Un paese in transizione. Con tanti segni del suo passato “sovietico”. Che attraversa una nuova “rivolta” (per liberarsi degli oligarchi) se non proprio una nuova rivoluzione (come quella servita a liberarsi dei sovietici). La Romania insegna qualcosa ai media delle democrazie più sicuire di sé? Appunti da un convegno tra giornalisti a Bucharest.
A Bucharest, un gravissimo incidente accaduto qualche giorno fa (un incendio in un nightclub con 32 morti), con le successive rivelazioni sui responsabili, ha portato a proteste durissime nelle strade e soprattutto nella piazza dell’università. Si è rivista una tensione che ha ricordato la sanguinosa rivoluzione che ha chiuso con il regime totalitario. Di certo, è caduto il governo (UsNews) sulla scorta della critica popolare contro gli “oligarchi” e le “mafie”, nelle parole dei protestatari. Nello stesso momento, i giornalisti di mezza Europa si riuniscono al Seemf (Media in South East Europe: The Struggle for Success on the Web) nell’hotel Marriott di Bucharest (foto). In questa regione, testimoniano i giornalisti locali, i media di informazione tradizionali attraversano difficoltà fondamentalmente simili a quelle che incontrano i media di informazione tradizionali in Occidente, con la complicazione ulteriore della necessità di consolidare il loro ruolo nel quadro della lunga transizione dall’epoca sovietica al sistema democratico. Il problema di affermare l’informazione di qualità prodotta, si suppone, dai giornali tradizionali in questa regione europea nei confronti della logica emergente con i social network e le piattaforme internet non è facilitato dalla mancanza di una lunga esperienza dei giornali indipendenti e autorevoli. Ma mentre le proteste che per lungo tempo si sono sviluppate online, a Bucharest, secondo i alcuni giornalisti relatori presenti al convegno (Adrian Ursu, TV Host, Antena 3, Bucharest), il passaggio a proteste in piazza è stato collegato alle rivelazioni della stampa. Secondo altri, le informazioni e l’organizzazione sviluppata online ha smascherato anche le forme di collusione tra alcuni giornali e i centri di potere e di corruzione (Dan Tapalaga, Editor/Coordinator, Hotnews, Bucharest). Di certo, siamo di fronte a un momento che definisce le funzioni e la credibilità dell’informazione.
Probabilmente guardare alla trasformazione dell’editoria giornalistica da questo contesto può aiutare anche lo sguardo dei giornalisti e degli editori che sono cresciuti in Occidente, in paesi di democrazia un po’ più lunga, ma non troppo sicuri dell’indipendenza della loro stampa, almeno a giudicare dalle valutazioni di organizzazioni come Reporters without borders.
Secondo i dati del 2013, Italia e Romania avevano lo stesso colore (Rsf):
Ma se si guarda alla cartina interattiva del 2015, l’Italia ha un colore più brutto di quello della Romania: l’Italia è 73esima nella classifica di Reporters without borders in termini di libertà di informazione mentre la Romania è 52esima (indice Rwb; la foto in alto in questa pagina è una parte della mappa che risulta dalla classifica 2015). Quindi non è certo detto che un giornalista italiano chiamato a parlare in questo contesto possa dare consigli: sarà meglio che prima di tutto pensi a imparare.
Il tema in tutti i casi è come fidarsi dell’informazione. E come lavorare in modo che il pubblico riconosca il lavoro giornalismo e dunque se ne fidi più di quello che trova nelle piattaforme o almeno non lo trovi irrilevante: è il primo e più importante tassello di ogni strategia di rilancio economico dell’editoria giornalistica tradizionale. Se questo non avviene, il valore del giornalismo è destinato a perdersi.
Qui a Bucharest è operativa in forze la Konrad-Adenauer-Stiftung, una fondazione tedesca per la qualità della cultura civica. Il dibattito costituzionale è delicatissimo, consapevole si direbbe, ma almeno non è ipocritamente pensato come risolto: la democrazia qui non è data per scontata (in un paese come l’Italia lo è, e non necessariamente a ragione). Di certo, la crisi di questi giorni è presa molto sul serio: il presidente mantiene la sua funzione legittimante per il sistema, ma il governo non sembra aver meritato tutta la fiducia della quale ci sarebbe bisogno. I morti del nightclub hanno subito le conseguenze dei mancati controlli di sicurezza che i proprietari del locale hanno evitato con la corruzione. L’ex premier è finito a sua volta in un processo per corruzione. I giornalisti locali sono in fibrillazione, molti non sono riusciti a venire perché stanno coprendo i fatti del momento, quelli che sono qui sono emozionati.
