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Il giornalismo è il suo metodo. Postille all’ecosistema dell’informazione

Il giornale non è la sua carta. Gli editori non possono sopravvivere come nobili decaduti. Eppure, nel giornalismo ci può essere un elemento fondamentale della prossima grande innovazione della rete. Queste in sintesi le proposte in un post di qualche settimana fa, che ricuciva con idee degli ultimi dieci anni: In che ecosistema vive il giornalismo.

Per proseguire altre due ipotesi:
1. C’è bisogno di distinguere l’informazione qualificata dal resto. Oggi vale la notorietà. Oggi valgono soprattutto le informazioni che conquistano un attimo di attenzione e attraggono traffico. Non ci sono sistemi incentivanti significativi per l’informazione accurata e documentata, impegnativa ma capace di fare avanzare la conoscenza, tendenzialmente completa e indipendente. Eppure è di questo genere di informazione che ha bisogno chi deve fare delle scelte economiche, chi deve scegliere la propria strada, di deve immaginare innovazioni possibili, chi deve decidere per una cura per i genitori o per un filone educativo per i figli…
2. A questo bisogno non risponde nulla al momento. Perché le piattaforme più usate non hanno modo di qualificare l’informazione. E i media tradizionali hanno nel tempo perduto credibilità in relazione a indipendenza, completezza e qualità del metodo. È evidente che il modello di business pubblicitario non ha sviluppato incentivi per la qualità dell’informazione. Ma è anche evidente che se esiste un bisogno, esiste anche un potenziale di sostenibilità per un’organizzazione che lo soddisfi. Finora non è stato trovato. Probabilmente perché non è facile muovere un ecosistema mediatico inquinato verso la bonifica.

Il metodo giornalistico tradizionale – così spesso tradito da chi lo avrebbe dovuto portare avanti sulla scorta delle sirene pubblicitarie, ideologiche, promozionali, carrieriste – aveva esattamente nei suoi caratteri originari la consapevolezza di alcuni valori: documentare le notizie, citare le fonti e verificarle, e difenderle; cercare la completezza delle notizie; cercare l’indipendenza dalle fonti; coltivare un senso critico; mantenersi scrupolosamente nei limiti imposti dalla legge; scrivere con accuratezza. In fondo, l’informazione di qualità è quella che discende da un metodo di qualità.

A sua volta quel metodo va riconosciuto, apprezzato, valutato. Pagato. Assomiglia a una versione artigiana, semplice, ma non meno importante, del metodo scientifico. O forse assomiglia ancora di più al metodo storico, almeno per quanto riguarda il rispetto della documentazione. Può costituire un fondamento di una prossima grande piattaforma, tutta da costruire. E che questa scaturisca dai giornali attuali o da qualcosa che non esiste ancora è tutto da dimostrare. Ma verrà fuori: perché alla fine una società ha bisogno di sapere come stanno le cose.

Non sappiamo dunque se questa nuova grande innovazione possa emergere dal mondo dei media tradizionali, degli editori di un tempo, dei giornali esistenti. Sappiamo che può venire fuori dalla cultura giornalistica migliore. Ma per farla diventare sostenibile ci vuole un salto di astrazione.

Dieci anni fa abbiamo fatto il primo salto di astrazione: “il giornale non è la sua carta“. Oggi stiamo cercando il prossimo: “il giornalismo è il suo metodo”.

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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