Ripartendo da un post di qualche giorno fa: Il neo-liberismo era non-liberismo. Il nuovo paradigma da definire. Appunti a valle del Festival della Tecnologia di Torino…
Supponiamo che gli esseri umani siano razionali. Supponiamo che tutti siano informati su tutto. Supponiamo che i consumatori vogliano sempre massimizzare l’utilità e gli imprenditori vogliano sempre massimizzare il profitto. Supponiamo che l’innovazione tecnologica sia una questione marginale. Supponiamo che nessun operatore economico sia troppo grande rispetto agli altri. Supponiamo che lo stato stia fuori dall’economia. In queste condizioni, il sistema economico può raggiungere la concorrenza perfetta e l’equilibrio economico generale garantisce la migliore allocazione delle risorse possibile. È una sintesi artigiana del pensiero economico neo-classico.
Sappiamo da mezzo secolo che queste condizioni sono irrealistiche. Sappiamo che non esiste la concorrenza perfetta e che non è neppure un obiettivo raggiungibile. Sappiamo che se le regole non proteggono la concorrenza, il mercato non funziona. Sappiamo che l’innovazione tecnologica esiste. Eppure questa visione dell’economia è stata usata per motivare le policy volute dall’ideologia neo-liberista. Divenute maggioritarie in Occidente dalla fine degli anni Settanta.
Il neo-liberismo è un insieme di policy che si sono fondate sulle analisi dell’economia neo-classica, sono state rilanciate da Milton Friedman e altri nel quadro di una visione che ha conquistato il ruolo di “pensiero unico” in Occidente. Hanno generato liberalizzazioni (cioè eliminazione di regole) e privatizzazioni (cioè cambiamenti nell’antropologia del potere economico) sulla scorta di alcune assunzioni non provate. Essenzialmente fondate sull’idea che lo stato deve uscire dall’economia, che i privati sono sempre meglio dei pubblici, che la ricchezza è un valore in sé e che la concentrazione della ricchezza è un fatto naturale. Tutte assunzioni che dopo la crisi del 2008 nessuno può difendere senza mentire a sé stesso. Ma che continuano a funzionare. Come se possedessero le menti di vaste maggioranze della popolazione – soprattutto in certi paesi – e dei ceti politici. Un lock-in culturale, come un sistema operativo obsoleto che nessuno riesce a cambiare se non lo cambiano prima gli altri.
Supponendo anche di superare questo lock-in, il controllo delle menti non è finito. Nella società della solitudine lasciata dalla desertificazione culturale prodotta dal neo-liberismo e dai suoi media di elezione – basati sulla pubblicità – si assiste a una lotta di tutti contro tutti, all’incertezza esistenziale, al rancore senza progetto.
Le pillole per il controllo delle menti si moltiplicano. Dall’LSD usato a Silicon Valley agli utilizzi scomposti della pastiglia della concentrazione, la Ritaline di Leandro Panizzon. Matrix continua a cercare capillarmente di indirizzare il destino delle persone e abbassare il senso critico. Oppure di convogliare il senso critico in una sorta di tecnica, una sorta di canone della critica, come nella retorica delle “narrative violations“. In un contesto senza spazio pubblico che accomuni tutti o quasi, la critica viene rimescolata in un minestrone di opinioni qualunque, senza una vera strategia culturale ma soltanto con una tattica di conquista dell’attenzione e dell’interesse.
Il grande contesto mediatico dei social basati sulla pubblicità è ormai descritto da numerosi critici confortati da numerosi paper scientifici come una macchina per produrre dipendenze, distorsioni e manipolazioni della realtà, accelerazioni dei fenomeni connessi al consenso, al protagonismo, all’inganno, a tutte le possibili forme di banalizzazione esistenziale e culturale. Ovviamente si tratta di esagerazioni simili e opposte a quelle dei grandi cantori del futuro connesso digitale progressivo ineluttabile che hanno scambiato lo storytelling per la storia. In tutti i casi la fioritura di diversità può essere creativa se accompagnata da un metodo che possa servire a unire puntini e confrontare costruttivamente punti di vista. Ma resta il rischio che la logica finanziaria che ha reso possibile l’enorme crescita delle mega piattaforme riesca a trovare sempre nuovi modi per alimentare illusioni.
Ma nella confusione di sentimenti, convinzioni, preoccupazioni, interessi emergente, si può anche assistere a un riorientamento delle pratiche di chi avendo aumentato il suo potere economico grazie al neo-liberismo voglia ora difendersi appoggiando tendenze neo-autoritarie. Non sarebbe la prima volta. Le rivolte servono poco se non c’è una progettazione ampia e solida per vedere e costruire un’alternativa. Il capitalismo non è il neo-liberismo: questo è in crisi, quello no. E potrebbe scommettere su più tavoli: compreso quello di chi è disposto a rinunciare alla democrazia per ottenere un’illusione di stabilità.
L’uscita da Matrix è in corso. Ma occorre una strategia culturale fondamentale, occorre un mondo di senso alternativo, occorre pazienza e generosità. Umiltà e solidarietà. La strategia è tutta da costruire. Molti cercano di raccontare questo passaggio. Siamo in mezzo a un cambio di paradigma. Pensare che cosa ci sarà dopo è importante. Connettersi è importante. Avere senso storico è importante. Non ci sono ricette facili. Ma – una volta visto che Matrix è Matrix – non è possibile rinunciare a lavorare in questa prospettiva.
post in aggiornamento
Vedi:
Against Economics
Silicon Valley’s extreme new productivity hack: LSD
La pilule de l’obéissance
Swiss fact: Ritalin was invented in Switzerland
What Makes a ‘Narrative Violation’?
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