Ebbene. Si può fare a meno dei giornalisti, ipotizza qualcuno. Gaspar ha efficacemente ricordato che le stesse fonti possono dare al pubblico l’informazione che serve. Dave lo ha ridetto nel suo modo simpaticamente burbero. E non c’è nulla di assurdo nell’ipotesi che un giorno non lontanissimo i giornalisti scompaiano con i giornali che non stanno più in piedi. E se nessun giornale stesse più in piedi… Chiunque sano di mente sa che se una categoria professionale è obsoleta non può essere tenuta in vita con le flebo. Ma anche questa, come tutte le ipotesi riferite a una possibilità futura, non può essere verificata empiricamente se non aspettando. E dunque si può discutere dal punto di vista logico e storico. O addirittura si può reagire alla sua formulazione, impegnandosi a cambiare le condizioni per le quali quell’ipotesi è valida, fino a superarla. Un pezzo importante da questo punto di vista è quello di Steven Berlin Johnson.
Senza giornalisti
Vediamo i confini di questa discussione.
Da un lato, non è detto che i giornali debbano esistere per sempre. E non è detto che si possano salvare, come fa pensare Shirky. Dall’altro lato, non è detto che debbano scomparire, anche se qualcuno di essi è in gravi difficoltà.
E allora: c’è qualcosa che li possa sostenere in un mondo nel quale le fonti possono informare direttamente il pubblico, in un mondo nel quale le opinioni più qualificate possono essere espresse da chi le sa formulare usando per esempio i blog, in un mondo in cui i modelli di business tradizionali dei giornali sono messi in discussione? Possiamo in effetti immaginare che se è davvero importante che i giornali sopravvivano, riusciranno a trovare il modo per farlo. Se non lo è, dal punto di vista sociale, economico, politico, culturale, allora non sopravviveranno.
Varrebbe la pena di chiarire che si dovrebbe distinguere il destino dei giornali e quello dei giornalisti. È sbagliato definire i giornalisti come la categoria delle persone che scrivono i giornali (essendo i giornali tautologicamente quelle cose che sono scritte dai giornalisti…). E sebbene quella sia stata la definizione adottata dall’Ordine, non pare più molto azzeccata. Forse si potrebbe proporre l’idea di giornalisti come professionisti impegnati nella produzione di informazione per il pubblico con un metodo di ricerca empirico e trasparente (informazione, non comunicazione). In quel caso il loro destino non sarebbe necessariamente quello di seguire la sorte dei giornali. I giornali, invece, sono i prodotti di un’industria editoriale molto importante che a sua volta non vive solo del lavoro dei giornalisti, ma anche di quello delle concessionarie di pubblicità, di sostegno pubblico, di collaterali e altro.
Ho l’impressione che in una crisi come questa tutto diventi più semplice da capire. Se una cosa serve e viene fatta bene resiste di più di una cosa che non serve e viene fatta male. E questo vale anche per i giornali e per il lavoro dei giornalisti.
I giornali hanno diverse opzioni.
1. possono diventare entertainment
2. possono diventare puri contenitori pubblicitari
3. possono diventare puri mezzi di propaganda
4. possono mettersi al servizio della comunità che ha bisogno di informazione
5. possono diventare piccoli circoli culturali nostalgici
Tutte queste opzioni sono già praticate. Il mercato non sembra sostenerle tutte. Lo stato ne sostiene alcune. Quali resisteranno in futuro? La quarta opzione, in particolare, resisterà e si svilupperà solo se i giornali che la praticheranno sapranno essere davvero di servizio, trasparenti, chiari nella linea editoriale e intelligenti nell’interpretazione. In questo senso, la crisi potrebbe migliorare la situazione, scremando il panorama e offrendo al pubblico una maggiore consapevolezza di quello che comprano.
E i giornalisti a che cosa serviranno? Nessuno ha la soluzione in tasca. Le opzioni sono diverse:
1. diventeranno persone di spettacolo
2. diventeranno testimonial pubblicitari
3. diventeranno addetti alle relazioni pubbliche
4. si concentreranno sul mestiere di fare informazione per il pubblico
5. si chiuderanno in alcuni scantinati a lamentarsi pensando di fare cultura
Tutte queste opzioni sono già praticate. Ma se i giornalisti faranno informazione per il pubblico, il pubblico troverà il modo di sostenerne il lavoro. Le soluzioni sono molte da questo punto di vista.
Se giornali e giornalisti faranno informazione insieme, purificando un po’ il clima che si è creato in un contesto nel quale informazione, comunicazione, propaganda e pubblicità hanno perso di vista i loro confini, allora anche questa crisi sarà servita a qualcosa.
