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Costruire le alternative. Altrimenti la critica alla condizione dell’infosfera digitale resta a metà strada

Un approccio Antitrust sul gruppo di aziende-piattaforma messo insieme da Mark Zuckerberg è il primo passo. Il pezzo di Chris Hughes sul New York Times è una lettura fortemente istruttiva. L’idea di separare Facebook, Instagram e Whatsapp sembra sensata. Facebook è cresciuta in modo organico e attraverso l’acquisizione di altre piattaforme, oggi più dinamiche di quella originaria. All’epoca delle acquisizioni, miliardarie, l’Antitrust aveva analizzato i casi e dato il via libera, ma condizionandolo alla promessa fatta da Facebook di tenere separati di sistemi di dati raccolti dalle piattaforme. Facebook non ha mantenuto la promessa. Ne è seguita una multa. Ma probabilmente dovrebbe seguirne qualcosa di più grave. La separazione di Facebook, Instagram e Whatsapp potrebbe essere una soluzione. Per qualche tempo.

L’immenso potere delle grandi piattaforme non viene mai sottolineato abbastanza, ma è un tema ormai spesso ripetuto. Quattro-cinque aziende americane e tre-quattro aziende cinesi possono governare la maggior parte dei fenomeni che avvengono su internet. Il che significa che si teme possano governare la maggior parte delle transazioni tout court. Il tema Antitrust è reso più complesso dal fatto che il servizio che offrono è apparentemente molto conveniente per i consumatori e soprattutto dal fatto che molte piattaforme crescono per effetto-rete, cioè organicamente. Nel caso di Facebook, le acquisizioni sono invece avvenute e possono essere usate per rovesciare la tendenza. Ma sarebbe una misura comunque temporanea.

Sarebbe temporanea perché prima di tutto le altre piattaforme avrebbero lo stesso la capacità di crescere enormemente. E le stesse tre piattaforme risultanti dalla separazione, ciascuna dotata di almeno un miliardo di utenti, sarebbero comunque piuttosto pesanti sul mercato.

La consapevolezza del beneficio che queste piattaforme garantiscono ai consumatori, dovrebbe essere equilibrata dallo studio dei benefici mancati: potenziali innovatori schiacciati dal loro strapotere, privacy calpestata, avanzamento di ogni genere di iniziativa parassitaria (dalle fake news alle campagne pubblicitarie e ideologiche manipolatorie), e così via. Senza contare la distruzione di valore e di opportunità che con il successo delle piattaforme e il corrispondente declino di altre forme di accesso all’informazione si è venuto a creare come effetto collaterale (in questo caso, la responsabilità è per esempio degli editori tradizionali, non delle piattaforme, ma di certo per i consumatori la scomparsa di altre opportunità mediatiche può essere un impoverimento). Insomma, quanto tempo perdono i consumatori su informazioni che non lo valgono e quante informazioni di valore perdono per via della insostenibile attrattività delle piattaforme?

Il tema si fa ancora più complesso se si tiene presente il sottile argomento dell’abuso di posizione dominante. Facebook intende per esempio entrare pesantemente nel settore della moneta. Google ha avuto il torto secondo l’Antitrust di entrare troppo nell’e-commerce. Ma in effetti, ogni passo che i giganti fanno al di fuori del normale seminato potrebbe essere visto come un abuso.

E poi ci sono altri problemi. Il gigantismo delle piattaforme e la loro condizione globale consentono pasticci fiscali che appaiono difficili da risolvere. Le loro enormi casse consentono acquisizioni di aziende innovative alle prime armi che potrebbero in futuro sviluppare forti forme di concorrenza ma che si vendono alle piattaforme prima di poter crescere. I migliori talenti e le più ricche tasche sono attratte dall’apparentemente inarrestabile successo di quelle compagnie. Successo peraltro meritatissimo, in molti casi. E bloccarlo solo perché è stato realizzato sarebbe a sua volta un ingiustizia.

Infine, i diritti della persona, la libertà di espressione, la libertà di innovazione, rischiano di essere schiacciati dallo strapotere di pochi.

Non bisogna peraltro dimenticare che ci sono alcuni potenziali pericoli ancora più gravi. Se le imprese americane che possiedono grandi piattaforme generano i problemi che abbiamo detto, figuriamoci che cosa potrebbero fare altre piattaforma che non nascono da contesti civici e democratici altrettanto consolidati. E, del resto, figuriamoci che cosa potrebbe fare il sistema militare e dei servizi americani se le piattaforme private non difendessero la loro indipendenza come in effetti talvolta riescono a fare.

Occorreranno altre regole. Occorreranno nuove forme di consapevolezza. E occorreranno alternative. Chiunque la faccia troppo facile sbaglia.

Le nuove regole dovranno tener conto della dimensione raggiunta dalle imprese anche se questa è cresciuta organicamente? In effetti è un problema. Ma nella rete, chi vince tende a diventare monopolista della sua categoria di servizi. A un certo punto, la sua proposta al mercato diventa un obbligo, cioè una posizione dominante. A quel livello, sono necessarie regolamentazioni che garantiscano la loro apertura, interoperabilità, orientamento al servizio verso il pubblico, semplicità nei termini d’uso; regolamentazioni che equilibrino le asimmetrie nell’informazione e molte altre cose. Non sarà facile.

Le nuove forme di consapevolezza sono un compito di tutti. Studiare, parlare, analizzare, centimetro per centimetro, i fenomeni emergenti nell’infosfera non è una pratica semplice e spesso diventa pesante. Ma è necessario aumentare l’alfabetizzazione mediatica. Altrimenti diventiamo tutti schiavi dei codici indiscussi che emergono nella rete.

La costruzione di alternative peraltro è la questione decisiva. Piattaforme alternative non sono semplici da costruire ma si possono costruire. Il progetto di costruire alternative è tra l’altro l’aspetto più splendido della cultura digitale. È possibile. È bello. È liberatorio. Non è facile trovarte il successo. Ma la mentalità che la cultura digitale sviluppa è quella di cercare continuamente come fare meglio o come fare qualcosa che era impossibile. Oggi siamo di fronte a nuovi grandi salti di innovazione che quindi offrono altrettanti grandi salti di opportunità. Non solo intelligenza artificiale e big data, industria e internet delle cose, robotica e sensoristica. Il vero salto viene dai nuovi obiettivi che l’umanità intelligente si sta dando.

Le prossime piattaforme nasceranno per affrontare il cambiamento climatico, per affrontare la polarizzazione culturale ed economica, per affrontare l’incapacità di comprendersi tra tribù mediatiche che si sono chiuse nei loro pregiudizi, alimentati e incentivati dalle logiche delle vecchie piattaforme oggi gigantesche.

Nel grande dibattito che si sta sviluppando per criticare le piattaforme esistenti, la parte meno sviluppata è quella che si occupa della necessaria costruzione delle alternative. Ma senza questa parte, ogni altra misura resterà lettera morta.

Facciamo le alternative!

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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