Internet, robot, genetica, nanotech. Il lavoro e l’automazione. La moneta e il digitale. Il welfare e l’innovazione sociale. Come è messa l’Italia?Che cosa dobbiamo capire meglio? Cambia tanto, troppo, troppo poco? Puoi scriverne al pubblico del Sole 24 Ore. Io contribuisco con un commento o qualche informazione se serve. La rubrica esce al sabato. Comincia a scrivere qui nei commenti!
26/04/2017 05:16
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Luca De Biase
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Mah. …internet si evolve in fretta, già nel 95 si parlava anche di intranet, il software per le forze dell dell’ordine. …poi si potevano trasportare i dati da PC a PC, ed era una specie di furto. Ora l’intelligence usa sistemi segreti ma non più di tanto. ..studiare informatica è un surplus, ti apre le porte del lavoro. ..bene:ma che non diventi un’ossessione, ricordiamoci che troppe ore al computer rovinano pure, oltre la mente, la visita. ..
In un’Italia ancorata al passato, dove si rimpiangono i miracoli economici degli anni ’60 e ’80 del ‘900, manca una reale consapevolezza del presente. L’innovazione tecnologica è ancora vista come il frutto dell’invenzione creativa dei singoli. Ci affidiamo alla nostra proverbiale creatività, ma questo è più un atto di fede che un progetto vero e proprio. In realtà, la tecnologia è un tentativo di potenziamento delle nostre facoltà necessario per affrontare le nostre sfide quotidiane. In questo senso, l’innovazione non è mai un colpo di genio, ma la risposta inconscia a uno stimolo sociale. Acquisire consapevolezza di questo processo ci permette di gestirlo, di potenziarlo e di non esserne schiavi. L’automazione, ad esempio. E’ un processo iniziato molto prima di quando si possa pensare, ma solo adesso ne valutiamo gli effetti, quando ormai sono quasi completamente davanti ai nostri occhi. L’Italia, nella robotica, è all’avanguardia. Se fosse all’avanguardia anche nella consapevolezza dell’essenza della tecnologia, ci sarebbero tutti gli elementi per uno sviluppo sano, significativo, sostenibile.
Stefano Nicoletti
Coach, formatore, consulente
grazie!
Ormai è il live motive ricorrente: è arrivata la 4 Rivoluzione Industriale. Un altro passo avanti nel percorso evolutivo che ha permesso al genere umano di cambiare, a volte in meglio altre in peggio, il suo status di primate. La sua evoluzione, che nei secoli lo ha visto protagonista e vittima del suo stesso genio, oggi non propone nuove scoperte, ma l’uso estensivo di una tecnologia nata per aiutarlo. Una tecnologia che si è evoluta nel tempo, divenendo sempre più sofisticata e che oggi ha occupato una parte importante nel nostro sistema di vita. Questa tecnologia, che entra a far parte del mondo del lavoro già in un passato prossimo, oggi, come nel sistema delle relazioni interpersonali, vuole avere, anche nei processi economici, un posto di eccellenza. Forse sarebbe bene chiedersi se questo è un bene, oppure temerla come una mina vagante, che se mal gestita può causare danni anche irreparabili. Proviamo a guardarci intorno; le nuove generazioni sono intrise di questa tecnologia, la loro esistenza non può essere completa se non attraverso l’uso di questa tecnologia, cadono in depressione, sono disorientati, incapaci di affrontare un problema semplice come una divisione. Certamente i tempi di risposta si sono ridotti, ma a scapito della capacità di ragionameto e nel mondo del lavoro cosa accadrà? L’uso di questa tecnologia ridurrà i posti di lavoro o li aumenterà? quale sarà la figura di chi la deve usare? chi la usa è lo stesso soggetto che la gestisce o la crea? Che rulo avrà l’utilizzatore rispetto al gestore? sono domande iportanti da non sottovalutare …… l’energia atomica è una risosrsa ( non sempre utile) ma se mal gestita è l’inizio della fine.
Direttore grazie e complimenti per la bella iniziativa!
Ho letto i commenti sopra, spunti interessanti!
Io ho scritto di come il web sta cambiando con la nostra attenzione e partecipazione sul tema piattaforme qua
https://segnalerumore.it/piattaforme-generative-come-e-perch%C3%A9-il-web-sta-cambiando-insieme-a-noi-85c62902a6ee?source=messageShare-b97affa2b6a8-1494149030
Poi, visto che mi interesso del tema, ho scritto di come le persone sempre con le nuove tecnologie e modelli di piattaforme P2P possono cooperare insieme generando più valore per tutti – in modelli in cui però anche la proprietà della piattaforma diventa collettiva (ho fatto qualche domanda al co-founder di Resonate – una piattaforma per la musica in streaming)
https://medium.com/@SamueleBozzoni/ascoltando-musica-con-resonate-domande-e-risposte-con-il-co-founder-peter-harris-4a3d5acf6e29?source=messageShare-b97affa2b6a8-1494149259
In generale mi sembra che di questi temi si parli poco e poco in chiave di innovazione sociale, come opportunità che tecnologia e sociale producano valore di qualche portata collettiva.
Cosi io mi sperimento a scriverne!
Se lo accetti questo è un articolo che avevo scritto riflettendo sul ruolo di una professione specifica di fronte all’ascesa dell’intelligenza artificiale.
Se i computer, oltre a batterci nelle funzioni meccaniche iniziano a superarci anche in quelle più tradizionalmente umane, vuol dire che andiamo verso la fine del lavoro? Finiremo come la città e le stelle, condannati ad un esistenza di vuoto esercizio creativo?
http://www.amatelarchitettura.com/2016/06/lascesa-dellintelligenza-artificiale-e-lutilita-dellarchitetto/
“Assistenza a Casa”: essere e fare rete. Da più di un decennio le politiche e gli interventi per la non autosufficienza sono al centro del dibattito sul rinnovamento dei sistemi di welfare. Questo non solo a livello europeo, ma in particolare nel nostro Paese che, se ancora negli anni Novanta presentava grosse lacune, ha progressivamente, seppure faticosamente, provato a colmare il divario con i principali paesi membri dell’UE.
