with CC BY 2.0.

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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