E se intanto su internet cresceranno le fonti di informazione diretta, i blogger di qualità, i nuovi modelli di business, il sistema dell’informazione avrà soltanto da guadagnarci.
Per un lavoro sulla qualità, sulla ricerca che richiede tempo e pazienza, sulla indipendenza di giudizio, i professionisti della ricerca giornalistica capace di seguire un metodo empirico e trasparente potrà ancora servire. Su qualunque piattaforma.
Perché il giornale non è la sua carta. E il giornalista non è condannato a fare il pesce incartato.
è uscito lo state of the news media 2009 del project of excellence in journalism che porta un po’ di dati al dibattito:
http://www.journalism.org/commentary_backgrounder/2009_state_news_media_now_available
come al solito ricchissimo, tra le centinaia di cose che dice un paio mi hanno colpito:
1) nel 2008 5000 giornalisti a tempo pieno hanno perso il posto in USA: il 10 per cento del totale. entro la fine del 2009, il comparto potrebbe perdere il 25 per cento della forza lavoro che aveva nel 2001.
2) i giornali non hanno “capito” la crisi fino al fallimento di lehman anche se i segnali c’erano anche prima. «Nel complesso la stampa non è riuscita a diventare un meccanismo di allarme preventivo per quello che oggi è considerato il più grande disastro economico dalla Grande Depressione». Il problema – secondo lo studio – è che troppi reporter si sono «affidati alle dichiarazioni ufficiali» invece che alla «realtà economica» vissuta dai cittadini. E «i tagli nelle redazioni rischiano di accentuare tutto questo riducendo il numero di specialisti in finanza».
Grande Luca! Condivido tutto. Aggiungerei che diventerà sempre più importante il rapporto CON la comunità dei lettori – e commentatori, e blogger che linkano e rilanciano le notizie – e FRA la comunità dei lettori. Le “lettere AL Direttore”, nella forma di “post di commento su un certo articolo” e i commenti e gli scambi FRA i lettori, andranno secondo me a costituire almeno il 50% del valore di quel prodotto diverso che saranno i nuovi giornali (su web, che la carta, come giustamente dici tu, la useremo per fish ‘n’ chips).
probabilmente ai giornalisti toccherà rimboccarsi le maniche e reimparare a fare il loro lavoro- come hanno appreso a loro spese i superstiti del Seattle PI, che scrivono, fanno foto, montano materiali multimediali.
ma dopodiché hai ben ragione tu: lo spazio per il racconto di storie (metodico, empiricamente fondato, leale) continuerà a restare. anche perché, come dicono in tanti, “c’è sempre meno voglia di giornali ma c’è sempre più voglia di informazione”.
in questo senso, mi sembra decisivo il disaccoppiamento che pratichi tra “giornali” e “giornalisti”. perché anche se le cattedrali bruciano- ed effettivamente un pò di odore si sente- ciò non vuol dire che i muratori debbano morire carbonizzati.
Sull’incartamento ho scritto due giorni fa… ed ho proposto un salvataggio prima del crollo.
http://massimochi.blogspot.com/2009/03/salviamoli-subito-prima-di-perderli.html
@giovanni: ma i preti sì – speriamo! – mi verrebbe da dire! 🙂
Bel post, direi riassuntivo su quanto si dibatte da tempo su giornali e giornalisti. Come Raffaele volevo segnalare anche io quel rapporto che riguarda i media in Usa: c’è qualcosa di simile che riguarda l’Italia e l’Europa?
E se rovesciassimo la questione? A cosa serve tutta questa informazione? Sapere a Bari quello che succede in Irlanda o in Madagascar è uno `spreco di risorsre’ dal momento che da Bari non si può in alcun modo influire su fatti così lontani. Per di più le notizie che fanno notizia sono quasi sempre foriere di sciagure e pertanto hanno l’effetto negativo di alimentare il malcontento e la sfiducia collettiva.
No, forse (così tant)i giornalisti non servono… ma forse il problema vero è che non serve avere _così_tanta_ informazione. Purtroppo gran parte dell’economia è finalizzata a produrre strumenti per l’interscambio di informazione quindi… capisciammè!
beh, è chiaro che per tanti l’informazione – il blabla che non ti porta conoscenza su cui puoi appoggiarti per AGIRE – è solo infotainment, spesso foriero di noia e di negatività più che di divertimento, e cioè, alla fin fine, solo rumore su cui sparare della gran pubblicità, che sempre lì ricadiamo, in questo mondo…
@ Paolo: la tua osservazione non è ingiustificata, ma va a colpire quella che è un po’ la caratteristica fondamentale (e positiva) di questa abbondanza d’informazione: la sua disponibilità totale sia per l’utenza che cerca info generaliste, e quindi si rivolge al mainstream, sia per l’utenza “di nicchia”.