Il secondo welfare non sembra aver ancora sviluppato a sufficienza il proprio potenziale nel settore dei servizi alla persona: un potenziale che riguarda sia la risposta ai bisogni sia la creazione di occupazione. Per quanto riguarda i bisogni, sappiamo che in Italia il sistema-famiglia produce al suo interno un ampio ventaglio di servizi per i propri componenti, soprattutto per i bambini piccoli e gli anziani.Il mio progetto “Assistenza a Casa”, nasce per favorire la nascita di un nuovo modello di governance che poggi su una rete multiattore solida e votata a lavorare in modo continuativo e sinergico. E’ strategico progettare gli interventi in modo partecipato. I servizi che operano nel settore della fragilità e del disagio devono possedere una struttura solida in grado di fornire agli utenti risposte adeguate e coerenti rispetto al bisogno di cui sono portatori. E’ fondamentale stabilire linee di indirizzo e modalità operative strutturate che possano favorire la definizione di percorsi stabili, coerenti e in grado di prendersi cura della persona nella sua globalità.
Il progetto «Assistenza a Casa» mostrerà come la progettazione favorisca soluzioni innovative e improntate a una maggiore flessibilità passando attraverso la sperimentazione di interventi; permetterà di sviluppare collaborazioni e partnership con altre organizzazioni sulla base di accordi e obiettivi comuni e di sviluppare «lavoro di rete» tra servizi, assessorati, enti diversi (Comune, Asl, Azienda ospedaliera e altre organizzazioni); di accedere a nuove risorse finanziarie (tra cui finanziamenti regionali, nazionali, ed europei erogati sulla base di progetti definiti); punti volti a evitare inadeguatezze, disfunzionalità e sprechi nella gestione/erogazione delle prestazioni.
Curiamo la disoccupazione con i lavori di cura. La Francia come esempio. Il problema dell’invecchiamento e quello del lavoro: le due soluzioni possono viaggiare insieme, e gli anziani possono diventare il motore della ripresa. Il modello francese dei vouchers e la necessità di una strategia che può liberare e potenziare il lavoro femminile. Secondo le proiezioni del ‘constant disability scenario’ elaborato dagli esperti della Comunità europea, in Italia gli anziani con almeno una disabilità sono destinati a salire a 4 milioni e 379 mila nel 2050 rispetto ai 2 milioni e 659 mila stimati per il 2010, con un incremento di 1 milione e 720 mila spalmato sui prossimi trent’anni.
Esistono altri modi di organizzare la cura agli anziani che implicano una razionalizzazione delle ore di cura meno spinta e guadagni occupazionali notevoli in prospettiva, quello francese in particolare. Dall’inizio degli anni 2000 in Francia si è proceduto a razionalizzare sia gli strumenti finanziari che l’offerta reale di servizi nell’ambito della non autosufficienza e della cura alla persona.
Proviamo a tradurre questo incremento di domanda in potenziale crescita occupazionale con una stima a grandi spanne, ma non infondata. In quell’Olanda che attualmente vanta uno dei maggiori tassi di copertura per la cura degli anziani, chi è curato a domicilio ma non soffre di disabilità gravi quale la demenza senile riceve in media 10 ore la settimana, cure personali e lavoro domestico inclusi (Bettio e Verashchagina 2010). Se si prendono queste ore come parametro rappresentativo, di qui al 2050 si creerebbero 860 mila posti di lavoro ‘part-time’ a 20 ore l’uno la settimana, o 477 mila posti di lavoro a 36 ore la settimana, un tempo pieno per la maggioranza delle italiane.
Grazie ai commentatori!!! Farò del mio meglio per pubblicare tutti nel corso delle settimane…
Caterina Tiazzoldi sent the following message at 4:45 PM
Ciao Luca sono Caterina Tiazzoldi relativamente nota come donna italiana innovatrice fra il progetti il famoso coworking toolbox uscito su tutti i media del mondo. Ti scrivo qui perché ho visto il tuo post e non riesco a digitare un paragrafo su twitter.Sono molto friendly con la tecnologia ma allo stesso tempo avendo vissuto in tanti paesi del mondo penso che la tecnologia sia parzialmente “l’oppio dei popoli” si passano ora a installare software e apps quasi un po come dei criceti nella ruota. Spostandomi fra Cina Italia e america e’ un continuo. Quindi ho praticamente buttato via il telefono e procedo come all’epoca di cristoforo colombo. L’Italia dell’innovazione deve essere un italia eche sa guardare se stessa. Quante volte abbiamo sentito quanto gli altri sono avanti e copiamo modelli che poi si rivelano fallimentari. Quante volte sentiamo dire che a Londra o New York quello c’e già da 5 anni? Robotica insegno da anni in scuole avanzate e molti dei laboratori più fighi del mondo non hanno le apparecchiature parzialmente dismesse ma molto avanzate dell’industria italiana. Ci sono tante cose eppure alla TV si parla sempre degli altri e noi sembriamo sfigatoni. Quindi capire che c’e già tutto quello che gli altri scoprono solo ora.
Ciao Luca,
sicuramente è un periodo storico in cui tutto sta cambiando velocemente. Internet è stata una rivoluzione che ha sicuramente portato enormi benefici e riserba ancora incredibili potenzialità tutte da sviluppare. Ma, come tutte le grandi novità, ha portato con se anche delle insidie di non poco conto. Siamo stati letteralmente sommersi da una incredibile quantità di informazioni, fruibili in un click. Digitiamo qualche parola chiave e ci si sentiamo dei tuttologi, ruolo che poi internet permette di assumere “ufficialmente” dato che ognuno può condividere la sua opinione nei social networks.
Il problema, a mio avviso, è che non eravamo preparati a un cambiamento così drastico su fonti di informazione e modalità comunicative. Italia in primis. Internet è un contenitore di informazioni, ma non costituisce conoscenza pura. O meglio contiene informazioni corrette, ma anche una gran quantità di informazioni errate. E non è semplice ai più distinguerle. Le discussioni pertanto si basano spesso su presupposti completamente errati. A questo si aggiunge il fatto che l’internauta medio è abbastanza superficiale, magari legge solo l’inizio di un articolo/post, e con un click lo condivide. Sarà importante in futuro imparare, sin da piccoli, a pesare le informazioni, a verificare le fonti, a sviluppare appieno il pensiero logico e critico.
