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Quattro scenari sul futuro: un ragionamento intermedio

Oggi parte Futuranetwork. E spero che aiuterà nella comprensione molto meglio di quanto si possa fare qui.

In un post precedente abbiamo sviluppato un sistema per formulare quattro scenari alternativi in funzione di due variabili:

1. Quanto è forte la capacità di una società di fare innovazione
2. Quanto è forte la capacità di una società di darsi una direzione

Meglio chiarire i termini. Perché si può non essere d’accordo ma solo se ci si capisce prima sulle parole: altrimenti non si riesce neppure a comunicare. Ebbene, in questo contesto, l’innovazione è la capacità di inventare, esplorare, testare, applicare, adottare possibili soluzioni alternative a problemi emersi e immaginati in grado di migliorare la situazione in modo stabile. La direzione è la capacità di decidere gli obiettivi della società in termini di sviluppo umano, nella consapevolezza delle sfide importanti che occorre vincere per ottenere una vita migliore per la maggior parte della popolazione.

Significa che l’innovazione non è una qualunque novità. E la direzione non è un qualunque esercizio di potere. Ci sono due o tre concetti abbastanza soggettivi: l’innovazione in qualche modo migliora qualcosa di importante in modo stabile; la direzione stabilisce gli obiettivi tenendo conto di temi che tendono ad essere importanti per tutto l’insieme della popolazione non solo per alcuni. Non credo che ci possa essere una definizione oggettiva del concetto di “miglioramento” o dell’esigenza di “importanza per tutti”. Ma un elemento oggettivo c’è: la direzione pensa ai risultati dell’azione e non solo all’esercizio autoreferenziale del potere; l’innovazione pensa al sistema complesso nel quale si inserisce e non solo alla sua applicazione diretta e tecnica.

Queste definizioni si possono discutere. Ma supponendo di accettarle, proseguiamo.

Abbiamo ipotizzato che ne vengano fuori appunto quattro scenari, che rinominiamo così:
a. Tecno-finanza capitalista (molta innovazione e poca direzione)
b. Progresso umano (molta innovazione e molta direzione)
c. Tecnocrazia burocratica (poca innovazione e molta direzione)
d. Nuovo fascismo (poca innovazione e poca direzione)

Ci eravamo domandati se si potesse attribuire una probabilità a questi scenari e non avevamo risposto. Ebbene, dobbiamo fare un passaggio intermedio: con quello che abbiamo scritto finora non siamo ancora pronti per attribuire probabilità. Perché per farlo dobbiamo descrivere un modello di comportamento delle società che si infilano storicamente in uno di questi scenari, senza semplificare troppo. Dobbiamo situare nella storia e nella geografia le situazioni di partenza. A priori, infatti, uno scenario vale l’altro. Ma ci sono condizioni e dinamiche che ne rendono uno più probabile di un altro: quali sono queste dinamiche? Problema da far tremare i polsi. Che un artigiano come me non può che cercare di esprimere, sperando di trovare risposte più solide studiando e intervistando i veri esperti.

Vorrei riflettere su queste quattro scenari per comprendere quali rischi o probabilità hanno di realizzarsi. In questo post faccio qualche considerazione sulla dinamica con la quale questi scenari evolvono. Ma prima rivediamoli (chi li ricorda può saltare i quattro paragrafi che seguono che metto in corsivo tanto per facilitare il passaggio al ragionamento successivo):

A. Molta innovazione e poca direzione
Comanda la finanza e l’innovazione tecnologica. Le compagnie sono alla guida. Creano nuovi mercati, accumulano enormi capitali, attirano finanza, scrivono gli algoritmi e le piattaforme e con il codice con le quali le compongono scrivono le regole che definiscono la vita sociale. Non hanno una direzione se non quella che autocraticamente decidono i loro proprietari. Ma questa è spesso più importante all’inizio della loro carriera e si scioglie nel tempo, man mano che la finanza senza cuore e senza cervello si impossessa della logica delle loro compagnie. A loro importa ciò che alla fine genera il profitto. L’attenzione che raccolgono le piattaforme va indirizzata direttamente alla realizzazione del modello di business. Non c’è un’elaborazione valoriale, sociale, culturale se non quella delle singole persone che ci vivono: ma non determina un sistema direzionato dell’innovazione. Qui l’innovazione è una sorta di parte integrante del sistema, serve all’esistenza stessa del sistema, si motiva casomai con l’ideologia secondo la quale “ogni nuova versione di una tecnologia è sempre migliore della precedente”. Nessuno deve interferire: basta lasciare andare avanti l’innovazione e tutto si sistemerà. La logica decisionale è autoreferenziale.

B. Molta innovazione e molta direzione
La forza creativa tipica di un ecosistema dell’innovazione vitale, aperto, empiricamente avvertito, culturalmente capace, si accompagna a una leadership che prende di petto i problemi di contesto che riguardano le conseguenze dello sviluppo. In quest’epoca la leadership si occupa del cambiamento climatico, della polarizzazione sociale, della povertà educativa dei ceti esclusi dalla dinamica economica vincente, dell’organizzazione delle relazioni sociali di qualità, delle problematiche connesse alla qualità dell’informazione e così via. Perché comprende che l’innovazione è la sola strada per risolvere i grandi problemi della società. Ma solo definendo questi problemi e direzionando l’innovazione verso la loro soluzione si può arrivare a migliorare il mondo. Il progresso non è un dato acquisito, generato dalla logica autoreferenziale dell’innovazione, ma è il frutto dell’elaborazione culturale e politica, valoriale e intellettuale, che serve a definire il percorso che migliora la vita. Il sistema decisionale è aperto, attento al feedback che viene dalla realtà ed è in grado di adattare efficacemente le regole e gli investimenti in sistemi abilitanti ai problemi emergenti che i valori della società indicano come prioritari.

