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Coronacrisi. Tra una “fase uno perenne” e la vera “fase due”

Questo è un post basato su tre domande. La prima è una domanda importante. Le altre due sono domande contingenti.

1. Come usciremo da questa crisi?
2. Stiamo usando i dati giusti per sapere come stanno le cose e prendere decisioni informate?
3. Oppure stiamo usando i dati per convincere le persone ad accettare le decisioni dei potenti?

Come usciremo da questa crisi?

C’è una domanda importante che ormai si è fatta urgente: come usciremo da questa crisi? Migliori, peggiori? Entrambe le soluzioni sono ancora possibili. Ma quello che è certo è questo: la risposta è data da quello che stiamo decidendo e dal metodo che genera quelle decisioni.

Ovviamente per rispondere occorre prendere in considerazione i molti modi di vedere il mondo, i diversi sistemi di valori, i vari contesti nei quali si definiscono le priorità, le aspettative, le semplici speranze. Insomma, il senso di migliore o peggiore è soggettivo.

Qui prendiamo in considerazione un criterio attento alla complessità, dunque tale da essere descritto in modo narrativo prima che per variabili quantitative. Saremo migliori se saremo in grado di anticipare meglio i cambiamenti, di sviluppare un’organizzazione collettiva più orientata alla resilienza che all’efficienza, di adattare la vita sociale ed economica in modo tale da includere la maggior parte delle persone nelle dinamiche che portano verso una maggiore disponibilità materiale e una migliore qualità delle relazioni sociali, culturali e ambientali.

L’ipotesi sottostante è che per andare in questa direzione occorre una consapevolezza delle tendenze fondata sul metodo scientifico, insieme a un approccio civico alla deliberazione nel quale c’è rispetto della diversità, ascolto delle opinioni di minoranza, tolleranza per la discussione, tensione solidale e comunitaria verso l’accordo e la cooperazione.

Saremo peggiori se al contrario il sistema di potere sarà esclusivo, segreto, basato su convinzioni ideologiche e di banale interesse corporativo o personale, con sistemi decisionali autocratici e non trasparenti, sostenuto da una comunicazione orientata a manipolare l’opinione pubblica sfruttando e alimentando la paura, l’odio, le convinzioni non documentate, le superstizioni e tutte le altre debolezze umane. Il tutto con il risultato di polarizzare la ricchezza, il potere, la partecipazione, l’espressività creativa, la qualità della vita, l’educazione, e così via.

2. Stiamo usando i dati giusti per sapere come stanno le cose e prendere decisioni informate?
3. Oppure stiamo usando i dati per convincere le persone ad accettare le decisioni dei potenti?

La scienza funziona condividendo le informazioni. Il potere tecnocratico non ne ha bisogno. Anzi. La secretazione di alcuni verbali delle riunioni del Comitato Tecnico Scientifico che ha scritto i pareri che hanno condotto alle più drastiche decisioni prese da un governo italiano dopo il fascismo e dopo gli anni di piombo è parte del potere tecnocratico, non della scienza. E le numerose task force, dei comitati burocratici, dei commissari e dei sistemi di consiglieri che circondano i politici del governo, se non vengono spiegate bene, rendono incomprensibile il sistema decisionale che ha preso in mano l’Italia. (OpenPolis – copia del documento è su Tpicomposizione comitato).

Le due domande di prima si riformulano. Una tecnocrazia si è impadronita del potere? O il potere usa tecnica e scienza per convincere la cittadinanza ad accettare limitazioni fortissime della libertà?

Per ora non siamo in grado di sapere quale delle due ipotesi sia corretta, sempre che almeno una lo sia. Sappiamo però che i cittadini sono in condizioni talmente frustranti che ormai accettano tutto. Swg in Italia e Ipsos Mori in Uk dicono che due terzi della popolazione accetterebbe un sistema con il quale il governo controlli gli spostamenti e gli incontri di tutti i cittadini, purché questo aiuti a controllare l’epidemia e consenta a chi è sano di uscire e riprendere le sue attività dopo il lockdown. La clausura è stata una tale assoluta e, per certi versi, insensata deprivazione di diritti e libertà da fare apparire una fortissima invasione della privacy per via digitale come una scelta accettabile e persino desiderabile. Intendiamoci: non è che le app che stanno venendo fuori per fare il tracciamento siano state progettate male dal punto di vista della privacy. Qui stiamo dicendo che i sondaggi dicono che le popolazioni sono disposte a perdere privacy per poter uscire di casa. Quindi ci sono le premesse per una forte concentrazione del potere. Nelle mani di un sistema che si circondi di tecnici per giustificare decisioni altrimenti impopolari.