Sarà anche importante che ognuno si assuma la responsabilità di ciò che dice in rete, esattamente come accade nella vita reale. Ma soprattutto sarà importante capire che per comprendere a fondo un argomento non basta leggere un post. Bisognerà riconoscere che un esperto è tale perché è da tempo che studia e si dedica ad un determinato argomento.
Un aspetto positivo di internet è la sua capacità di connettere competenze a livello globale. Osservare dall’esterno potrebbe rappresentare in futuro uno degli strumenti più efficaci per comprendere e risolvere al meglio i problemi in Italia. Bisognerà semplicemente allargare i nostri orizzonti, con l’Europa e col mondo intero. A tal riguardo abbiamo da poco creato una rete di ricercatori che lavorano o hanno lavorato recentemente all’estero. L’idea è di riportare in Italia “modus operandi” da realtà estere che dimostrano di funzionare molto bene, per contribuire alla crescita dell’Italia con un approccio più ampio possibile. Siamo già oltre mille e siamo convinti che possiamo aiutare a rilanciare ricerca e sviluppo in Italia. Siamo convinti di poter riportare nuove frontiere tecnologiche, innovazione, competenze e soprattutto soluzioni a problemi che si sono già presentati altrove e che sono già stati affrontati e risolti con successo.
Infine dobbiamo cominciare a costruire una cultura al cambiamento anche in Italia. Nuove tecnologie ci verranno incontro per costruire un futuro migliore, ma dobbiamo essere capaci di saperle sfruttare al meglio.
Un caro saluto, Gabriele
Pagina Facebook Ricercatori Italiani all’Estero:
https://www.facebook.com/groups/ricercatori.estero/
Pagine Facebook personali:
https://www.facebook.com/gabrieleduva.lab
https://www.facebook.com/gabriele.duva
Qualche mio recente articolo/intervista su argomenti correlati:
Giannella Channel
https://www.giannellachannel.info/2017/04/29/associazione-ricercatori-scienziati-italiani-estero-cervelli-italia-unitevi-e-rientrate-appello-cardiologo-gabriele-duva/
Gli Stati Generali
http://www.glistatigenerali.com/medicina/gabriele-duva-litaliano-grazie-al-quale-rigenereremo-i-cuori-infartuati/
Giannella Channel
https://www.giannellachannel.info/2017/04/15/gabriele-duva-ricercatore-arrivato-in-italia-medico-che-ha-scoperto-gene-riparare-cuore-infarto/
Ciao Luca,
sicuramente è un periodo storico in cui tutto sta cambiando velocemente. Internet è stata una rivoluzione che ha sicuramente portato enormi benefici e riserba ancora incredibili potenzialità tutte da sviluppare. Ma, come tutte le grandi novità, ha portato con se anche delle insidie di non poco conto. Siamo stati letteralmente sommersi da una incredibile quantità di informazioni, fruibili in un click. Digitiamo qualche parola chiave e ci si sentiamo dei tuttologi, ruolo che poi internet permette di assumere “ufficialmente” dato che ognuno può condividere la sua opinione nei social networks.
Il problema, a mio avviso, è che non eravamo preparati a un cambiamento così drastico su fonti di informazione e modalità comunicative. Italia in primis. Internet è un contenitore di informazioni, ma non costituisce conoscenza pura. O meglio contiene informazioni corrette, ma anche una gran quantità di informazioni errate. E non è semplice ai più distinguerle. Le discussioni pertanto si basano spesso su presupposti completamente errati. A questo si aggiunge il fatto che l’internauta medio è abbastanza superficiale, magari legge solo l’inizio di un articolo/post, e con un click lo condivide. Sarà importante in futuro imparare, sin da piccoli, a pesare le informazioni, a verificare le fonti, a sviluppare appieno il pensiero logico e critico.
Sarà anche importante che ognuno si assuma la responsabilità di ciò che dice in rete, esattamente come accade nella vita reale. Ma soprattutto sarà importante capire che per comprendere a fondo un argomento non basta leggere un post. Bisognerà riconoscere che un esperto è tale perché è da tempo che studia e si dedica ad un determinato argomento.
Un aspetto positivo di internet è la sua capacità di connettere competenze a livello globale. Osservare dall’esterno potrebbe rappresentare in futuro uno degli strumenti più efficaci per comprendere e risolvere al meglio i problemi in Italia. Bisognerà semplicemente allargare i nostri orizzonti, con l’Europa e col mondo intero. A tal riguardo abbiamo da poco creato una rete di ricercatori che lavorano o hanno lavorato recentemente all’estero. L’idea è di riportare in Italia “modus operandi” da realtà estere che dimostrano di funzionare molto bene, per contribuire alla crescita dell’Italia con un approccio più ampio possibile. Siamo già oltre mille e siamo convinti che possiamo aiutare a rilanciare ricerca e sviluppo in Italia. Siamo convinti di poter riportare nuove frontiere tecnologiche, innovazione, competenze e soprattutto soluzioni a problemi che si sono già presentati altrove e che sono già stati affrontati e risolti con successo.
Infine dobbiamo cominciare a costruire una cultura al cambiamento anche in Italia. Nuove tecnologie ci verranno incontro per costruire un futuro migliore, ma dobbiamo essere capaci di saperle sfruttare al meglio.
Un caro saluto,
Gabriele D’Uva
Caro Luca, tanto per cominciare, io comincerei (non è certamente il tuo caso) a fare attenzione alle parole e al tono che utilizziamo quando parliamo di queste cose.
Come ogni cosa, l’equilibrio è la chiave. L’arretratezza del nostro paese può però essere un’occasione per mettere in pratica, da zero, idee innovative sulla regolamentazione e l’applicazione delle nuove tecnologie e dei nuovi lavori. Fiscalità, privacy o diritto del lavoro: l’inesistenza di una struttura e di qualsiasi progetto a lungo termine in Italia ci permette di sedere paradossalmente in una posizione privilegiata. Come la Cina, anche noi possiamo fare “il salto”. Ad esempio, la questione dei voucher è stata una bella occasione persa per far convergere il problema del lavoro accessorio e occasionale con quello della gig economy in un’unico momento di regolamentazione (ci sono già in giro diverse proposte a tal riguardo, nessuna presa in considerazione da chi avrebbe dovuto, sindacati compresi). Bisogna investire in ricerca e sviluppo delle nuove tecnologie, in maniera strutturale e intelligente: ben vengano incubatori e fondi alle startup, ma non bastano. Vanno creati hub sofisticati, va valorizzata l’eccellenza che già c’è nell’ambito dello studio e dello sviluppo high-tech, partendo da 0 per arrivare direttamente a 2.
