Questi appunti nascono da una domanda posta da Luciano Floridi, filosofo a Oxford, recentemente chiamato dal Garante per la protezione dei dati personali europeo nel comitato etico. Floridi era oggi pomeriggio all’università di Bologna, per una conferenza all’aula Hans Kelsen, Informatica Giuridica e Diritto dell’Informatica.
Ma vediamo prima un antefatto.
Come qualcuno ricorderà, una ricerca della National Science Foundation ha mostrato che il 25% degli americani pensa che il Sole giri intorno alla Terra (Time).
Il 25% degli americani vive in un tempo mentale precedente alla rivoluzione copernicana.
Ci sono quattro grandi rivoluzioni culturali, racconta Floridi sintetizzate da quattro personaggi fondamentali: Copernico, Darwin, Freud e Turing. Se gli americani che pensano che il Sole giri intorno alla Terra vivono prima della rivoluzione copernicana, si può immaginare che tra gli altri tre quarti che invece vivono in un universo copernicano solo una minoranza sappia che diverse specie umane hanno convissuto e che l’homo sapiens non è il finale della storia evolutiva, mentre si può pensare che un’altra parte forse minoritaria abbia compreso che il pensiero cosciente è solo un elemento del complesso sistema psicologico nel quale la mente umana è immersa: sicché non tutti vivono nel tempo successivo alle rivoluzioni darwiniana e freudiana, ed è come se fossero a loro volta in un’epoca precedente.
Insomma. L’evoluzione non è una linea dritta che conduce necessariamente da un livello all’altro del video gioco del destino. È l’esplorazione di un grande insieme di possibilità, come insegna Telmo Pievani. Tra le conseguenze di questa impostazione c’è appunto il fatto che diversi livelli evolutivi possono convivere. Allo stesso modo la storia insegna che esiste una pluralità di durate del tempo sociale, che diverse civiltà, popoli e ceti sociali si possono trovare coinvolti in dinamiche storiche diverse allo stesso tempo. E diverse gerarchie sociali si possono sovrapporre sicché diversi umani vivono come in tempi diversi.
Riprendendo Floridi, preistoria, storia e iperstoria non sono epoche successive ma dimensioni nelle quali si trovano gruppi di umani: nella preistoria gli umani non registrano il presente per riusarlo in futuro, come invece fanno nella storia, attraverso la scrittura. Nell’iperstoria i computer prendono ciò che gli umani e le macchine registrano e rielaborano il contenuto restituendo una gestione algoritmica dell’immenso insieme di dati memorizzati. Una parte della popolazione umana vive ancora oggi come nella preistoria, la maggior parte è entrata nella storia, alcuni ne sono usciti per tornare in una sorta di analfabetismo funzionale. E circa tre miliardi vivono nell’iperstoria: solo in minima parte attivamente e consapevolmente.
Ed eccoci alle domande poste da Floridi a Bologna.
Come pensare in grande? Come evitare di lasciare alle sole procedure vagamente automatiche della finanza le decisioni fondamentali per la costruzione del futuro? Come progettare un mondo umanamente sensato?
Una precondizione – per la conferenza di Floridi e per la ricerca di qualche soluzione a queste domande – è «essere tutti sulla stessa pagina»: che i cittadini siano informati nello stesso modo su ciò che sta avvenendo e casomai si dividano sulle opinioni intorno a ciò che va fatto per arrivare a deliberare e decidere qualcosa di sensato.
Ma non siamo tutti sulla stessa pagina.
Le quattro rivoluzioni hanno lasciato gli umani che le conoscono in una condizione identitaria «antropo-eccentrica» dice Floridi, che sa che cosa sia l’ironia. Ma non tutti gli umani le conoscono. E non è dunque chiaro come possano conoscere le sfide che dovrebbero affrontare: come progettare un’infosfera ecologicamente sana, amica dell’umano, inclusiva, tale da aiutare l’umano a svilupparsi. Vivendo passivamente il passaggio all’infosfera, gli umani si adattano alle macchine invece che adattare le macchine a ciò che vogliono sviluppare di umanamente sensato: la preoccupazione di Ungaretti, come ricorda chi talvolta è passato da questo blog. Queste sfide sono raccolte dagli umani consapevoli: adeguatamente educati, umanamente sensibili, criticamente informati. Gli altri tendono a non riconoscere il problema, a sottovalutare la sfida, a delegare ai tecnici, ai politici, ai giuristi e così via.
E dunque ci si dovrebbe accontentare di sperare nei tecnici che sanno assumersi le loro responsabilità, nei giuristi che conoscono la relazione tra codice (legge) e codice (software), nei politici che conoscono qualcosa. Per ottenere che queste persone possano in effetti lavorare per progetti di futuro umanamente sensati, però, dovremmo fare in modo che siano a loro volta sulla stessa pagina: il che non può avvenire senza una sana pressione di un’opinione pubblica consapevole. Siamo un po’ in un loop.
Si ha l’impressione che il lavoro di portare molte più persone «sulla stessa pagina» sia il lavoro prioritario. Per un filosofo come Floridi è naturale, in fondo. E per qualche motivo lo è anche per un giornalista.
Ma le soluzioni per riuscirci pragmaticamente devono adeguarsi a loro volta alla sfida contemporanea. L’etica dovrebbe essere “embeddata” nel metodo con il quale si progettano le piattaforme nelle quali si svolge la vita quotidiana dei popoli che vivono nell’infosfera, in modo che li incentivino a essere più consapevoli: il che per esempio significa che i terms and conditions non possono essere più inutili come sono ora, che i bottoni non possono essere più soltanto orientati alla velocità di reazione ma anche alla riflessione, che il modo con il quale si seleziona ciò che è importante da ciò che è soltanto interessante sia più efficace, esplicito, di valore riconosciuto. Abbiamo visto nei post linkati sotto qualche idea in proposito. Siamo nel grande tema dei media civici (che hanno dimostrato di funzionare, ma devono ancora trovare il modo di raggiungere un grande insieme di utilizzatori): una risposta pragmatica al tema etico è possibile?
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