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Ungaretti: nostalgia di un visionario. La civiltà dell’elettronica, dal 1953 al futuro

Giuseppe Ungaretti, stimolato da Leonardo Sinisgalli, scrive nel 1953, nel primo numero de La Civiltà delle macchine:

Caro Sinisgalli, mi chiedi quali riflessioni mi vengono suggerite dal progresso moderno, irrefrenabile, della macchina. (…). Ho detto una volta e già sono passati molti anni, che ritenevo la civiltà meccanica come la maggiore impresa sorta dalla memoria, e come essa fosse insieme impresa in antinomia con la memoria.

La macchina richiamava la mia attenzione perché racchiude in sé un ritmo (…). La macchina è il risultato di una catena millenaria di sforzi coordinati. Non è materia caotica. (…). Le calcolatrici elettroniche riescono a risolvere come niente equazioni che richiederebbero, se quei conteggi avesse da farli direttamente il matematico, anni e anni di lavoro, e forse gli anni non basterebbero; ma il prodigio non è qui: il prodigio metrico non è tanto nei prodotti di calcolo di quella macchina quanto nella macchina stessa: nei suoi congegni, nelle funzioni che, dai rapporti che tra di essi istantaneamente s’istituiscono, derivano, possono senza fine derivare. In quel prodigio di metrica noi possiamo ammirare il conseguimento di una forma articolata che, per raggiungere la sua perfetta precisione di forma, dovette richiedere ai suoi ideatori e ai suoi costruttori un’emozione non dissimile da quella, anzi identica a quella, cui il piacere estetico dà vita.

Ungaretti insegue quell’emozione, la sente e la comprende, ma ne trova un’altra:

Vi è una forza, che è della macchina, che si moltiplica dalla macchina generatrice inesauribile di macchine sempre più poderose, che ci rende sempre più inermi davanti alla sua cecità, alla sua metrica che si fa cieca per l’uomo, che perde ogni memoria per l’uomo smemorando essa l’uomo.

Era stato vicino al Futurismo, Ungaretti, ed era andato oltre. Le intuizioni della grande ricerca sembrano capaci di andare a sincronizzare il pensiero con la lunga durata. E infatti ancora i pensieri di Ungaretti riemergono, per esempio, nelle parole di Nicholas Carr. Ma Ungaretti precede e va molto oltre il polemista americano. E rivolgendosi ancora a Sinisgalli, scrive:

Tu sai dell’acceleramento portato alla storia dalla macchina, e della precarietà che ne viene agli istituti sociali, e del linguaggio che non sa più come fare per avere qualche durata da portersi volgere indietro e in qualche modo verificarsi lungo una qualche prospettiva. Quale sforzo dovrà sempre più fare l’uomo per non essere senza amore, senza dolore, senza tolleranza, senza pietà, senza ironia, senza fantasia; ma crudele, con il passato crollato, insensibilmente crudele come la macchina? Quale forzo dovrà sempre più fare per ridare valore sacro alla morte?

Perché la macchina supera la fantasia:

Il volo, l’apparizione delle cose assenti, la parola udita nel medesimo suono casuale di chi l’ha profferita senza ostacoli di distanza di tempo e di luogo, gli abissi marini percorsi, il sasso che racchiude tanta forza da mandare in fumo in un baleno un continente, tutte le favolose meraviglie da Mille e una notte, e molte altre, si sono avverate, la macchina le avvera. Hanno cessato d’essere slanci nell’impossibile della fantasia e del sentimento, sogni , simboli della sconfinata libertà della poesia. Sono divenuti effetti di strumenti foggiati dall’uomo. Come l’uomo potrà risentirsi con essi strumenti grande, traendo forza solo dalla sua debole carne?

Come potrà l’umanità essere grande di fronte alla sua stessa opera?

Forza morale!