[…] nato 106 anni fa, il 21 luglio… e proprio mentre stavo leggendo di lui è arrivata una lettera per la rubrica dei lettori che scrivono di innovazione dedicata a McLuhan. La potenza intellettuale di quello che ha fatto […]
Gentile Direttore,
innanzitutto complimenti per l’iniziativa. Un dibattito pubblico su questi temi nel nostro Paese serve come il pane! Questo il mio punto di vista sulla paura che spesso si ha della tecnologia:
la tecnologia fa paura soprattutto perché smaterializza e disintermedia. Si tratta di due caratteristiche che in sé e per sé non hanno nulla di negativo, anzi consentono a ciascuno di noi di estendere il proprio raggio d’azione sul mondo.
Chi scrive è cieco dalla nascita e potrebbe passare ore a raccontare come la tecnologia, smaterializzando molte attività e disintermediando molti processi, sta rendendo le persone con handicap sempre più “abili” nel compiere numerose azioni in autonomia.
Quello che dovrebbe spaventarci è uno scenario in cui la tecnologia prenda il posto dell’uomo nell’analizzare la realtà e prendere delle decisioni. Ma, al contrario di quanto si possa pensare, siamo molto lontani da uno scenario simile, che forse non si realizzerà mai. L’intelligenza artificiale, nelle applicazioni che abbiamo visto finora, si limita a mettere insieme dei pezzi (tanti pezzi certo, molti più di quelli che il cervello umano riuscirebbe a prendere il considerazione) e, sulla base di logiche predeterminate, a prendere decisioni in fretta (molto prima di quanto farebbe l’uomo) e senza condizionamenti emotivi. Ma l’uomo è in grado di fare molto più di questo: basti considerare il metapensiero, il ragionamento astratto oppure un elemento cruciale come la volontà, tutti aspetti che nell’intelligenza artificiale figurano solo in minima parte.
Perché ci preoccupiamo allora? Perché la tecnologia si sta sostituendo a noi nel compiere molte azioni a cui eravamo tanto affezionati ma dal valore aggiunto scarso o addirittura inesistente. La tecnologia comincia a sostituirsi a noi anche nell’elaborazione del pensiero semplice, quello che bene o male sappiamo formulare tutti.
In sostanza, la tecnologia ci sta sottraendo quello in cui ci sentivamo bravi, lasciando a noi solo attività e pensieri complessi e mettendo così a nudo la debolezza dell’uomo comune: tutti infatti saremmo in condizione di compiere quelle attività e formulare ragionamenti anche molto complessi ma solo in pochi, per varie ragioni che non sto qui ad analizzare, possono davvero farlo.
In conclusione la tecnologia, nel ridurre quelli che oggettivamente per noi rappresentano dei limiti come non vedere, non sentire o non camminare, ci sta ponendo di fronte ai nostri veri limiti… E questo, inconsciamente, ci fa paura.
Buon proseguimento!
Luca Spaziani (Twitter: @luspaziani)
Stiamo vivendo un profondo cambiamento tecnologico che non si verificava da quando ci siamo tuffati, per la prima volta, nell’universo di internet. Ricordo che solo per connettersi, con il proprio computer scatoloso, si udiva in casa un suono prolungato, stridente e fastidioso. I primi internauti venivano cacciati come dei mostri che volevano usare internet per cercare delle immagini porno che ” i cosiddetti giornali di carta ” non regalavano. E, tutto ciò, era sbagliato. Internet era un mondo diverso da quello reale ed interagiva con questo, non lo sostituiva assolutamente. Allo stesso modo la robotica viene additata come causa di disoccupazione e, questo non corrisponde a verità. La robotica ci aiuterà nel nostro quotidiano. Tutto ciò che è nuovo ci fa paura e, non riesco a comprendere il motivo, sinceramente. La realtà virtuale, la realtà aumentata sono meravigliose e sono un importantissimo ausilio alla nostra esistenza. Anche tutto ciò che verrà tra cento, mille e diecimila anni non deve procurarci un terrore ma accettare le novità per quelle che sono. Io non mi reputo un futurista ma, un futurista oltre il futuro: clonazioni di essere umani, case domotiche comandate con il pensiero, social network con amici olografici e tante altre novità che non scrivo in quanto mi reputerete come un folle. Quando fu inventato il telefono e, di poi, istallato in ogni casa, moltissimi affermarono che era un mezzo per non uscire di casa, così non fu. Il grande Bill Gates disse, negli anni settanta, che nell’anno duemila in ogni casa ci sarebbe stato un computer e così fu. Io, umile fautore della tencnologia, affermo con fermezza che, nell’anno duemilatrenta, in ogni casa ci sarà un robot. Un consiglio, apriamo la nostra mente alle novità tecnologiche perché saranno sempre di più presenti nelle nostre esistenze, dei nostri figli, dei nostri nipoti.
Gig economy, a Milano la UILTuCS incontra i lavoratori delle app
Il 20 ottobre 2017 nella sala riunioni della UILTuCS Milano e Lombardia di via Melchiorre Gioia 41/a a Milano si terrà un incontro sulla gig economy e il suo sviluppo in Italia.
L’incontro organizzato dalla UILTuCS nazionale e dalla UILTuCS Milano e Lombardia sarà utile per discutere sulle idee e le proposte fatte da diverse parti per provare a regolare questo tipo di economia.
Sarà anche un momento di confronto tra lavoratori, istituzioni, sindacalisti e studiosi per formulare proposte operative di organizzazione dei lavoratori della gig economy e fare il punto su un fenomeno del lavoro che ormai è presente anche nel capoluogo lombardo.
