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Coronacrisi. È il tempo della ragione

Con molta umiltà. Con il cuore sanguinante per il bollettino dei morti. Accettando la disciplina che tutti accettano. Ma dobbiamo provare a pensare oltre. Qui provo a fare un passo, inadeguato e parziale.

Il contenimento era necessario (Mass lockdowns in Europe may have helped save 59,000 lives, says study). Ma è tempo di cominciare a pensare oltre. Chi non lo fa, sebbene con l’intenzione di salvare le persone dalla malattia, rischia di mettere in profonda difficoltà la vita di milioni di persone per molto tempo. Senza un pensiero pratico e deciso che porti alla via d’uscita il disastro umano potrebbe essere più grave di qualunque crisi sanitaria sia stata “contenuta”. Le conseguenze economiche non sono una questione di soldi: sono una questione di vita o di morte per i poveri, per i precari, per la qualità della vita di tutti, per le aziende, per il lavoro, per i progetti di una generazione. Per la libertà. Un po’ di soldi pubblici, anche molti soldi pubblici, non basteranno a risolvere la distruzione economica e sociale che si rischia se non si comincia a studiare seriamente la via d’uscita. Vediamo che cosa sta succedendo.

Il contenimento non basta

I fatti sono fatti. Il contenimento non basta a risolvere l’epidemia. Perché anche se anche si raggiunge l’azzeramento dei contagi in un luogo e se nel resto del mondo l’epidemia continua, il rischio di una seconda ondata è elevatissimo. Singapore lo dimostra (SCMP, Singapore to close schools, most workplaces from next week as ‘circuit breaker’ to stop virus). Qualunque strategia che si limiti al contenimento è destinata a fallire se non è accompagnata da un pensiero più largo, profondo, lungimirante. Umanamente ragionevole.

Cominciamo dal discutere la situazione in cui siamo ora. Come è stata costruita?

I motivi del problema vero

Ci sono pochi posti in ospedale per affrontare il picco di ricoveri resi necessari da un’epidemia causata da un virus molto contagioso. Quando chi ha bisogno di ricovero supera i posti disponibili, il sistema sanitario deve scegliere chi salvare e chi no. È quello che tutti i giornali internazionali hanno raccontato dell’Italia. Un dramma, non una tragedia: la scelta terribile. Ma una scelta. (NYTimes, Dip in Italy’s Cases Does Not Come Fast Enough for Swamped Hospitals)

Invece la narrativa è stata impostata sulla linea della tragedia.

La narrativa che è stata impostata fin dai primi reportage sulla Cina è stata quella della tragedia. La storia tragica racconta dell’ineluttabile vittoria del male. Non c’è via d’uscita. C’è soltanto la catarsi. Quando il pubblico termina la visione della tragedia cerca dentro la propria esperienza umana la via per equilibrare il proprio stato psicologico. Ma se il racconto della tragedia si sovrappone alla realtà, se il pubblico viene chiuso nella tragedia e non si offre alcuna via d’uscita, non c’è catarsi ma soltanto paura, risentimento, soggezione. Chi organizza la realtà in modo che sia una tragedia senza uscita pensa la fine della libertà. Convince i cittadini resi sudditi a obbedire. Li divide e li domina nel corpo e nella mente. Li spinge ad accettare la fine della privacy pur di avere tecniche di controllo della vita degli altri. Li convince ad accettare la deresponsabilizzazione. (Economist, Covid-19 presents stark choices between life, death and the economy)

La situazione della Germania, con una popolazione anziana quanto quella italiana e con un inquinamento non troppo diverso, mostra un’abnorme differenza nella letalità: può essere una differenza statistica. Ma è anche una differenza dovuta al gran numero di posti in ospedale in più che la Germania può mettere in campo. In Italia si possono aumentare subito i posti in ospedale. Lo si sta facendo. È necessario.

Le conseguenze economiche della soluzione unilaterale

Il disastro economico generato dalla clausura è abnorme. È in gioco una depressione tra il 10% e il 30% del Pil (Economist, Covid-19 presents stark choices between life, death and the economy). In una depressione del genere le aziende chiudono, i posti di lavoro spariscono, i clienti scelgono altri fornitori. Non c’è ritorno alla condizione precedente, ma tutta una nuova storia economica. Nella quale probabilmente la spesa pubblica contiene i peggiori problemi di fame e violenza. Ma non può risolvere tutto. Anche perché come si comprende facilmente, i paesi ricchi non accettano di prendere su di sé i problemi dei paesi poveri. E quindi il debito pubblico diventerà difficile da ripagare senza tassazioni pesantissime. Già si lanciano sonde nell’opinione pubblica stanchissima e si vede come reagisce all’ipotesi della patrimoniale con la sottrazione fiscale di una quota di quello che c’è nei conti correnti.