Se anche un solo barese volesse sapere cosa accade in Irlanda, tramite i mezzi di informazione tradizionali non caverebbe un ragno dal buco. Con i nuovi media, può invece trovare ciò che cerca, e se anche non lo trova, ha comunque un grande spazio di potenzialità tra cui cercare.
La Rete mira alla soddisfazione totale del bisogno di informazione, da quella generica a quella più di dettaglio.
Molto più fondata è la preoccupazione sul “rumore”, quell’accozzaglia di info che vanno a costituire l’information overload di cui De Biase e altri parlano spesso. Talvolta il rumore è tantissimo e assordante, e porta conseguenze nefaste nelle scelte degli ambienti da frequentare da parte degli internauti. L’auspicio è che la Rete non ceda la sua ampiezza d’offerta informativa, dentro cui i professionisti (quelli veri) espulsi dal sistema tradizionale troveranno di certo spazio e mezzi di sostentamento. Nel fare ciò la Rete dovrà anche trovare presto sistemi di filtraggio o strumenti di selezione da porre in mano agli “utilizzautori”, per ripulire dall’informazione-rumore e dallo spam lo spazio condiviso.
E senza blogger invece?
@Davide: Non è `democrazia informatica’ il mantenimento di un sistema informativo che soddisfi l’esigenza del singolo. Per dare a tutti la possibilità di informarsi su tutto si produce il sovraccarico di informazione che non è gestibile “informa(utoma)ticamente”, comunque evolvano i filtri. Questa sovrabbondanza di rumore è esattamente il substrato necessario per garantire uno pseudo-diritto e/o una pseudo-esigenza. Io sono dell’avviso che la _scarsità_ sia condizione necessaria della qualità poichè aumenta il fattore/contributo umano alla genesi della notizia a discapito di quello informa(utoma)tico.
Sì, Luca, ma forse sarebbe sottolineare il fatto che la pubblicità on line paga un decimo – ad andar bene – di quella su carta, e che quindi se questa cosa non cambia parecchio, e in fretta, le aziende di media saranno per forza costrette a produrre – sul Web o altrove – un giornalismo di qualità più bassa.
A me non frega nulla della carta in sé, non è una piattaforma a cui sono in alcun modo affezionato.
Quello di cui si deve discutere non è questo, è il fatto che l’informazione professionale – quella che permette le inchieste, gli approfondimenti, la ricerca delle notizie spendendo tempo e denaro – se non trova un modello di business pubblicitario nelle nuove piattaforme rischia di essere molto più povera e ricattabile – altro che giornalismo libero e autorevole!
Credo che sarebbe utile se il dibattito si spostasse su questo.
@Alessandro: o, forse, i giornalisti dovrebbero scrivere quasi gratis, online, e vivere di altro, libri, conferenze e apparizioni in tivù, dove la pubblicità costa.
E io, che ho cominciato il master in giornalismo quest’anno, che fine farò?
Good night – and good luck, Andrea!
(saper scrivere è sempre utile, dai! 🙂
@alessandro: hai ragione – non che non se ne sia parlato finora – ma ci torno tra poco con un post dedicato a te 🙂
@Paolo: concordo pienamente sul fatto che la scarsità di potenzialità informative avrebbe un effetto positivo sulla qualità dell’informazione. Ma a quale realtà andremmo incontro? Io credo che si creerebbero poche agenzie informative di altissima qualità in grado di affrontare temi e soggetti generali (per poter intercettare un’ampia utenza).
Le potenzialità della Rete devono restare illimitate, a mio avviso. Lo spazio a disposizione non può essere limitato: in esso l’utente può trovare, oggi, anche la notizia più rara. Magari deve farsi largo in una selva di spazzatura informativa, ma alla fine arriva a ciò che cerca (se in Rete è presente, ovviamente…). Comprimere lo spazio della potenzialità informativa non consentirebbe, imho, l’esercizio di ciò che oggettivamente è il vero valore aggiunto della Rete: la possibilità appunto di trovare la notizia più assurdamente di nicchia, rara, lontana, ecc.
Quanto ai mezzi di selezione, per le info sulla Rete, così come in tantissimi (tutti?) altri casi della vita, credo che il discrimine non sia l’utilizzo di sistemi informa(utoma)tici, che pure possono agevolare, ma un semplice fatto di cultura, di evoluzione del livello intellettuale dell’utenza generale. E qui cadiamo in un campo parecchio sofferente, almeno in Italia: la formazione e la scuola. Per il futuro, questa dovrebbe formare, tra l’altro, internauti e blogger davvero consapevoli.