C. Poca innovazione e molta direzione
La convinzione secondo la quale certi valori sono quelli che la società deve realizzare è in questo scenario superiore all’investimento nelle dinamiche del cambiamento, dell’adattamento, dell’innovazione. Non c’è bisogno di cambiare se si conosce tutto ciò che serve per ciò che si ritiene sia il bene della società. Ci sono molte storie come questa. Se per esempio una società è convinta che tutto dipenda dalla riduzione del deficit pubblico e qualunque debito statale sia un problema da eliminare, il bilancio pubblico diventa il totem di ogni sistema decisionale, il benessere è una torta di dimensione prefissata della quale ogni giocatore tenta di aggiudicarsi una fetta più grande. Gli altri giocatori non sono partner ma semplici avversari dai quali difendersi e possibilmente contro i quali si deve attaccare. L’Europa, vista dagli stati europei, è spesso una cosa come questa: vista dall’Olanda, per esempio, l’Europa è un posto dove ci sono aziende nate in altri stati che possono essere attirate a pagare le tasse nei Paesi Bassi proponendo loro vantaggi fiscali: in questo modo, l’Olanda sottrae risorse agli altri paesi ma migliora il proprio bilancio e può fare la lezione di rigore fiscale agli altri. Se una tecnocrazia burocratica non riesce ad adattare le sue convinzioni alla realtà, blocca l’innovazione e si chiude nelle sue convizioni, perdendo terreno complessivamente nella competizione globale.

D. Poca innovazione e poca direzione
I problemi si accumulano irrisolti. Nessuno investe in innovazione. La polarizzazione sociale diventa insostenibile. Il capitalismo sente di essere in pericolo. I ceti dirigenti fanno quadrato per evitare ogni interferenza della popolazione che protesta nel sistema decisionale: perché la torta è troppo limitata e redistribuirla sarebbe troppo doloroso anche per chi sta in alto alla piramide sociale. Sono le premesse di una vittoria della politica autocratica. Il capitalismo che magari era fiorito in un contesto più aperto, preferisce appoggiarsi a leadership senza scrupoli democratici piuttosto che lasciare avanzare i ceti meno avvantaggiati della società. La violenza si diffonde. Diventa latente. Strategie della tensione, psicologiche e talvolta fisiche, si manifestano. Prima o poi il fascismo – in una forma aggiornata, ma dai caratteri latenti, come diceva Umberto Eco – riemerge e prende il potere.

Ebbene, come evolvono questi scenari? Quali sono i rischi o le probabilità che si verifichino? Da che cosa può dipendere la capacità di una società di fare innovazione e di darsi una direzione?

L’innovazione dipende dalle forme di reclutamento di persone di qualità nelle posizioni d’impatto per quanto riguarda le imprese, il non profit, le varie forme di aggregazione sociale e culturale; inoltre dipende dall’investimento nei sistemi infrastrutturali abilitanti oltre che dal livello di educazione e apertura culturale della popolazione.

La direzione dipende dalle forme di reclutamento di persone di qualità nelle posizioni istituzionali e di leadership politica o culturale; inoltre dipende dall’adeguamento dei sistemi decisionali oltre che dalla qualità dei sistemi che generano l’informazione intorno alla quale si deve decidere.

Date queste definizioni, un modello di comportamento dovrebbe tener conto delle dinamiche che si autorafforzano e di quelle che entrando in contraddizione fanno cambiare strada. Mi spiego meglio.

Se un paese recluta bene le sue persone ha più probabilità di generare innovazione e definire bene la sua direzione, quindi investe in infrastrutture e aggiusta le regole in modo che si adeguino alla realtà, il che produce un ulteriore miglioramento della sua storia: il progresso umano, produce ancora più progresso umano.

Se un paese distrugge qualità delle persone in nome di un esercizio del potere politico autoreferenziale, in un contesto nel quale le tensioni sociali conducono il capitalismo a farsi difendere da un sistema autocratico, investirà meno nelle strutture abilitanti per l’innovazione, creerà regole rigide, alimentando ulteriormente una logica di potere autoreferenziale: il fascismo produce altro fascismo.

Le altre dinamiche sono molto varie. E discutibili. Se un paese tecnocratico si trova in crisi può scivolare nel fascismo, se va bene può trovare il modo di reclutare persone di qualità e liberare più innovazione. Se un paese tecno-finanziario va in crisi può scivolare nel fascismo, ma se evolve una classe imprenditoriale più illuminata può darsi una direzione e procedere verso il progresso.

Ne consegue che la prima grande considerazione da fare per vedere in quale scenario si tende a vivere è l’analisi delle precondizioni storiche. Le strutture di lunga durata sostengono nel tempo uno scenario o un altro. Ma anche le congiunture possono essere pesanti: una crisi grave può spostare la dinamica da uno scenario all’altro.

Occorre riflettere sul punto di partenza e sulle dinamiche che contano per spostare la storia in una direzione o nell’altra. Ci pensiamo per la prossima volta e mi scuso se non riesco a chiudere l’argomento in un paio di post. Ma intanto raccolgo i vostri commenti (su Linkedin, su Twitter, e altrove) e adeguo il ragionamento, correggendo magari anche le parti meno convincenti (avete visto che l’ho già fatto, no?).

Ma prima di chiudere, dovendo pensare alle precondizioni storiche, vale la pena di ricordare quella famosa barzelletta irlandese. C’è un signore che passeggia. Una macchina si ferma abbassa il finestrino e chiede un indicazione per raggiungere la sua meta. Il signore guarda l’automobilista con aria perplessa e poi risponde: “Per andare dove lei vuole, non le conviene partire da qui”.

Vedi in questa serie:
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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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