I relatori dell’evento saranno Michele Tamburrelli, Segretario generale UILTuCS Milano e Lombardia; Guglielmo Loy, Segretario Confederale UIL; Antonio Aloisi, Ricercatore Dipartimento Studi Giuridici Università Bocconi di Milano e autore di diversi studi sulla gig economy, Chiara Gribaudo, Parlamentare PD, Commissione Lavoro; Veronica Tentori, Parlamentare PD, Commissione Turismo, Commercio e Attività produttive, alcuni rappresentanti dei rider delle principali app del delivery di Torino e Milano; Gabriele Fiorino, Segretario Nazionale UILTuCS e Giovanni Gazzo, Presidente UILTuCS Milano e Lombardia.
Seguirà un dibattito tra i partecipanti all’iniziativa.
Si parlerà di Foodora, Deliveroo, Uber Eats e Glovo. Si parlerà anche dei lavori sulle piattaforme del lavoro domestico, dello sviluppo software, della moderazione dei contenuti digitali.
La cosiddetta economia dei lavoretti o app economy, giusto per citare alcuni dei nomi che identificano più o meno bene questo fenomeno che – al pari dello sviluppo tecnologico – si evolve rapidamente e proprio con l’utilizzo della tecnologia impiega vecchi lavori con nuove modalità.
Un’economia che interessa da vicino anche l’attività sindacale e le nuove sfide che il mercato del lavoro pone di fronte alle organizzazioni che rappresentano i lavoratori.
Una delle principali è sicuramente la definizione del rapporto di lavoro che oscilla dall’occasionale al subordinato secondo il tipo di prestazione offerta e della piattaforma di lavoro online utilizzata.
La giurisprudenza italiana ancora attende a pronunciarsi su tale aspetto e intanto cominciano a vedersi alcuni tentativi per inquadrare dal punto di vista normativo questo “mondo di mezzo” delle categorie contrattuali.
In tal senso, ci sono state alcune interrogazioni parlamentari che hanno proposto un inquadramento del rapporto di lavoro totalmente subordinato; soprattutto nel caso dei lavoratori delle consegne a domicilio come Foodora o Deliveroo.
C’è la proposta della Scuola Europea delle Relazioni Industriali che propone invece tre pilastri su cui costruire una normativa della gig economy: 1) esercizio dei diritti sindacali; 2) Piattaforme quali agenzie di somministrazione; 3) Tutele assistenziali e previdenziali.
Poi c’è il “Manifesto per salvare la gig economy” di Antonio Aloisi, Valerio De Stefano e Six Silberman che, partendo dal proclama dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro “il lavoro non è una merce” e aggiornandolo a “il lavoro non è una tecnologia”, hanno condiviso 11 proposte – dal rating personale portabile all’orario minimo, per citarne alcune – perché l’economia on-demand non si trasformi nel Far West.
A livello europeo anche la Confederazione Europea dei Sindacati e UNI Europa hanno già lanciato iniziative e gruppi di lavoro sul tema, confrontandosi anche con la Commissione Europea che, da canto suo, invita i singoli Paesi a interagire con le parti sociali e le altre istituzioni affinché si possa trovare una definizione del quadro normativo per i lavoratori della gig economy.
L’ETUI, l’istituto di ricerca della CES, ha proposto – grazie a un documento di Jan Drahokoupil e Brian Fabo l’idea di estendere i contratti collettivi ai lavoratori delle piattaforme online.
Un invito a riflettere soprattutto alla luce del fatto che il settore terziario in Italia è diventato centrale negli ultimi anni, così come i dati di varie ricerche sull’occupazione italiana ci dimostrano.
Nonostante sia arduo definire oggi l’entità del fenomeno in Italia, è certo invece che la quota è in crescita e sembra toccare le centinaia di migliaia di persone coinvolte non solo nelle principali città italiane del Centro-Nord ma in maniera più o meno diffusa anche nel resto del Paese.
Sembra così almeno secondo l’Online Labour Index, un indicatore internazionale creato dall’Università di Oxford che raccoglie ed elabora i dati dalle principali piattaforme di lavoro online.
La società Solland di Merano in procedura fallimentare rappresenta un chiaro esempio di come si può distruggere una realtà che è considerata dagli anni trenta del secolo scorso un esempio di altissime competenze. Nata nell’ambito Montecatini ha sviluppato dagli anni 70 una produzione di silicio di elevata purezza per l’industria elettronica. Dopo avere subito le vicende che hanno vista il fortissimo ridimensionamento dell’industria chimica è stata oggetto di passaggi di proprietà che si sono conclusi con l’abbandono dell’ultimo proprietario, una multinazionale USA che ha trasferito tutta la produzione in Oriente.
Il management ha sempre goduto di altissima stima a livello internazionale tanto che alcuni tecnici meranesi sono stati reclutati da imprese USA e cinese. Parlare di tecnologia dl silicio iperpuro nel mondo vuole dire riferirsi quasi sempre alla realtà altoatesina. Gli americani sono andati via dall’Italia e dall’Europa per motivi interni e soprattutto perché le applicazioni del silicio si sono enormemente sviluppate in Estremo Oriente per il mercato solare che richiede una purezza inferiore rispetto al mercato elettronico. Il mercato europeo è oggi ritenuto poco interessante per i tanti vincoli che affliggono l’industria in Europa ed in Italia in particolare. Dopo gli americani sono subentrati imprenditori campani che hanno spolpato l’aziende portandola in breve al fallimento.
La chiusura di Solland riguarda solo 80 unita lavorative che però a regime superavano le 200 unità. Solland è nata dallo smembramento di una unità che tra Merano e Novara da lavoro ad oltre 1000 unità. Solland purifica il silicio con purezze elevatissime come richiesto dall’industria dei semiconduttori. Accanto è presente Sunedision che ha anche uno stabilimento a Novara che produce fette di silicio per la microelettronica. Esiste una elevata possibilità che una volta chiusa Solland dopo qualche tempo la multinazionale americana porti tutto in Oriente.