Adrian Ursu dice che tutto intorno alla Romania la libertà di informazione sta peggiorando: in Ungheria, in Turchia, in Russia. In Romania c’è una grande quantità di giornali che non sono trasparenti ma anche giornali indipendenti (come Antena 3, dice Ursu) che dichiarano in modo trasparente da chi sono controllati e che informano sulla corruzione in modo preciso e coraggioso, a differenza di molti giornali online, sempre secondo Ursu (il proprietario di Antenna 3 è in galera da due anni per corruzione ed è un oligarca, ex servizi segreti, arricchito negli anni Novanta). A questa ricostruzione, Ioana Avadani, Executive Manager, Center for Independent Journalism (CIJ), Bucharest, ha opposto un dubbio, sottolineando che i giornalisti di Antenna 3 hanno partecipato alle proteste e hanno perso per questo la loro indipendenza. Avadani denuncia una mancanza di alfabetizzazione alla libertà di informazione, mancanza di sensibilità civica, mancanza di educazione all’uso responsabile dell’informazione che emerge dalle piattaforme sociali e di cultura del giornalismo. Dan Tapalaga dice che il compito fondamentale dei giornalisti è di combattere ogni giorno per la loro libertà.
Alla fine, il problema della fiducia e quello della qualità dell’informazione non discendono mai dal tipo di medium usato, dalla centralità dei media tradizionali, dall’importanza del web e dei media digitali: dipende da un metodo di lavoro che produce informazione documentata, accurata, indipendente, completa, legale. Ma di certo, tutto questo ha una funzione diversa e un successo diverso nelle diverse culture e società.
Update: domanda dai giornalisti presenti, restata fondamentalmente inevasa (chissà che cosa ne pensano i commentatori di questo post). Una giornalista bulgara ha detto che ammira la società romena che sa protestare e cambiare la sua politica. Pensa di sicuro al suo paese. Un giornalista austriaco dice che le proteste sono un fallimento dei media, che non hanno evidentemente mediato abbastanza. Qual è la funzione dei media? Alimentare le proteste o renderle inutili?
La classifica sulla libertà di stampa, ma anche quelle di altre libertà, rivelano che il vero problema delle democrazie contemporanee è l’incapacità di discutere seriamente dei problemi, per rifugiarsi invece nella conta di statistiche piuttosto arbitrarie. Se è opinione comune che in Italia esista un diffuso problema di partigianeria e qualità della nostra stampa, a me non sembra che la situazione sia peggiorata drasticamente in Italia dagli scorsi anni, quando si trovava nelle posizioni 40-50, come la classifica rivelerebbe.
Nessuno ha accusato il governo di intimidire o reprimere la stampa, qui si parla di criminalità, organizzata e non, che attacca giornalisti e il cattivo uso della legge sulla diffamazione. Sono fatti disdicevoli che devono essere risolti, ma sono presenti da anni e non riguardano direttamente il governo e la democrazia, quanto la vita sociale. C’è differenza tra un tizio che picchia un inviato di Striscia la Notizia e un governo che fa licenziare i giornalisti non allineati, tra una “cattiva infrastruttura per la produzione di notizie e informazioni” e intimidazioni contro chi parla di mafia. Sono tutti problemi per la stampa che andrebbero risolti ? Sì, sono tutte problemi che rientrano in ciò che una persona comune definerebbe “libertà di stampa” ? Direi di no. Alcuni problemi dovrebbero essere risolti dallo Stato, altre non possono che essere risolte dalla società civile.
Per quanto riguarda l’ultima domanda, credo che la stampa dovrebbe servire una comunità, se si debba alimentare le proteste o spegnere l’incendio dipende dalle singole situazioni. Ho visto un documentario sulle sommosse razziali del 1992 a Los Angeles, in cui la stampa viene accusata di esser una delle cause della violenza. Ciò grazie alla continua pubblicazione di video di sorveglianza manipolati, in cui si vedono i proprietari coreani di negozi agire con violenza su afro-americani, ma non vengono mostrate le parti iniziali in cui gli afro-americani colpiscono per primi o tentano di rubare qualcosa.
La stampa non può essere responsabile per la nascita proteste spontanee, ma non dovrebbe neanche sobillarle.