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La storia del Covid-19 in Italia. Troppi segreti. Ecco alcune domande per capire

Il virus è uguale per tutti. In alcuni paesi ci sono stati meno morti in rapporto alla popolazione. Perché? La risposta non è certamente nelle caratteristiche del virus. Quindi non può che essere nella capacità di risposta organizzata dei vari paesi. La domanda è: perché alcuni paesi sono stati capaci di contenere il numero di malati e di morti, nel contempo salvaguardando le attività economiche, mentre altri no?

Non è perché il virus è arrivato prima o dopo: in Italia è arrivato come in Corea, ma la Corea ha reagito in modo tale da avere meno morti e meno disastro economico. Non c’è nessuna ragione di pensare che in Germania sia arrivato molto dopo che in Italia e in ogni caso il numero di contagiati è stato paragonabile, ma la Germania è stata in grado di reagire meglio dell’Italia.

In particolare, la Germania ha tenuto aperto l’80% delle aziende anche durante il lockdown. Con un numero di contagiati paragonabile, appunto, ha avuto un quarto dei morti. (WSJ)

Non molti paesi hanno fatto meglio dell’Italia. Ma se qualcuno ci è riuscito è bene cercare di imparare. Altrimenti si rischia di convincersi di qualcosa di falso. E ci si prepara alla fase due con un bagaglio di esperienza inferiore al necessario. Se come sembra la questione durerà un po’, se non vogliamo ripetere gli errori, dobbiamo studiare chi ha fatto meglio di noi.

E quello che è successo in Germania è chiaro. Hanno curato i malati bene (avevano quattro volte i posti letto in terapia intensiva dell’Italia all’inizio dell’epidemia). Hanno lavorato per isolare i contagiati con precisione capillare. Hanno avuto attenzione per le imprese e i lavoratori, salvaguardandoli in modo consapevole del fatto che alla lunga è il loro contributo alla società quello che tiene insieme il paese. Hanno avuto una premier che capiva esattamente ciò di cui parlava. Se qualcuno ha avuto la fortuna di ascoltare Angela Merkel parlare dell’epidemia sa che cosa significa un premier che ha studiato scienza, che ha un’esperienza vera di ricerca, che conosce il valore e i limiti delle statistiche che le vengono sottoposte.

Di fatto non c’è troppa differenza tra la fase uno e la fase due: cioè tra il contenimento piatto generalizzato e il contenimento evoluto. In Germania, perché da sempre lavorano per isolare i malati e separarli – possibilmente uno per uno – dai sani, lasciando libera l’economia di funzionare. Anche in Italia non c’è molta differenza tra la fase uno e la fase due, ma perché al contrario in entrambe ci si affida alle forze dell’ordine, alle parole terrorizzanti e alla fortuna, lasciando l’economia drammaticamente indietro.

E non ci si faccia ingannare: l’economia non è il luogo degli interessi, così come la sanità non è il luogo della generosità. Senza un’economia che funziona, le sofferenze dei poveri sono enormi e durature, disperanti: far funzionare l’economia è una forma di generosità. E d’altra parte la sanità non è il luogo dell’altruismo: i medici e gli infermieri, certo, sono angeli; ma la struttura delle organizzazioni sanitarie sembra tutt’altro che angelica. Appare piuttosto come un sistema di potere che in certe regioni assume forme di efficientismo spietato. Un’ipotesi da verificare è questa: la Lombardia paga una struttura sanitaria senza cuore, fortissima nello specialismo ad alto valore aggiunto ma piuttosto disinteressata al territorio e alla cura delle famiglie? Se questa ipotesi fosse giusta, come in parte sembra dimostrare il confronto con il Veneto, i suoi medici avrebbero pagato queste scelte politiche come le avrebbero pagate i suoi anziani.

Ipotesi che vanno verificate. Le storie di alcune residenze per anziani milanesi saranno indagate dalla magistratura. Probabilmente questo allargherà le indagini su certi ospedali. Giornali come New York Times e Financial Times hanno raccontato fin dall’inizio della vicenda epidemica italiana come gli ospedali dovessero decidere “spietatamente” chi curare e chi lasciar morire. Si vedrà.

Ma allora che cosa abbiamo imparato da questa esperienza? E che domande dobbiamo porci per fare meglio nella fase due?

Ecco un compendio di domande, ipotesi, e altre domande.

1. Il virus, che pure muta velocemente, è più o meno lo stesso in tutto il mondo. Di fatto la stragrande maggioranza delle persone che lo prendono restano asintomatiche, presentano sintomi lievi, oppure se ricoverate e curate correttamente, in assenza di altre patologie, in generale guariscono.