Come accennato si può dire che le tecnologie dei semiconduttori abbiano visto una preziosa partecipazione nel loro sviluppo da parte dei tecnici di Merano. Dopo il fallimento alcuni interessamenti si sono avuti ma ha scoraggiato gli investitori soprattutto il sistema Paese ma anche le resistenze locali che vedrebbero con favore la chiusura di una realtà che occupa soprattutto lavoratori di lingua italiana. Ultimamente i lavoratori su varie sollecitazioni esterne hanno studiato un progetto per fare ripartire la fabbrica sotto forma di cooperativa ma l’impegno finanziario ha fatto scartare questa possibilità. D’altra parte a Merano il vero patrimonio è dato dal know-how che è considerato di altissimo livello. L’idea è quella di concertarsi sulla produzione di silicio per l’industria elettronica che ha esigenze di purezza molto superiori a quelle necessarie all’industria del solare fotovoltaico dove il dominio è della Cina che riempie il mercato con prodotti di scarsa qualità a prezzi stracciati con chiare azioni di dumping. Una ripartenza si dovrà basare sulla produzione di silicio per i semiconduttori dove è richiesta una elevatissima purezza e soprattutto una costanza della qualità nel tempo. In Cina ad oggi non esistono competenze adeguate. Il business plan messo a punto anche con la partecipazione di consulenti esterni prevede un investimento di trenta milioni di euro con un tempo di ritorno di circa tre anni. Il mercato è assicurato, i produttori di microelettronica che si sono dichiarati disposti a collaborare. Un ruolo molto importante è necessario sia svolto dalla Provincia che non può permettersi di perdere un grande patrimonio di conoscenze anche se in Sud Tirolo i problemi occupazionali appaiono non così stringenti come altrove.
Ultimamente la Provincia ha deciso di licenziare tutti i dipendenti a fine ottobre e pensa di trasformare l’area in una discarica. Un gruppo di tecnici, che conoscono bene il problema sta operando per trovare nuovi investitori ed i contatti sono in corso con diversi fondi di investimento esteri che chiedono solo altri 30 giorni per decidere. Se partono i licenziamenti si perde tutto un know how accumulato in tanti decenni. A Merano i lavoratori sono estremamente qualificati ed hanno sempre scartato l’idea di fare iniziative che abbiano una forte risonanza ma ora si rivolgono alla opinione pubblica per rendere note le grandi prospettive che si possono avere anche a breve termine.
In pratica la Provincia deve dare altri 30 giorni di tempo prima di chiudere e trasformare tutto in discarica.
Prof Ing Paolo Redi
Viale Segni 17 50132 Firenze tel 3355614999 email p.redi@stechnologies.it
16 giugno 2019, ‘Domenica’.
Da affezionato lettore leggo l’arioso mini saggio del prof Gentile e il provinciale commento “politico” su Zeffirelli.
Con stima complessiva,
Paolo Tordi
Se nemmeno l’emergenza cambia le logiche della scuola.
Nella conferenza stampa di lunedì 6 aprile la Ministra Azzolina ha chiesto scusa ai precari della scuola italiana per l’impossibilità di aggiornare le graduatorie di istituto. La Ministra ha giustificato il rinvio dell’aggiornamento al prossimo anno sostenendo che tale rinvio è dovuto a «procedure vetuste, a lacune nella digitalizzazione del Paese» che implicano grosse difficoltà per il MIUR nel «portare avanti un milione di domande cartacee con raccomandate e ricevute di ritorno e bolli» e ha promesso che le graduatorie saranno aggiornate «l’anno prossimo con una procedura digitalizzata».
Le parole della Ministra stupiscono e lasciano perplessi, se si tiene conto del fatto che l’attuale procedura, stabilita nel DM che regolava l’aggiornamento per il triennio 2017/2020 (DM 374 dell’01/06/2017), offre la possibilità di effettuare l’aggiornamento unicamente in via telematica. Come si legge all’art. 7 del summenzionato DM, l’aggiornamento delle graduatorie prevede il caricamento sul sito del MIUR di un modulo e la consegna di uno o più modelli di domanda all’istituto o agli istituti scolastici di riferimento. Al p. 3 del cm. A, si precisa che «il modello o i modelli di domanda possono essere trasmessi in formato digitale mediante PEC all’indirizzo di posta elettronica certificata dell’istituzione scolastica prescelta». Ora, non è difficile giungere alla conclusione: se, data l’emergenza sanitaria in corso, il MIUR avesse stabilito che la sola modalità di consegna della modulistica alla scuola prescelta debba essere la PEC, sarebbe possibile effettuare l’aggiornamento stando davanti a un PC, cioè senza correre il rischio di formare assembramenti nelle sedi scolastiche di riferimento. E comunque, a prescindere dalla modalità di trasmissione della modulistica alla sede scolastica di riferimento (consegna a mano, r-r o PEC), è ovvio che il MIUR non riceverebbe alcun documento cartaceo, visto che il DM in oggetto prevede, lo ripeto, il solo invio telematico. Quali sarebbero, allora, le «milioni di domande cartacee» di cui la Ministra parla?
Cordiali saluti e buon lavoro.
Enrico Cipriani
La situazione sociale ed economica determinata dalla emergenza sanitaria per covid-19 è molto complessa e richiede soluzioni articolate. Le soluzioni articolate scaturiscono dall’adozione corretta e coordinata di soluzioni “elementari” mirate a singoli temi.
Provo a proporre un possibile approccio per aiutare il comparto del turismo e quindi del paese.
Se si introducessero dei vantaggi fiscali per gli italiani che sceglieranno di fare le proprie vacanze in Italia (per i prossimi 2-3 anni per esempio), si avrebbero molteplici vantaggi per i singoli e per il comparto del turismo. Il vantaggio fiscale per il cittadino dovrebbe essere a totale carico dello Stato. Tale meccanismo sarebbe virtuoso in quanto attiverebbe risorse economiche interne al paese con un effetto economico benefico anche su altri settori collegati, non solo, aiuterebbe a creare un clima di fiducia nel paese che è il carburante più importante.
È ovviamente una visione semplicistica, peraltro estendibile anche ad altri settori, ma che potrebbe funzionare come principio, opportunamente declinata in termini attuativi.
