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Il giornalismo del clima: tra due complessità e mille difficoltà, con una visione

Alla Summer School dello European Science-Media Hub (ESMH), il 9 giugno 2022, insieme a Vitalba Crivello, ho partecipato a una discussione su come migliorare il giornalismo che si occupa di temi complessi. A partire dalla questione climatica. Abbiamo raccolto le testimonianze di quattro importanti giornalisti anglosassoni e le domande di decine di giornalisti internazionali che seguivano il corso. Le seconde si sono rivelate importanti come le prime.


Il clima è probabilmente l’esempio più citato quando si parla di sistemi complessi. Il giornalismo, che a sua volta si confronta con la complessità del nuove ecosistema dei media emerso dal successo delle tecnologie digitali, può imparare a svolgere meglio il suo compito. Le soluzioni lineari, quelle che che si concentrano sulla produzione di singoli articoli o brani di informazione senza tener conto del contesto della realtà raccontata e della realtà mediatica, non possono che avere un impatto limitato.

Il progetto di rinnovamento del giornalismo è necessario, difficile, affascinante.

Da una parte, è chiaro che alcuni elementi del giornalismo non cambiano. Il giornalismo si definisce come una disciplina che serve a produrre informazione documentata, accurata, indipendente dalle fonti e orientata a servire l’esigenza del pubblico di sapere come stanno le cose nel modo migliore possibile. Questo non cambia. Ma il modo di entrare in contatto con il pubblico, la selezione delle notizie, la consapevolezza del contributo che l’informazione offre alla costruzione delle grandi narrative che la società sviluppa per interpretare la realtà, tutto questo e molto altro sta cambiando profondamente.

Il caso del giornalismo che si occupa del clima è emblematico. Il clima è un tema complesso, che si comprende seguendo l’evoluzione delle conoscenze scientifiche, imparando a gestire grandi quantità di dati, fortemente divisivo dal punto di vista politico. Che cosa devono fare i giornalisti per coprire bene l’argomento?

Il Reuters Institute for the study of journalism nota che la crisi climatica è un argomento molto sentito dalla popolazione. Con differenze significative nei diversi paesi. In Kenia e Cile, il 90% delle persone pensa che il cambiamento climatico sia una questione molto seria. In Italia il 74% e in Spagna il 77%. In Francia il 63% e in Germania il 58%. Negli Usa il 56% e in Svezia il 50%. Ne ha parlato Katherine Dunn dell’Oxford Climate Journalism Network.

Ma l’argomento è profondamente divisivo. La popolazione che si dichiara di destra in Usa e Svezia pensa che l’argomento del cambiamento climatico sia serio con proporzioni tra il 18% e il 26%, mentre negli stessi paesi le persone di sinistra pensano che sia serio con proporzioni tra l’89% e il 75%.

La televisione è la fonte più diffusa di informazione sull’argomento, 35%, mentre i siti dei giornali generalisti sono la fonte nel 15% dei casi e i siti dei giornali specializzati nel 13% dei casi. Le conversazioni in famiglia sono 6% più una fonte di notizie leggermente più importante dei giornali di carta e della radio (5%).

I giovani sono più convinti degli anziani della serietà del pericolo. E tendono a usare più degli anziani fonti alternative alla televisione e ai siti dei giornali ufficiali per informarsi in materia.

Che cosa possono fare i giornalisti per migliorare il loro servizio su questo argomento?

Tener conto non solo delle singole notizie ma dell’impatto complessivo del loro lavoro. Rendersi conto che il tema climatico non è più relegato nelle pagine dedicate ma ormai pervade molte altre sezioni, da quelle che riguardano l’energia e i trasporti, naturalmente, a quelle che riguardano l’economia e la politica. La conoscenza scientificamente accurata di ciò che si può sapere del cambiamento climatico è la fonte dalla quale altri tipi di giornalismo meno specializzato si devono abbeverare per fare il proprio lavoro. E lo stesso avviene nella società: i più interessati andranno a vedere quello che scrivono i giornalisti specializzati e il resto della società ne sentirà parlare di rimando in varie aree dell’ecosistema dell’informazione. Quindi i giornalisti devono concentrarsi sul fare bene il loro tradizionale lavoro, secondo per esempio Fiona Harvey del Guardian, una vera e propria leader culturale su questo argomento. Harvey è tra i giornalisti del Guardian che sta spingendo per superare il concetto di “cambiamento climatico” e sostituirlo con “crisi climatica” e “riscaldamento globale”. Questo per sottolinearne la gravità. In effetti, la narrativa che sposta tutto il problema molto nel futuro e che interpreta il fenomeno come un cambiamento, non come un’emergenza devastante, è connessa agli interessi delle organizzazioni che preferiscono politiche immobili o poco efficaci sull’argomento. Harvey sostiene che il clima è ormai una questione da presentare come “immediata” e da seguire quotidianamente.