Non sappiamo se le ipotesi che si stanno qui evocando siano corrette. Ma almeno sappiamo che i dati con i quali il governo ha giustificato l’impossibilità di passare alla fase due dal 4 maggio sono molto discutibili. (Linkiesta). Ma quello che è peggio è che sembrano basati su una logica puramente astratta e priva di connessione con le politiche di contenimento avanzato che si erano ipotizzate per la fase due.

I dati mirabolanti comunicati dal governo che segnalano la possibilità di centinaia di migliaia di ricoverati se non si mantiene il lockdown si basano sull’idea che non ci sia altro modo per contenere l’epidemia che il lockdown. Ma non si era detto che la fase due era quella nella quale si faceva uso massiccio di test e tamponi, si registravano gli incontri di persone sane con persone contagiose, si mantenevano distanziamento e mascherine, proprio per passare a una fase evoluta del contenimento e non già per allentare la politica di contenimento?

Di quelle politiche di contenimento evoluto si è persa traccia. Pare ci siano le mascherine. Non ci sono comunque abbastanza test affidabili. La applicazione di tracciamento aspetta le “api” di Google e Apple per uscire. Per fortuna che nell’ordinanza Giustizia dei ieri si sono occupati di sbloccare almeno alcune parti formali della questione, altrimenti avremmo pensato che non ci fosse coordinamento tra gli organi preposti a programmare la fase due.

È comunque ovvio che se il lockdown termina senza una misura di contenimento evoluta il contagio aumenta, a meno dei supposti miracoli che può fare il caldo estivo. È ovvio anche che il temine della clausura generica coincide con un nuovo genere di rischio. Quello di non essere in grado di aiutare chi ha bisogno e di separare tutti i contagiati da tutti i sani. Ma non è evidente che qualche rischio è intrinseco nella necessità di fare aprire le attività economiche? E non è infine ovvio che se non riprendono le attività economiche, se non si lascia alle persone il tempo di lavorare riaprendo le scuole, se non si ha fiducia nella responsabilità degli imprenditori e dei cittadini, allora finisce che i rischi di disastro socio-economico sono ancora più grandi di quelli sanitari?

Tutte queste questioni possono anche finire nella rivelazione non sorprendente secondo la quale – benché possibile – non c’è alcun golpe tecnocratico in corso. Ma semplicemente un’inveterata sottovalutazione del lavoro da fare per amministrare bene. Un fatto è certo: siamo nelle mani della buona volontà dei migliori amministratori che singolarmente si prendono le loro responsabilità e fanno la loro parte, spesso di più. Combattono soprattutto contro quelli che invece non se ne prendono di responsabilità e pur di non avere nulla da temere personalmente rallentano l’adattamento di sistemi essenziali per la vita civile ed economica (tra i dirigenti di certe strutture che organizzano la scuola o il sistema sanitario qualcuno dovrebbe parlare con la sua coscienza a questo proposito). In questo quadro, non è insensato che qualcuno approfitti della situazione: lo hanno sempre fatto. Persone senza scrupoli, pronte a intercettare grosse fette di spesa pubblica, sono sempre in agguato. Se per ottenere quello che vogliono devono creare aree di fallimento democratico o addirittura di pre-autoritarismo, temo lo facciano senza indugio.

La “fase due” è democratica, scientifica, aperta e rischiosa. La “fase uno perenne” è oscura, complottarda, autoritaria, manipolatoria, cialtrona. In che fase siamo?

Vedi in questa serie:
Coronacrisi. Pieni poteri e vuote autorità
Coronacrisi. È il tempo della ragione
Coronacrisi economica. Leggere il futuro che vogliamo e costruirlo
Geopolitica di internet. Attacco alla rete. Se l’Europa ci fosse potrebbe difendere il network e sé stessa
Coronavirus. Sta per arrivare un fiume di denaro pubblico? Chi lo gestirà? E con quale visione?
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Solo la generosità ci salverà
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Dopo la crisi: resilienza
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Coronavirus. Crisi economica: il privato è politico

 

Photo by Malcolm Lightbody on Unsplash

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Luca De Biase

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