Comunque la si veda sarà un grande aumento di potere per il sistema politico. Chi conquisterà quel potere e con quali finalità?

È tempo di prendersi delle responsabilità

«Il fine giustifica i mezzi». Lo slogan è dei machiavellici, non di Nicolò Machiavelli. È un’impostazione che serve a mettere i sudditi in un tunnel e a concentrare la loro attenzione soltanto sulla ricerca della luce in fondo. Li costringe a guardare solo avanti, tralasciando di valutare attentamente quello che stanno facendo. Li convince ad accettare qualunque mezzo pur di arrivare in fondo.

Può bastare se si pensa che i sudditi non abbiano maturità, non abbiano coscienza, non siano intellettualmente onesti e non meritino la libertà. Ma non basta se stiamo parlando di persone, di una cultura con il senso della comunità, di una civiltà che non rinuncia al processo democratico.

«Il fine è nei mezzi come l’albero nel seme», diceva invece il Mahatma Gandhi. La sua non-violenza testimoniava che la scelta dei mezzi è fondamentale nel perseguimento del fine. I mezzi hanno conseguenze e vanno valutati momento per momento. Se si vuole una società di amore non si può conquistarla odiando. Le conseguenze emergono dalle azioni. Il fine è in ogni gesto compiuto per perseguirlo. Il che è molto più realistico di quello che pensano i machiavellici.

Chi pensa che il fine giustifichi i mezzi non è realista: è ideologico o banalizzante. Finge che non ci siano alternative. Nega le alternative. Blocca le menti in un tunnel dal quale si esce soltanto andando dritti in avanti. Ma il mondo non è mai così. Si può far credere che lo sia per obbligare gli altri a seguire una strada. Ma rischia di essere un inganno.

I gandhiani credono nelle persone, hanno rispetto della loro coscienza e lottano per la loro libertà. La consapevolezza delle alternative, l’esplorazione delle possibilità è parte integrante della libertà. I gandhiani pensano che soltanto costruendo cultura si possa arrivare a vivere in una comunità. E sanno che ogni gesto non ha soltanto una funzione, ha anche un significato.

Nel mondo che tenta di affrontare la crisi del coronavirus e del COVID-19 è tempo di porsi delle domande per analizzare le alternative e progettare la roadmap che ci porta fuori dalla clausura. Tutti i bravi cittadini e le persone oneste stanno seguendo scrupolosamente la regola della clausura. Sarà anche vero che non è ancora tempo di allentare la disciplina. Ma ormai è tempo di chiarire che strada prendiamo per uscire.

Alcune certezze e alcune ipotesi

Il sistema sanitario aveva bisogno di aiuto per poter aiutare i malati a non morire. Abbiamo offerto questo aiuto con tutto il cuore. Occorreva evitare che il picco della malattia superasse in modo ingestibile l’offerta di posti letto e tecnologie ospedaliere. Questo implicava chiaramente una scelta: ridurre i contagi.

Peccato che non si sapesse chi era contagiato e dunque chi poteva contagiare gli altri. Dunque si è scelto di chiudere tutti. Il tunnel ha funzionato, nell’urgenza non si sono viste le alternative. Non eravamo pronti a cercarle. Non sapevamo di Singapore o della Corea del Sud. Non avevamo in mente la possibilità di fidarci dell’intelligenza degli altri, come in Svezia. Non sapendo che altro fare abbiamo chiuso tutto. E date le condizioni era giusto fare così.

Dobbiamo accettare la regola, se è la sola che sappiamo adottare. Ma dopo un mese di clausura non possiamo più accettare che non si lavori alacremente alla roadmap che porta fuori dalla clausura. Anche perché nella clausura non c’è solo il contenimento del picco. C’è anche la più grave depressione economica che si ricordi. E anche questa è una certezza.

Prima ipotesi: adesso facciamo ciò che è urgente, al resto ci penseremo dopo

Questa ipotesi è accettata da una vasta alleanza di persone diverse. È praticata da tutti coloro che non hanno fiducia nelle persone è ritengono che prima di tutto occorra tenerle in clausura senza se e senza ma, senza dare spiragli, senza “allentare la presa”. È anche usata dai tecnici dell’organizzazione sanitaria che per mestiere non hanno altro pensiero al di là dell’ingegneria del sistema sanitario. È un’ipotesi ottima per i politici che vogliono avere qualcosa di semplice da dire a chi ha paura, per mostrarsi come le persone più affidabili alle quali cedere il compito di decidere. Ed è l’ipotesi principale dei politici che pensano che la crisi economica conseguente sarà risolta con il denaro pubblico, il che consentirà loro di gestire un enorme potere.