Domanda: se il virus è uguale ovunque, a che cosa è dovuto il fatto che in certi luoghi ci siano più morti in relazione al numero di contagiati?

2. Se il virus è uguale dappertutto ma in alcuni luoghi ha una letalità simile a un’influenza mentre altrove è terribilmente letale, anche perché di certo è supercontagioso, potremmo trovare differenze nel modo in cui sono fatte le statistiche oppure nel modo in cui si organizza la cura dell’ondata di malati che si concentra in poco tempo. Non avendo modo di sindacare sulla prima questione, vale la pena di approfondire la seconda. Tenendo conto di due casi: si può prendere il problema prima che arrivi l’ondata oppure si deve affrontare lo tzunami quando si manifesta nella sua terribile forza. È evidente che questa analisi non vale solo per ricostruire la storia, ma anche e soprattutto per prepararsi alle prossime manifestazioni dell’epidemia.

Nei casi in cui si comincia ad agire quando l’ondata è in pieno svolgimento, i sistemi sanitari sono superati dalla domanda. Anche se ci sono molti posti letto in terapia intensiva, la quantità di malati è troppo grande. E allora si devono lasciare morire alcuni per fare spazio ad altri. È una scelta drammatica. Ma qualcuno la deve fare. E la fa. Sicché il numero di morti sale.

Se invece ci si accorge dell’arrivo dell’epidemia prima che l’ondata sia fortissima, si possono cominciare a rintracciare tutte le reti di contagio e contenere il problema centimetro per centimetro. Alla fine si riesce a evitare l’ondata e il numero di morti è piuttosto contenuto.

Domanda: le organizzazioni sanitarie e le autorità che vengono colte dall’ondata epidemica di sorpresa quando è già grande vanno giudicate come sfortunate o incapaci? Avrebbero dovuto accorgersi prima della crescita dell’epidemia? Perché non se ne sono accorte? Due ipotesi. Se non se ne sono accorte perché erano concentrate sulle esigenze dell’economia e speravano che l’epidemia avrebbe risparmiato il loro territorio si sono dovute ricredere: hanno fatto finta di niente in modo colpevole fino a che era troppo tardi. Se non se ne sono accorte perché non avevano informazioni sanitarie adeguate hanno dimostrato di avere una pessima organizzazione territoriale sul tema appunto della sanità per le famiglie? Come hanno potuto sottovalutare l’argomento dopo il caso cinese? C’è qualcos’altro che non sappiamo su questo punto?

3. Quando l’epidemia è in corso, in assenza di vaccini, con scarsità di test e luoghi di cura, con condizioni di ignoranza sulle terapie efficaci, in mancanza di un sistema per tracciare la rete dei contagi, la sola cosa da fare per la salute è il lockdown. Ma è una scelta che non fa che rimandare il problema: perché all’uscita dal lockdown, se non si fa altro, l’epidemia riparte; e perché intanto distrugge l’economia e mette in ginocchio la vita (e la salute) di milioni di persone.

Domanda: durante il lockdown ci si concentra sui dati che descrivono la velocità di diffusione del contagio e si aspetta che rallenti, o ci si concentra sulla creazione di un’organizzazione del contenimento evoluto, fatto di tracciamento, test, forme varie di distanziamento e grande diffusione di informazioni vere e pratiche a tutta la cittadinanza perché – responsabilmente – si tenga alla larga dai rischi?

4. Se non si è fatto abbastanza durante il lockdown per sviluppare una strategia e una pratica di contenimento evoluto, se in quel periodo i poteri che governano la produzione di test e mascherine si dimostrano orientati a speculare sui prezzi invece che funzionare per diffondere in numero significativo i prodotti, se durante il lockdown le analisi restano segrete e le discussioni sulle scelte sono prese in stanze oscure e prive di dibattito pubblico, se si pensa essenzialmente alla manipolazione dell’informazione per mantenere sotto controllo la popolazione, se avviene tutto questo, come si può passare a una fase di contenimento evoluto?

Domanda: è andata così in Italia?

5. Il contact tracing per via digitale può anche avere qualche utilizzo. Ma i falsi positivi e negativi, la quantità di contatti che registra, la diffusione potenzialmente limitata dell’uso dell’applicazione, restano problemi aperti. Soprattutto restano problemi inutili se non ci sono sistemi efficaci di test.

Perché in Italia sembra così difficile fare i test? Lo è in molti paesi, Inghilterra compresa. Ma l’Inghilterra, per motivi diversi, non è un esempio. È un esempio la Germania. Ma lì i test li fanno. E allora chi si imbosca i test in Italia? E perché lo fa?