Io, tu, e tanti altri che leggono questo e altri blog, lo sappiamo perfettamente. Se vogliamo arrivare a una notizia, abbiamo gli strumenti intellettuali per saltare di un sol colpo tutto il rumore che si frappone tra noi e l’informazione ricercata. Il futuro su cui dovremmo lavorare è, secondo me, una diffusione amplissima di questi strumenti intellettuali. A quel punto il rumore stesso si ridurrà naturalmente, per carenza di target, e se anche permanesse, sarebbero gli utenti a utilizzarlo per quello che vale: puro entertainment.
Ciao!
Io credo che in un’epoca di infinita informazione accessibile in tempo zero il collo di bottiglia è il cervello umano, che non può accettare tutti questi dati e processarli.
La soluzione è quella che abbiamo sempre adottato nel corso della nostra evoluzione, guardarci intorno e capire la situazione.
Ecco perché chi aggrega informazione in un’area specifica, per esempio l’economia, è utile per capire che cosa accade in economia se non si ha il tempo e la capacità di analizzare tutte le fonti e analizzarle.
Insomma, il futuro del giornalista è la scelta editoriale. Il giornalista di riferimento è quello che valuta i fatti come li valuteresti tu, scartando quello che tu scarteresti, facendosi le domande che ti faresti e dandosi delle risposte con le ricerche che ci vogliono.
Insomma, la reputazione è tutto.
E i giornalisti a che cosa serviranno? Nessuno ha la soluzione in tasca. Le opzioni sono diverse:
1. diventeranno persone di spettacolo
2. diventeranno testimonial pubblicitari
3. diventeranno addetti alle relazioni pubbliche
4. si concentreranno sul mestiere di fare informazione per il pubblico
5. si chiuderanno in alcuni scantinati a lamentarsi pensando di fare cultura
Lavorare no, eh ???
@Michele Costabile: La sensibilità nei confronti del problema dell’esubero di `informazione disponibile’ è propria di chi tenta di dominarla. Le `stesse teste’ patiscono però i suoi effetti nefasti. Non credo che il giornalista sia una sorta di selettore umano di notizie, anche perchè la competenza non ha niente a che vedere con il dominio della quantità; il giornalista a mio avviso è un procacciatore di `cose che non vanno nella società ma che vengono adeguatamente/opportunamente nascoste’. La Rete non dovrebbe essere un pentolone dal quale _chiunque_ possa buttare o pescare _qualsiasi_ cosa; un filtro molto grossolano (ma efficace) potrebbe essere la necessità di pagare per fruire della rete… ma è utopistico e anacronistico!
@Davide: Così come è rigorosamente dimostrata l’impossibilità di risolvere algoritmicamente e/o in tempi ragionevoli certe classi di problemi, analogamente, ma con il buon senso, si perviene alla constatazione che per comprendere la bontà di ciò che si legge _bisogna_ leggerlo (e questo porta via del tempo). C’è poi un problema a mio avviso più subdolo: la rete, con la globalizzazione della conoscenza, ha fortemente messo in dubbio la possibilità di appurare ciò che è veramente vero (interessante a proposito è questo articolo Wikipedia and the Meaning of Truth)
I giornalisti molto probabilmente continueranno a scrivere sui giornali finchè non ne sanciranno la fine. Il paradosso sarà che non potranno darne nemmeno il triste annuncio.
Internet Mobile per tutti aprirà ad modi inaspettati di informarsi ed i nuovi giornalisti lo sanno, anzi, ne sono i protagonisti.
@Paolo, certo che il giornalista è _anche_ un selettore di notizie, è quello che fa tutti i giorni ed è quello che fa la differenza fra chi fa copia e incolla dai testi delle PR o dalle veline di varia provenienza e chi va a scavare.
Poi naturalmente è anche chi si pone domande anche scomode e si trova risposte, come i giornalisti di Report.
Detto questo, è assodato che la scelta editoriale e la capacità di approfondire sono il fattore chiave.
Ora, dato che uno può usare un feed RSS, Twitter, SMS, Flickr, Delicious, Timblr, segnali di fumo o chissà che cosa per pubblicare senza l’onere e il costo della carta stampata, ne segue che una testa pensante con un computer può inventarsi un Huffington Post dalla mattina alla sera e guadagnarsi un seguito sul campo con li proprio gusto, la propria intelligenza e la linea editoriale.
La vera domanda quindi è questa: il giornalista resta un filtro indispensabile per capire la realtà, ma i giornali si avviano a diventare superflui, quindi il problema da risolvere non è cosa ne sarà dei giornalisti, ma da dove arriverà _lo stipendio_ dei giornalisti. Magari via PayPal?
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