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Trivelle, battiquorum

L’unica cosa che non va bene è la più probabile: che al referendum del 17 aprile sulle trivellazioni non si presenti la maggioranza degli elettori e che quindi il referendum sia annullato.

Il referendum in sé è poco appetibile. Voluto da nove regioni e non dalle solite firme dei cittadini è più istituzionale e politico che popolare. Riguarda una materia in parte (in parte) sterilizzata da leggi successive. Non arriva a definire una politica ma piuttosto a lanciare un segnale. Come si sa si tratta di abrogare o non abrogare una variazione alle norme sulle concessioni di estrazione di idrocarburi, per campi situati sulla costa del mare entro 12 miglia dalla riva, che le procrastina più o meno fino alla fine della vita dei giacimenti. Niente di particolarmente decisivo: si tratta di 21 concessioni esistenti. Tra l’altro la legge ha già detto che non ce ne saranno altre in quell’area vicina alla costa. Ma il quesito referendario è comunque valido per dare il segno di quello che la popolazione pensa della politica energetica. Tra le regioni che hanno chiesto il referendum non ci sono solo Veneto e Liguria, ma anche Marche, Basilicata e Sardegna.

Il problema è quindi che una parola dell’elettorato su questa materia è importante ma viene richiesta in un’occasione meno che importante. Il che ancora una volta mette a rischio la credibilità dello strumento del referendum: se i “no” si alleano con gli “astenuti”, perché vincono sia nel caso di un referendum valido che dice “no” sia nel caso di un referendum non valido, allora si perde il senso del segreto del voto. Infatti, in pratica chi va a votare è probabile che vada a votare “sì” e che dunque tutti lo possano capire facilmente.

Sarebbe più leale nei confronti della costituzione che chi non vuole l’abrogazione inviti ad andare a votare “no” e chi vuole l’abrogazione possa andare tranquillamente a esprimere il suo “si” senza essere registrato come anti-trivellatore.

Il compito di chi fa informazione è quello di informare sul referendum. Perché la strategia degli astensionisti è di dare poca importanza al referendum per aggiungere alla loro alleanza di astensionisti e negazionisti anche i distratti, i pigri e i disinformati.

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  • sì, luca; ma c’è anche la posizione di chi – astenendosi – esprime la sua contrarietà contro la proposizione di questo quesito referendario.
    cioè chi ritiene offensivo contro la costituzione proporre un referendum (e i costi che vi sono correlati) su questo tema.

    e c’è anche la posizione, ed è anch’essa una posizione legittimissima, di chi non è interessato al tema proposto.

    non a caso, le 500mila firme per indire la consultazione non erano state raggiunte, e a quel punto sono intervenuti in sostituzione alcuni consigli regionali (ne servono cinque per richiedere il referendum).

    insomma, in ogni caso – che il quorum si raggiunga o no, e qualsiasi sarà l’espressione del voto – è sempre un alto esercizio di democrazia. eventuale astensione compresa.

    (intanto ho verificato la mia tessera elettorale: è nel cassetto dei documenti, con gli spazi liberi per il timbro).

  • Vorrei aggiungere, Luca e Jacopo, la posizione di chi astenendosi ritiene di non avere gli elementi per discernere il quesito su questo estremamente tecnico e strategico settore per il Paese. Insipiente, a partire dal sottoscritto, che se vota rischia di mettere al repentaglio la professionalità invece di altre persone, di imprese e del suo stesso Paese. Questo ha prodotto il referendum post Cernobile, senza metterci al sicuro da attività nucleare svolta da altri Paesi vicini.

Luca De Biase

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