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Tre ipotesi su Musk e Twitter

A parte il fatto che non è ancora detto che Elon Musk riesca alla fine a comprare Twitter, perché tutto sommato bisogna lasciare alle autorità antitrust di fare il loro mestiere, ovviamente la maggior parte degli osservatori danno l’operazione per praticamente conclusa. Quale storia la interpreta meglio? Ne avevo parlato sulla Svolta (La fabbrica del dissenso) e su questo blog (Le regole dei social media: Musk, Europa, Usa. Chi arriva prima e chi arriva bene?).


Possiamo fare tre ipotesi sulle conseguenze dell’eventuale acquisizione di Twitter da parte di Elon Musk:

  1. Musk è un comunicatore eterodosso, che le spara molto grosse e con grande decisione, mantenendo però l’immagine di colui che sa imparare dagli errori e aggiustare il tiro di fronte alla realtà. Per questo si può ipotizzare che l’acquisizione di Twitter sia per lui una nuova prova di comunicazione eterodossa e che gli procuri un’ulteriore centralità nel dibattito globale
  2. Musk ha affrontato temi complessi (energia, mobilità, spazio) e coerentemente ha operato in base a una cultura più scientifica che tecnologica: non si è preoccupato di far scoppiare i missili se questo gli procurava le informazioni necessarie a progettarli meglio. Anche una piattaforma per la condivisione di informazioni opera in un contesto estremamente complesso. Si può ipotizzare che all’inizio Musk sbaglierà molte decisioni su Twitter ma imparerà in fretta ad avere opinioni meno ingenue
  3. Musk ha affermato di essere un assolutista della libertà di espressione. In questa sua affermazione ha espresso la sua più spinta forma di ingenuità. Se non fosse per ingenuità, con quell’affermazione avrebbe manifestato una volontà di manipolazione della realtà, una motivazione in qualche modo meno autentica e trasparente di quello che vuol far credere.

La prima ipotesi è particolarmente probabile. La sua proposta finale per l’acquisizione di Twitter è stata comunicata poco prima di una importante intervista programmata di Musk a TED. Le parole di Musk nell’intervista sono quelle di un timido gigione, suonano come la comunicazione faticosa di un nerd che esce dalla sua confort zone, ma dicono due o tre cose precise: l’algoritmo di Twitter deve diventare trasparente e non più misterioso, il ruolo di Twitter nel contesto dei media sociali è sottovalutato rispetto al potenziale, la libertà di espressione deve essere la scelta di default nelle attività di moderazione dei post purché ci si mantenga nell’ambito delle leggi.

Con l’ultima affermazione Musk ammette che il governo della libertà di espressione non deve essere un compito delle aziende private ma delle autorità politiche. Su questo ha ragione.

Si diceva in questo blog nel gennaio del 2021 a proposito della chiusura dell’account di Donald Trump dopo l’assalto al Congresso americano da parte di facinorosi istigati dall’ex presidente:

“Stranamente, una gran quantità di articoli sono stati scritti per giudicare se Facebook, Twitter e gli altri social network abbiano fatto bene o male a impedire a Donald Trump di usare i media digitali per sostenere le sue opinioni. In pochi casi, i commentatori si sono soffermati a immaginare quale giudizio avrebbero espresso nel caso che le piattaforme predilette da Trump, invece, non fossero intervenute per bloccare la diffusione da parte del quasi-ex-presidente di idee incendiarie e manifestamente pericolose.

Il problema infatti non è quello di dire se Facebook, Twitter eccetera abbiano fatto bene o male. Il problema è quello di valutare se è giusto o sbagliato un sistema che consenta, o in un certo senso imponga, alle piattaforme di prendere decisioni di questa natura e di questa portata.”

A questo punto, però, sappiamo che la questione sarà affrontata dalla Unione Europea con il Digital Services Act e con la Dichiarazione dei diritti e dei principi digitali. Gli Stati Uniti stanno tentando di mettere a punto regole, a loro volta. Se Musk sarà coerente, di fronte a queste normative non si metterà di traverso e porterà Twitter a diventare molto più collaborativa con le autorità e l’accademia di quanto non sia stata finora (che comunque è meglio di come si è comportata Facebook-Meta).

Quindi alla lunga la questione della libertà di espressione – intesa come ingenuità o manipolazione – sarà meno rilevante delle altre motivazioni di Musk. Come cambierà il modello di business, quando potrà contare meno sull’algoritmo pro-pubblicità? Su questa parte del suo programma, espressa in modo tanto preciso, difficilmente potrà tornare indietro. Quindi cercherà di trovare altre strade: contenuti a pagamento (stile Substack) o grandi campagne di comunicazione integrata? O altro? Un fatto è certo: difficilmente la piattaforma della persona più ricca del mondo potrà contare sulla beneficenza, come Wikitribune. Sappiamo che da questo punto di vista Musk imparerà. E questo sarà interessante da osservare. Perché potrebbe diventare un insegnamento per molti altri. Il rischio, per Musk, sarà quello di non perdersi nella enorme complessità dell’impresa nella quale si è imbarcato: portare qualche umano su Marte è un compito meno complesso che migliorare l’informazione degli umani sulla Terra.


Foto: “Elon Musk and Chris Anderson at TED 2017” by jurvetson is marked with CC BY 2.0.

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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