Il tema della stagione balneare incombente rappresenta una delle tante incognite ancora irrisolte, vertenti sulle concrete modalità di far partire in sicurezza le attività economiche in Italia, a fronte di un’emergenza epidemiologica che rimarrà ancora presente almeno per i prossimi mesi. Gli imprenditori del settore balneare sono, giustamente, in ansia per il loro futuro. In attesa di definire le modalità di apertura e gestione dei lidi, il Governo e le regioni hanno, comunque, autorizzato gli esercenti di stabilimenti balneari di avviare i lavori sulle spiagge in concessione, per prepararle ed attrezzarle in vista della stagione estiva.
Le proposte fin’ora avanzate da varie parti sono subito apparse fantasiose e, realisticamente, di scarsa praticabilità. E’ divenuta virale l’incredibile immagine dei box in plexiglas installati sulla spiaggia, che ha avuto, se non altro, l’effetto di far capire quanto sia disperato il bisogno di trovare una soluzione ad un dilemma tutt’ora da risolvere: mantenere il necessario distanziamento interpersonale e, nello stesso tempo, consentire ad uno stabilimento balneare di poter accogliere un numero di clienti sufficiente a tenere in vita l’attività.
Vorrei, a questo punto, citare le parole del Presidente della Repubblica Mattarella, pronunciate in occasione della Festa dei Lavoratori del 1 maggio, con le quali egli invita gli imprenditori ad uno sforzo di riprogettazione delle filiere produttive.
Credo che questo invito vada accolto non solo in chiave di maggiore tutela del lavoro, ma anche come più generale sollecitazione a voler affrontare le difficoltà provocate dall’emergenza COVID-19, attraverso uno sforzo comune di uscire dai vecchi schemi, cogliendo le opportunità che una ripartenza “da zero” può offrire.
Sono, per professione, un vecchio cultore del Demanio marittimo, e mi sono occupato per vari decenni dell’amministrazione del litorale. In questa materia, regna la regola sovrana della distinzione tra spiagge libere e spiagge private, tra stabilimento balneare, considerato spazio chiuso e ben delimitato, dove vengono offerti servizi ai bagnanti, e spiaggia libera considerata, tendenzialmente, terra di nessuno, dove si pratica la libera balneazione. Orbene, credo che se non si esce da questo schema arcaico, a fronte dei vincoli imposti dall’emergenza epidemiologica in corso, difficilmente si potrà trovare una soluzione per consentire, quest’estate, una ordinata fruizione del litorale, a fini balneari. Credo che sia finalmente arrivato il momento per la Pubblica Amministrazione di instaurare un rapporto diverso sia con il pubblico che con i concessionari di stabilimenti balneari: lo Stato, nel perseguire l’obiettivo di massimizzare l’utilità pubblica del bene demaniale (la spiaggia), deve ammettere sul demanio attività che aggiungano valore al bene pubblico considerato nel suo complesso e non soltanto alla porzione assegnata in via esclusiva a privati, come oggi avviene con gli stabilimenti balneari.
Il modello che vorrei suggerire si basa sull’abbattimento delle barriere fisiche che delimitano le spiagge in concessione da quelle destinate alla libera fruizione, che, peraltro sono state oggetto di ripetute contestazione, ed anche di importanti pronunzie sfavorevoli in sede giudiziaria. Una spiaggia senza recinzioni e senza ombrelloni fissati in pianta stabile sulla sabbia, tornerebbe ad essere un corpo unico, fruibile da tutti e, soprattutto, consentirebbe la creazione di “oasi”, con chioschi ed ampie zone di ombra attorno, dove verrebbero offerti, da parte degli operatori turistici, servizi a favore di tutti i bagnanti quali: bar/ristorazione da asporto, noleggio di sedie sdraio e ombrelloni da portare via, e, volendo, anche tavolini ben distanziati tra loro. La spiaggia, in questo modo, tornerebbe a buona ragione a qualificarsi come bene demaniale, in quanto diventerebbe un bene comune da godere nella sua integralità, anche usufruendo di servizi offerti dagli operatori privati. La maggiore disponibilità, per tutti, di spazi consentirebbe di per poter più agevolmente rispettare il distanziamento tra le persone. I bagnini farebbero capo a ciascuna delle “oasi” in concessione e avrebbero assegnate zone operative di competenza, potendo essere preposti, oltre che al salvataggio in mare, anche alla sorveglianza sulla spiaggia, per invitare le persone a non fare assembramenti.
Con le possibilità offerte dal quadro normativo emergenziale attualmente in vigore e a cui sono sottoposte tutte le attività economiche, mi sembra che ci siano i presupposti giuridico-amministrativi per tentare di avviare questo nuovo schema di organizzazione delle spiagge, valutando, in seguito, se non ne rappresenti davvero un uso più evoluto e, perché no, anche propedeutico alla sua destagionalizzazione, da sempre invocata, ma mai realizzata.
GENTILE DIRETTORE,
SONO UN IMPRENDITORE DEL SETTORE AGRICOLO/VITIVINICOLO. CON OLTRE 50 ANNI DI ATTIVITA’ NEL SETTORE DELLA FINANZA D’IMPRESA PMI.
CON L’INIZIO, AHIMÈ’, DELLA PANDEMIA HO RIPRESO A LEGGERE IL SOLE 24 ORE, CHE AVEVO LASCIATO PER ALCUNI ANNI : NON ERA PIÙ’ IL QUOTIDIANO CHE CONOSCEVO, E CHE MI HA ACCOMPAGNATO-PROFICUAMENTE, SOTTO L’ASPETTO PROFESSIONALE PER ,50 ANNI, CON INCARICHI DI GRANDE RESPONSABILITÀ.
OGGI, SOSTANZIALMENTE, PER POTER AVERE CHIAREZZA E RISPOSTE PUNTUALI SUL CAOS RIVENIENTE DAI DECRETI CURA ITALIA E SEGG., SIA, ALMENO PER ME, NECESSARIO LEGGERE IL SOLE 24 ORE., FINALMENTE NON VEDO LINGUAGGIO DI CARATTERE POLITICO, MA SQUISITAMENTE TECNICO/DISCORSIVO.
