Spesso ricordata, l’intuizione di T.S. Eliot:
Where is the wisdom we have lost in knowledge?
Where is the knowledge we have lost in information?
Commenta James Gleick: «Si può parlare di ansia anche come scarto tra informazione e conoscenza. Una raffica di dati spesso non ci dice quello che abbiamo bisogno di sapere. La conoscenza, a sua volta, non garantisce l’illuminazione o la saggezza» (James Gleick, L’informazione).
Lewis Mumford (citato da Gleick), umanista e filosofo della tecnologia, diceva nel 1970: «Purtroppo, il recupero delle informazioni, per quanto veloce, non sostituisce la scoperta, mediante ispezione personale diretta, di conoscenza della cui stessa esistenza può darsi non ci si sia mai resi conto, e il seguirla secondo i propri ritmi lungo le ulteriori ramificazioni della letteratura pertinente».
Tutto questo può essere visto, come spesso succede, con un atteggiamento nostalgico. Che è inevitabilmente sciocco. Il punto sul quale occorre concentrare l’attenzione è su ciò che si si può fare per migliorare l’evoluzione della conoscenza. Perché ciò che non funziona è opportunità per qualche innovazione che risolva il problema. E perché ciò che manca alla dinamica culturale al momento è il fondamento di un grande successo futuro, riservato a chi interpreta correttamente il bisogno e offre una possibilità riconoscibile di soddisfazione.
L’analisi è chiara. Le ipotesi di soluzione meno, ovviamente.
Abbiamo una struttura tecnologica zeppa di dati, in larga parte nascosti alla maggior parte degli umani e in possesso di poche centrali di potere, pubbliche e private (vedi per esempio Dati e informazioni…).
Abbiamo una società alluvionata di informazioni e di punti di vista trasformati in informazioni. Che da Claude Shannon in poi sono separate dal loro significato (vedi per esempio Luciano Floridi e corso in Bocconi).
E abbiamo un’economia fondata sulla conoscenza, nella quale il valore si concentra sull’immateriale – ricerca, design, organizzazione, immagine, storytelling – nella quale la costruzione di mondi di senso è strategica. E su questo evidentemente è possibile costruire il nuovo modello di business.
Per questo è necessario comprendere come si possa ricostruire un comune senso del discernimento nell’epoca della indistinguibilità del vero dal falso (vedi per esempio Vita, Scuola, Musei, Giornali).
Ma la strada della saggezza è lunga. Si conosce, di può distinguere, ma si ha bisogno di sapere qual è la direzione. Le piattaforme, come la città e l’infosfera vengono in aiuto, o distraggono. Un’evoluzione consapevole dal punto di vista plurale ha bisogno di una strategia che ricorda l’esperienza ecologista nel contesto della conoscenza.(vedi per esempio John Kay, appunti Economia della felicità, Kyoto dell’informazione, ecologia dell’informazione e Homo Pluralis).
Con tempi meno lunghi, possibilmente.
Jorge Luis Borges ricorda: «Quando si proclamò che la biblioteca comprendeva tutti i libri, la prima impressione fu di straordinaria felicità. Tutti gli uomini si sentirono padroni di un tesoro intatto e segreto. Non v’era problema personale o mondiale la cui eloquente soluzione non esistesse». Ma poi: «alla speranza smodata, com’è naturale, successe una eccessiva depressione».
È chiaro che siamo oltre anche questa eccessiva delusione. È tempo di vivere e lavorare per la prossima tappa evolutiva della conoscenza. Che è alla nostra portata. Purché ne abbiamo consapevolezza.
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