Seconda ipotesi: cominciamo a studiare la fase due

Oltre ai tecnici sanitari, ci sono nuovi tecnici al lavoro. Studiano i dati. Studiano il software. Studiano i test per riconoscere chi è immune e chi non è contagioso. Cercano di preparare le decisioni razionali del futuro. Sviluppano il vaccino che risolverà definitivamente la questione. Quanto passerà prima che questo avvenga? Non lo sappiamo, ma dobbiamo considerare che debba passare un anno prima che sia pronto il vaccino. Magari arriva prima, ma non molto prima. Come lo gestiamo, sapendo che un anno di clausura senza alternative rischia di essere inaccettabile, perché secondo gli economisti provocherebbe una riduzione probabile di un terzo del Pil. E soprattutto perché in un mondo in cui l’epidemia non si manifesta contemporaneamente dovunque c’è sempre la possibilità che si manifestino recrudescenze. Il contenimento non basta.

Un percorso ipotetico di uscita è stato tracciato in diverse sedi e lo riportiamo qui. Prima di tutto occorre sapere meglio dove sono i focolai e quanto sono grandi le reti infettate: i metodi possono essere campionari, possono fare uso di applicazioni per cellulari e altri sistemi di raccolta dati, purché siano usati nel rispetto delle elementari normative sulla privacy, come ribadisce il documento che spiega i compiti della task force. In secondo luogo, devono aumentare le disponibilità di test diagnostici, per conoscere chi ha il virus, fare tutto il possibile per curarlo ed evitare che infetti altri. In terzo luogo, generalizzare i test che cercano chi ha avuto la malattia e presenta gli anticorpi ma non è più contagioso, perché a quel punto può cominciare a vivere normalmente. Occorre inoltre stabilire, come ha suggerito sul Sole 24 Ore il rettore del Politecnico di Milano, Ferruccio Resta, che le fabbriche in grado di salvaguardare la salute dei loro lavoratori possano funzionare e i mezzi di trasporto siano utilizzabili in maniera contingentata ma efficiente. Intanto, gli aiuti pubblici, a partire da quelli europei, possono limitare licenziamenti e chiusure aziendali. E poi gli investimenti pubblici in innovazione, educazione, inclusione devono moltiplicarsi come primo passo verso una nuova resilienza. Può essere discutibile ma è un programma che almeno articola un percorso di uscita. (WSJ, The Road Back to Normal: More, Better Testing)

Cogliere il tempo del cambiamento

Uscire è pensare positivamente. La tragedia è in contraddizione con l’uscita. La paura aumenta la probabilità della tragedia. Non finisce più. L’uscita non coincide necessariamente con la fine della situazione attuale. Ma potrebbe essere una trasformazione, un insieme di innovazioni che porta a una condizione non paragonabile con quella nella quale tutto è cominciato.

Non si tratta di tornare alla normalità di prima. Si tratta di comprendere con tutte le nostre forze che questo è il momento di progettare il futuro. Questo è il momento in cui, qualunque scelta, costruisce il futuro. Pensare il futuro che vogliamo non è soltanto un approccio alla vita. Diventa semplicemente un progetto concreto: quello che pensiamo, facciamo, progettiamo, diventa il futuro in un momento trasformativo come questo.

Le alternative politiche sono chiarissime ormai. Chi vuole uccidere la libertà è già in movimento. Chi vuole un futuro umano si deve mobilitare adesso.

Vedi:
NYTimes For Autocrats, and Others, Coronavirus Is a Chance to Grab Even More Power

In questa serie:
Coronacrisi economica. Leggere il futuro che vogliamo e costruirlo
Geopolitica di internet. Attacco alla rete. Se l’Europa ci fosse potrebbe difendere il network e sé stessa
Coronavirus. Sta per arrivare un fiume di denaro pubblico? Chi lo gestirà? E con quale visione?
Coronavirus. Come ne esce l’economia
Solo la generosità ci salverà
Il destino comune della rete umana
Studi sul futuro e resilienza
Dopo la crisi: resilienza
Sembra un film di scarsa qualità
Coronavirus. Crisi economica: il privato è politico

11 Commenti

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Rispondi a Daniele Alberti Cancel reply

  • Ma vediamo quali sono state le vere cause di questa catastrofe:

    1. La Cina, una dittatura oscurantista che ha nascosto la portata del problema per settimane
    2. L’OMS che s’intasca miliardi di dollari dalla Cina e ha continuato a ripetere le menzogne della Cina a tutto il mondo
    3. I giornalisti che hanno ripetuto a tutti le menzogne dell’OMS e della Cina e hanno aggiunto delle loro “il vero pericolo è il razzismo”, “è solo un influenza”, “sembra un film di pessima qualità”, “il capodanno cinese non si ferma”
    4. I capi di stato occidentali assuefatti al capitalismo globalizzato che hanno aspettato finché non era troppo tardi per chiudere le frontiere

    Ci si chiede come mai il populismo si diffonde in occidente, e ci si slancia a spiegarlo con teorie del complotto con fake news e bot russi. La vera ragione è qui: abbiamo una classe dirigenziale/accademica che ha fallito platealmente e completamente a gestire una crisi, per la terza volta in 10 anni e tutti quelli che non fanno parte di questa classe vedono chiaramente che è perché i membri della classe dirigenziale/accamdemica veste dei forti paraocchi ideologici.

    • Le statistiche sono davvero troppo complicate, quindi capisco questo commento e i precedenti. Quando avremo chiarezza sul modo in cui in Italia, in Germania, in Corea, e altrove si calcola la letalità sarà più facile parlare. L’odio nei confronti di chi tenta di fare il suo mestiere non serve a niente. Ma se è l’occasione per tornare a dire che la letalità è il rapporto tra vittime del virus (secondo uno standard e non a seconda di quello che decide un sistema sanitario o un altro) e numero di contaminati (secondo uno standard e non a seconda di quello che appare da chi fa solo pochi tamponi, chi fa molti tamponi, chi fa tutte le analisi possibili, chi fa stime e modelli matematici) allora va bene. La letalità italiana è troppo diversa da quella tedesca perché non venga voglia di riflettere. Un fatto è chiaro: la contagiosità è molto alta; ma la letalità non è dimostrato che lo sia. Il tema è aumentare l’offerta del sistema sanitario di fronte alla concentrazione di casi. E molte altre cose che è lungo ripetere. Chi ha. voglia di continuare ad accusare può farlo se resta nei limiti dell’equilibrio. Ma resta vero che i dati sono troppo incoerenti per poter avere un’idea precisa della letalità di questo specifico virus.

      • Se non ti piace la letalità italiana guardati la letalità spagnola o quella francese o quella olandese. Vai a pescare la letalità tedesca perché è quella che ti fa comodo, perché per come l’hanno definita loro, torna il valore più basso possibile. Lo sai cosa dovresti fare? Vatti a vedere i dati ISTAT e calcola l’excess deaths. Stiamo contando la metà dei morti per coronavirus come morti per coronavirus. Come minimo, forse anche meno.

      • PS. un altro dato. Guardati i numeri di Castiglione d’Adda che questa settimana a fatto notizia per essere (probabilmente, forse) vicino all’immunità di gregge. Ammesso che non muoia più nessuno di coronavirus la mortalità lì sarà dell’1.8%. Visto che ci sono ancora casi attivi è più probabile che si arriverà tra il 2 e il 3%, e questo in presenza di assistenza sanitaria eccellente.

        “Ma la Germania, ma la Germania…” la Germania ti sta raccontando delle balle con i suoi numeri e tu te le stai bevendo, come ti sei bevuto la balla che “è meno pericolosa dell’influenza” un mese fa.

        • Buongiorno

          le ho citato le fonti che ho usato. Ho accolto come mi pare doveroso i suoi contributi. Non sono d’accordo con il suo modo di fare e con quello che scrive. Ma la ringrazio.

      • grazie. manteniamo la serenità. mi resta comunque un desiderio di colmare un forte gap tra ciò che riceviamo dai media e ciò che vorremmo sapere. la differenza tra il di e il con, l’accorpamento anziani-sintomatici, lo scudo penale dei vertici sanitari, e poi:asintomatici contagiosi? falsi positivi e negativi dei tamponi? e del test anticorpi? sino contagiosi loro?

        • Infatti: le cose che sappiamo male sono troppe. Quanti sono i contagiati? Le ultime stime di 5 milioni in Italia sono molto realistiche e appunto portano la letalità a una percentuale sensata. (Repubblica https://www.repubblica.it/cronaca/2020/04/06/news/coronavirus-253286203/). Quanti sono i morti rispetto alle normali medie del periodo e perché a quanto pare i morti totali sono molti di più delle medie stagionali in Lombardia ma non in Veneto? Perché la Germania ha pochi morti e la Lombardia tanti? Che cosa hanno fatto negli ospedali? Perché si chiede in Senato l’approvazione di una legge che copre gli amministratori degli ospedali? perché non riusciamo ad avere tantissimi tamponi? quando approvano il test sierologico per vedere chi ha gli anticorpi? Perché la proposta tecnica della app per il tracciamento è pronta da un mese e ancora non viene approvata? Si potrebbe continuare. Ma non è giusto fare solo domande. Le metto qui nei commenti, perché se qualcuno sa documentarmi qualcosa per rispondere fa un piacere a tutti. Se so qualcosa di più lo metto nei post…