Adam Vaugham, del New Scientist, suggerisce di conquistare attenzione puntando su storie emozionanti. I suoi reportage dalle zone alluvionate in Germania hanno avuto un grande impatto proprio per l’emozione che suscitavano le vite spezzate di tante persone le cui case e i cui villaggi erano stati invasi da fiumi di fango. Un evento estremo che è stato chiaramente messo in relazione al cambiamento climatico.

E Alok Jha, dell’Economist, ha suggerito di imparare a usare i dati sempre meglio, tenendo conto della complessità delle fonti e dei numeri e offrendo informazioni non banalizzanti ma fruibili per il pubblico.

I dati di Oxford mostrano peraltro che almeno un quinto della popolazione che sente molto il tema dell’emergenza climatica si rifiuta di leggere le notizie perché tende a rimuovere l’ansia che generano. E questo fa pensare che occorra anche un giornalismo costruttivo, capace di inquadrare l’argomento in un’interpretazione che offra al pubblico anche le soluzioni al problema, oltre che l’idea delle possibilità da esplorare se non addirittura delle opportunità da cogliere. Questo sembra un frame emergente nel giornalismo anche se non altrettanto diffuso del giornalismo che mostra gli effetti devastanti della crisi climatica. 

Per qualche giovane giornalista è possibile che la produzione di informazione sul clima possa sconfinare nell’attivismo. Del resto, la vita dei giovani è immersa in un insieme di informazioni rilanciate da influencer e da organizzazioni che non sono necessariamente giornalistiche anche se fanno informazione. I giornalisti che hanno partecipato alla Summer School in generale hanno suggerito che il giornalismo si deve tenere distinto da qualsiasi partigianeria. L’indipendenza dalle organizzazioni che hanno un’agenda è essenziale per la qualità del giornalismo. Jha ha ammesso che nella vita privata i giornalisti possono avere le loro idee e possono essere trasparenti su questo, ma le posizioni partigiane dei giornalisti non dovrebbero influenzare il giornalismo al quale si dedicano per lavoro. Distinzione non facile, evidentemente. Il tentativo di mantenere la disciplina del giornalismo al riparo dalla biografia dei giornalisti o dalle incoerenze dei giornali richiede una comprensione sottile dell’argomento e una buona volontà intellettuale molto impegnativa. Non riuscirà sempre. Ma una probabilità di successo in più potrebbe manifestarsi nel caso che la società comprendesse che la disciplina del giornalismo può essere adottata e sviluppata anche da chi fa informazione senza svolgere il mestiere di giornalista e operando su media che non sono giornali.

Il punto è che è finita la fase di espansione incontrollata e accettata acriticamente delle piattaforme digitali. Queste hanno conquistato il ruolo di organizzatori della conoscenza e dell’informazione ma non si sono interessate della qualità della conoscenza. I loro sistemi incentivanti le hanno condotte a concentrarsi sulla conquista del tempo e dell’attenzione del pubblico, non sul valore culturale e sociale dell’informazione che hanno reso disponibile. Il giornalismo può essere una disciplina che, con altre, può essere messa al servizio della prossima ondata innovativa della vita sociale nel contesto dei media digitali: una prossima ondata concentrata sulla consapevolezza delle dinamiche dell’ecosistema dei media e sull’obiettivo di conquistare una migliore qualità risultato di conoscenza che ne emerge.


Reuters Institute for the study of journalism

European Science-Media Hub

Climate change & storytelling: challenges for the (post) Covid-19 era


Foto: “Write In Journal” by Walt Stoneburner is licensed under CC BY 2.0.

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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