La rivista che inizia con questo numero le sue pubblicazioni, e che tu dirigi, si propone di richiamare l’attenzione dei lettori anche sulle facoltà strabilianti d’innovamento estetico della macchina. Vorrei anche che essa richiamasse l’attenzione su un altro ordine di problemi: i problemi legati all’aspirazione umana di giustizia e di libertà. Come farà l’uomo per non essere disumanizzato dalla macchina, per dominarla, per renderla moralmente arma di progresso?

ps. “La civiltà delle macchine” è stata una rivista straordinaria, realizzata da Sinisgalli tra il 1953 e il 1958. Cinque anni durante i quali l’Italia volava verso l’industrializzazione, concentrava i suoi talenti e inventava macchine e prodotti di importanza globale. E, come dimostra “La civiltà delle macchine”, cercava anche di comprendere ciò che le stava accadendo, ricorrendo alla ricerca insieme artistica e scientifica. Credo che questo “insieme” sia la cifra della missione nella ricerca dei popoli come quelli che abitano l’Italia e molta parte dell’Europa. Quando la perdiamo, perdiamo ispirazione. E non comprendendo, usciamo dalla parte attiva della storia, finendo per subirla.

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  • Molto interessante davvero, 1950 circa, gli anni in cui anche Jacques Ellul pubblicava il suo volume La technique ou l’enjeu du siècle, preludio al più noto Thecnological Society … L’Italia era in Europa e oltre.

  • Ritrovare e riportare le gemme di Ungaretti sulla tecnologia è opera meritevole Luca. Fai bene ad affermarlo, Ungaretti va oltre, la nostra tradizione italica ci ha regalato dei pensatori della tecnologia con una visione rotonda e profonda che uniscono umanesimo, tecnologia e filosofia. Bene ri/trovarli/portarli/scoprirli.

  • Negli stessi anni, un genio come Norbert Wiener fondava la cibernetica e la base di quel pensiero scientifico non riduzionista che noi oggi vediamo disseminato ovunque, con altri nomi, dalla mecatronica alle neuroscienze. Una cosa straordinaria di Wiener è che da subito capì la portata della rivoluzione tecnica e scientifica in corso, e lavorò a fianco di sindacalisti per lavorare anche sull’assetto sociale del futuro, e non solo quello tecnologico.

  • Durante la seconda guerra mondiale Weiner ha analizzato i dati sugli aerei nemici (posizione, velocità, e così via) per sviluppare l’artiglieria contraerea. Attraverso l’analisi dei feedback tra aerei nemici e la contraerea, ha ampliato la teoria della comunicazione.

    Il suo concetto di cicli di feedback di informazione è fondamentale per la cibernetica. Harkin (2009) ha definito le idee di Wiener il collante che tiene insieme Cyburbia – la nostra vita in rete. “Wiener cominciò a vedere cicli di feedback dovunque… da questo ha tratto la conclusione che i messaggi tra esseri umani, animali e macchine erano della stessa natura “(pp. 23, 26). I linguaggi di programmazione event–driven utilizzati per la programmazione Internet sono a mio parere una conseguenza delle idee di Wiener.

    L’analisi, il controllo e il feedback dei messaggi è stato importante per la sopravvivenza in tempo di guerra, quando il silenzio del sistema di retroazione significava che era avvenuto un grosso guaio. La società dell’informazione ha ereditato un approccio che è stato creato per scopi militari. Ci comportiamo come se soffrissimo di un disturbo post traumatico da stress – compulsivamente coinvolti nel loop, ansiosamente alla ricerca di aggiornamenti sulle notizie, nuove email, aggiornamenti di Twitter o Facebook. O di un nuovo commento a questo post di Luca 🙂

    Dopo la guerra Weiner si occupò degli aspetti sociali della tecnologia, rifiutò eroicamente di lavorare alla bomba atomica e si preoccupò che le tecnologia non tramutasse le persone in schiavi, intrappolati in automatisti meccanici. Ottimi propositi, ma che facevano i conti senza l’oste: è nella natura della mente essere meccanica. L’uscita dal loop si trova a mio parere nel silenzio e nella meditazione, dopo il passo della riflessione.

  • Bisogni primari, forza morale, solidarietà hanno creato negli anni ’50 un sistema idoneo per favorire ricerca e sviluppo.
    Negli ultimi anni , i bisogni di terza generazione, la minore forza morale e la minore solidarietà hanno abbassato il valore della ricerca nella classifica mentale del singolo; sarà necessario un certo numero di anni per recuperare il livello di forza morale necessario e sufficiente!

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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