  • Salve Luca,

    ci conosciamo da molti anni ormai fin dai tempi di bakeca.it…

    Credo di aver sperimentato tanti dei modi possibili di fare impresa e dopo essere stato LP di un fondo Americano e aver vissuto e compreso il sistema economico nel quale stavamo “affogando” ho preso la decisione di condividere quello che secondo me potrebbe non solo dare maggiori probabilità di successo ma di felicità e sicurezza fondando StarBoost.

    Con un numero crescente di persone che hanno capito che il modello capitalistico non è la soluzione stiamo cercando di far arrivare questo messaggio non solo ai giovani ma anche ai professionisti (avvocati/commercialisti) e alle altre professioni strategiche per uno sviluppo sociale ed economico basato su un nuovo modello collaborativo..

    Abbiamo provato negli ultimi 6 anni a raccontare a tutti i livelli (compreso la stampa) questa soluzione che nella “micro economia” permette di potenziare l’innovazione e lo sviluppo nella macro economia ma davvero abbiamo avuto pochissimo seguito rispetto a quello che sarebbe stato auspicabile ottenere per essere in questo momento in un altra condizione e mettere a terra il potenziale ormai assopito di tanti che hanno perso le speranze…

    Non dico che i risultati siano stati cosa da poco (anzi ne siamo davvero fieri nonostante tutto) ma mi sarei aspettato che fosse più compreso dalla politica e dal sistema in generale anche perché vedo tante parole ma zero soluzioni pratiche ed attuabili, e questa lo è.

    Continuo a credere nonostante siamo difronte ad una crisi da interventi istantanei che https://starboost.it continui ad essere un possibile concreto, sostenibile ed equo Modello da usare anche per ridare vita alle aziende e PMI che non riusciranno a riconvertirsi abbastanza velocemente visto al momento molte di queste non riusciranno a modificarsi strutturalmente e finanziariamente e falliranno o non avranno più nulla da perdere!

    Ovvio si tratta di cambiare paradigma e modello Economico (il che presuppone almeno di conoscere quello che abbiamo ora e per molti non è cosi) e questo costa fatica e desiderio di evolvere ma quale migliore investimento ci potrebbe essere se non slegare i lacci e lacciuoli ai giovani che con le loro ali insieme alla cooperazione di persone multidisciplinari e cross generazionali muniti di voglia e desiderio di creare potrebbero far ripartire la nostra Nazione e non solo?

    Il fatto è che quando si pianta un seme la pianta ci mette anni a creare un frutto che a sua volta dovra metterci altri anni a creare un’altra pianta e ora magari non è il momento più opportuno di investire medio termine sulle generazioni future cosi come non lo è stato negli ultimi decenni ma se se non si parte mai altrettanto mai si arriverà a destinazione…

    Sogno un mondo diverso anche se ormai non sono più tanto giovane,

    ti va di crearlo insieme?

    PS. La storia si ripete, speriamo che questa volta si possa davvero fare qualcosa in merito: abbiamo il dovere morale di creare un sistema che faccia elevare i talenti dell’uomo senza avere il timore di perdere i vantaggi che al momento sono riservati sempre più a meno persone perché anch’esse cosi facendo non fanno altro che nuocere a se stesse e ai loro figli…

    “lacci e lacciuoli”, coniata da Tommaso Campanella negli Aforismi politici, venne utilizzata da Carli già da Governatore della Banca d’Italia, nelle Considerazioni finali del 1973: “Ancora una volta è apparso che la politica economica […] preferisce mantenere una condizione generalizzata di sofferenza per il sistema produttivo, promovendo […] interventi misericordiosi, atti a conquistare gratitudine alle arciconfraternite che li compiono.
    1942 Carli aveva scritto: “[…] si dovranno rivedere gli impacci creati dalle leggi, togliendo gli ostacoli all’affermazione delle forze nascenti dalle libere iniziative […]. Non si tratta solo di consentire alle imprese esistenti di sopravvivere […] ma di consentire alla nuova classe imprenditrice, agli uomini di intelletto e di volontà che non hanno avuto la culla nella casa di un imprenditore affermato, di ottenere i capitali per mezzo dei quali porre in atto i propri propositi di innovazione”

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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