6. Le cure, durante l’epidemia, evolvono. Per esempio emerge l’uso del plasma immune che aiuta nei casi più gravi. I buoni medici non cessano di pensare e trovare soluzioni. Talvolta ci riescono. Come ovviamente aiutano i tubi e altre terapie intensive. E nel corso dell’epidemia i posti per la terapia intensiva aumentano, grazie all’impegno di molte strutture. Buone notizie e cattive notizie si susseguono, ma spesso si sente parlare solo delle cattive notizie.

Perché non si danno le buone notizie con altrettanta attenzione di quella che è riservata alle cattive? È una forma di paternalismo? Ma togliere le speranze non è una buona forma di paternalismo. Fa solo paura. E dunque è la premessa dell’autoritarismo. Anche se non lo si vuole, l’autoritarismo è latente nelle condizioni di disperazione. C’è una sorta di autoritarismo latente, non voluto, potenziale, in Italia?

7. La scienza che opera in segreto, nelle task force o nel Comitato Tecnico Scientifico, non è scienza. La scienza è confronto, controllo tra pari, discussione, solidarietà nel processo di elaborazione della conoscenza.

Perché le analisi e le indicazioni degli scienziati sono state tenute tanto caparbiamente segrete?

8. Si possono fare errori. Ma poi si correggono. Siamo nella fase due. Abbiamo imparato? Oppure per adesso le questioni centrali, il tracciamento, il test, il trattamento, restano materie oscure? Ci si concentra sull’adozione di misure per il contenimento evoluto e il rilancio dell’economia, oppure si sta discutendo di come spartire la torta dei soldi pubblici che arriveranno, grazie all’allentamento del rigore di bilancio approvato, e giustamente, in Europa?

La discussione oggi è limitata al gioco dei diversi potentati e delle varie corporazioni, o è orientata da una visione di insieme? Perché coloro che hanno esperienza e sono chiamati a dare un consiglio vengono tenuti in silenzio? Quanto contano davvero le task force? Le ascoltano o no? Stiamo evolvendo oppure siamo impantanati?

Inchiesta da leggere:
I due mesi che sconvolsero la Lombardia, Il Post

Vedi in questa serie:
Coronacrisi. Tra una “fase uno perenne” e la vera “fase due”
Coronacrisi. Pieni poteri e vuote autorità
Coronacrisi. È il tempo della ragione
Coronacrisi economica. Leggere il futuro che vogliamo e costruirlo
Geopolitica di internet. Attacco alla rete. Se l’Europa ci fosse potrebbe difendere il network e sé stessa
Coronavirus. Sta per arrivare un fiume di denaro pubblico? Chi lo gestirà? E con quale visione?
Coronavirus. Come ne esce l’economia
Solo la generosità ci salverà
Il destino comune della rete umana
Studi sul futuro e resilienza
Dopo la crisi: resilienza
Sembra un film di scarsa qualità
Coronavirus. Crisi economica: il privato è politico

Photo by Edu Lauton on Unsplash + elaborazioni

3 Commenti

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Rispondi a Quattro scenari sul mercato e la società dopo il COVID-19. Uno è orribile - Luca De Biase Cancel reply

  • Domande tutte molto centrate che se ne portano dietro anche altre:
    – i comportamenti delle organizzazioni sanitarie hanno messo in luce una formazione della classe medica inadeguata ad affrontare realtà più complesse di quelle di un reparto ospedaliero? Prevale una logica deterministica inapplicabile ad approcci di popolazione ed ecologici-economici?
    – perchè i media hanno contribuito ad aumentare il livello di consapevolezza e di conoscenza o non hanno piuttosto rincorso in modo scarsamente critico gli annunci degli “esperti” esasperandone a volte gli aspetti sensazionalistici (trasformando quasi in oggetti da guerre di religione le diverse posizioni e favorendone così l’evoluzione in “clave” da usare nel confronto politico )? perchè essendoci state esperienze diverse (penso al gruppo di Padova) o altre voci fuori dal coro è prevalso nello spazio il principio di autorità?
    – la struttura gerarchica delle istituzioni (sanità compresa) ha avuto un peso importante nell’ingessare le modalità di risposta e nel disincentivare ogni iniziativa in attesa che arrivassero “disposizioni dall’alto” e ne è uscita rafforzata nonostante gli errori. Perchè, nonostante ciò, ne sarà consentito un ulteriore rafforzamento attraverso la gestione delle risorse che, si spera, potrebbero essere rese disponilbili per la sanità (non è solo un problema di quali persone, ma di pensare una struttura organizzativa in grado di essere più intelligente e flessibile)?

    p.s. mell’articolo di oggi 10 maggio lei faceva rierimento al rapporto del gruppo 7 della task force ministeriale ed anche ad un articolo scientifico di Dino Pedreschi, Fosca Giannotti potrebbe per favore farmi sapere come poterli trovare? grazie

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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