All’Institute for the Future non fanno previsioni: «C’è una legge fondamentale degli studi sul futuro: non esistono fatti del futuro. Solo narrazioni». Una ovvia fonte di ispirazione è la fantascienza. E una ricerca dell’Institute è stata basata sulle visioni di sei scrittori di fantascienza: Age of networked matter. I visionari interpellati sono: Cory Doctorow, Warren Ellis, Rudy Rucker, Bruce Sterling, Ramez Naam e Madeline Ashby. Il risultato è sfidante per gli ottimisti. Impossibile riassumere la ricchezza delle immagini emergenti. Mi pare che la forza dirompente della commercializzazione di tutte le relazioni umane, alimentata e favorita dalle tecnologie, sia una delle dimensioni fondamentali di questo esercizio.
Alla Microsoft lavorano in modo analogo con il progetto Future Visions. I narratori sono stati messi in condizione di intervistare i grandi ricercatori e scienziati dell’azienda di Redmond. Il che li deve avere molto colpiti. In effetti i loro risultati sono accomunati, mi pare, dalla dimensione di fiction che hanno riconosciuto nel lavoro dell’innovazione tecnologica. L’antropologia dei generatori di tecnologia sembra lo spazio nel quale avvengono le storie, le contraddizioni, i conflitti.
Non può essere l’unica strada. Ma è una strada importante. Per quasi due secoli, tra l’Ottocento e il Novecento, la fantascienza ha avuto una posizione di guida nell’immaginario sul futuro, compreso quello condiviso nell’ambiente scientifico. L’intuizione degli artisti andava più veloce della realtà, in un certo senso. Negli ultimi tempi si ha l’impressione che la scienza abbia superato la velocità della fantascienza. L’immaginazione fantascientifica è sfidata dalla realtà, sembrerebbe, più di quanto non avvenga il contrario. È quasi quello che supponeva Giuseppe Ungaretti: nel 1953, raccontava l’evoluzione della tecnologia digitale come un fenomeno destinato ad essere tanto veloce ed efficiente da spingere gli umani a cercare di adattarsi più che a coltivare l’immaginazione, accettando più che a guidando l’evoluzione.
La fantascienza però non molla. Oggi sembra poter diventare una forma d’arte che serve alla cultura per digerire la quantità di sollecitazioni che arrivano all’attenzione sul grande cambiamento che viviamo. Una prima, breve riflessione si trova in What the Future Fiction of 2015 Said About Humans Today. I temi come la paura dell’ignoto, la ricerca di una via di fuga in altri mondi, il cambiamento climatico emergono fortemente dalla fantascienza del 2015.
La costruzione di scenari, l’analisi dei dati in chiave di futurologia, la stessa relazione tra le discipline previsionali e le decisioni, sono da tempo parte integrante dell’attività delle imprese. Talvolta servono, talvolta no. Più raramente si è ammessa l’arte e la letteratura nella stanza dei bottoni aziendali. La fantascienza, a giudicare dai tentativi di Institute for the Future e Microsoft, sembra una dimensione narrativa che si potrebbe inserire nel sistema con il quale si risponde al disorientamento e si immagina una risposta attiva nei confronti del grande cambiamento, suggerito anche dall’incredibile quantità di innovazioni – talvolta sconvolgenti – che la scienza sta generando. Il Crispr-Cas9 che consente di cambiare il DNA con una trentina di dollari, il gigantesco avanzamento del mondo digitale, tra big data e intelligenza artificiale, il cambiamento climatico, la robotica e l’internet delle cose, sono ambiti fattuali che avvengono nel presente e appaiono destinati a generare enormi conseguenze, sfidando l’immaginazione.
L’accoglimento della fantascienza nel sistema con il quale si alimenta l’immaginazione di chi decide oggi ciò che viene fatto nei domini operativi – come le imprese e i laboratori di ricerca – che hanno la possibilità di avere importanti conseguenze e dunque scrivere il futuro, è l’inizio di un percorso che dimostra la necessità di connettere la ricerca innovativa aziendale e la ricerca scientifica e tecnologica, con la ricerca artistica.
Alla fine, l’innovazione fondamentale attuale è interpretabile correttamente solo abbandonando gli schemi settoriali. La spinta artistica può aiutare a vedere i legami deboli e nascosti tra luoghi mentali specialistici esperienziali. Uno strumentario artistico a supporto delle decisioni che hanno conseguenze e scrivono il futuro potrebbe essere di stimolo per leggere legami inattesi tra mondi, legami che possono generare valore culturale ed economico maggiore di quanto avviene restando al loro interno. Imho.
Sto leggendo in questi giorni Fine millennio: Istruzioni per l’uso, una raccolta di articoli scritti da quello che io ritengo uno dei migliori autori (non solo di fantascienza) del XX secolo: J.G. Ballard; fra questi articoli spesso viene affrontato il tema proposto in questo post, sul ruolo proattivo della fantascienza sulla conoscenza, e più in generale sul ruolo della narrazione sulla realtà, consiglio assolutamente di dargli un’occhiata (e naturalmente di leggere tutto il possibile di Ballard, racconti compresi! :-))
grazie!