CIO’ DETTO, MI PREOCCUPA LA MESSA A PUNTO DELLE DIRETTIVE PREVISTE DAI SUDDETTI DECRETI E DAI COMPORTAMENTI DEL SISTEMA BANCARIO. VA DA SE CHE IL NOSTRO SISTEMA ECONOMICO, NONOSTANTE TUTTO SIA ‘ ANCORA DECISAMENTE BANCO-CENTRICO E QUESTO GRAZIE ALLA MANCANZA /RITARDI DI STRUMENTI ALTERNATIVI- SI, CI SONO E CI SONO STATI ALCUNI TENTATIVI DI ELABORARLI, MA TANT’È’, LA STRUTTURA DELLE PMI E’ QUELLA CHE E’.
RIGUARDO AGLI ATTUALI MECCANISMI PREVISTI PER L’ACCESSO AL CREDITO,IL SISTEMA BANCARIO- AD ONOR DEL VERO- LASCIATO DA SOLO IN QUESTO MARASMA PROCEDURALE, AVVIERA’ L’ISTRUTTORIA PER LA CONCESSIONE DI QUANTO RICHIESTO , SOLO DOPO IL RICEVIMENTO DI REGOLARE DELIBERA DEI FONDI DI GARANZIA (CENTRALE- ISMEA) . L’AUTO CERTIFICAZIONE SERVIRÀ’ A METTERE AL RIPARO IL SISTEMA BANCARIO DA EVENTUALI PROCEDURE PENALI, MA NON AD ACCELERARE LA CONCESSIONE DEL FIDO/FINANZIAMENTO RICHIESTO, QUESTO DEVE ESSERE CHIARO A TUTTI.
SENZA POLEMICA, TUTTO QUESTO NON E’ AVVENUTO PER I GRANDI E MEDI GRUPPI INDUSTRIALI.
DA QUELLO CHE POSSIAMO LEGGERE, INTESA HA GIÀ’ CONCESSO IL FINANZIAMENTO A FCA, UNA SETTIMANA? DUE? ANCORA NON AMMESSO DA SACE!!
CONTRO I 60/70 GIORNI PER UNA PMI?? COME E’ POSSIBILE FAR FRONTE AI PROPRI IMPEGNI, CON TUTTO QUELLO CHE NE CONSEGUE. (IO NON PAGO I MIEI FORNITORI, I MIEI FORNITORI NON PAGANO I LORO, E COSI VIA). COSA SI ASPETTA AD IMMETTERE LIQUIDITÀ NEL SISTEMA???
INSOMMA, SENZA DILUNGARMI PIÙ DEL DOVUTO. IL SISTEMA BANCARIO POTREBBE/DOVREBBE IN AUTONOMIA DELIBERARE LA RICHIESTA , IN ATTESA DELLE RISPOSTE DEI FONDI DI GARANZIA, ACCELERANDO COSI LA RISPOSTA Alle PMI, ALTRIMENTI RISCHIAMO DAVVERO UN DEFAULT PANDEMICO ECONOMICO. LA MIA AZIENDA HA FATTO IMPORTANTI INVESTIMENTI PRODUTTIVI AGRICOLI, GRAZIE ANCHE AL RELATIVO SUPPORTO DEL SISTEMA BANCARIO, MA DETERMINANTI SONO STATI GLI APPORTI DI MEZZI PROPRI DEI SOCI.
INSOMMA, SONO MOLTO PREOCCUPATO PER IL FUTURO, SE NON RICEVO RISPOSTE ENTRO LE PROSSIME SETTIMANE, DARO FONDO AI POCHI RISPARMI CHE MI RIMANGONO, E POI?? E CHE IL PADRE ETERNO CI DIA UNA MANO.
CORDIALMENTE
GRICCIARDI
Caro De Biase,
L’ISTAT ci chiede di compilare la consueta rilevazione statistica dei bilanci aziendali, attezione è una richiesta OBBLIGATORIA, pena multe e sanzioni.
Noi autonomi siamo pronti a stringere la cintura, svegliarci prima dell’alba per tentare di recuperare fatturato e non lasciare cadere nenache un euro di lavoro.
Si risparmia sul gasolio, sulla pausa pranzo con panini e cappuccini all’autogril.
Ed ecco l’ISTAT che chiede: “compila il bilancio 2019” di 10 pagine non banali e comunque
Quindi abbiamo bisogno del commercialista, che naturalmente deve essere pagato, poco o tanto ma comunque denaro prezioso.
Il sapore della beffa non fa male, fa male sapere che accanto a noi continua ad operare gente che non gli importa nulla se crepi o fatichi per portare a casa la michetta, come diceva il buon Trappattoni annia fa.
Che dire?
un professionista
Nicola Maria Tommasini
Caro Direttore,
abbiamo appena letto che il ministro Franceschini ha tolto la censura cinematografica, provando profonda gioia tutti. Era ora.
Ma forse uscendo da un tunnel politico stiamo entrando in un tunnel ancora più potente, ancora più pervasivo e totalitario.
Il tunnel della censura di Facebook.
La censura di Stato, nel bene o nel male, veniva gestita da persone elette dal popolo. La censura di Facebook è decisa da soggetti anonimi, ignoti e mossi da ragioni non conoscibili. Comunque non sottoposta ad alcun controllo democratico. Tutti abbiamo assistito ad una discussione di natura prevalentemente politica sulla censura dei social, in cui le preferenze di ciascuno potevano nascondere il problema vero: la mancanza di controllo democratico della stessa.
Poi oggi mi capita che prendo spunto da un vostro articolo: https://amp24.ilsole24ore.com/pagina/ADvm9NWB
per fare il seguente commento a sostegno del nostro Primo Ministro: “Bravo Draghi.
Concordo in pieno.
Finalmente l’Italia torna ad avere una voce internazionale. Seria.”
La immediata risposta di Facebook è il blocco dei commenti e post miei per 24 ore, la cancellazione del post e il blocco per i contenuti multimediali per 30 giorni.
Posterò gli Screenshot, che ovviamente ho fatto, appena possibile, ma penso sia giusto che il Sole 24 Ore sappia che i suoi articoli portano, se citati, alla “osservazione critica” da parte del nuovo vero padrone del mondo.
Cordialità
Tutto vero . i capitalismo ha portato il nostro Paese al benessere per la maggior parte della popolazione attiva e non, ora però basta ! Bisogna pagare di più i lavoratori in ogni comparto produttivo , i salari italiani troppo toppo bassi rispetto a qualsiasi paese europeo.