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La gabbia dorata dei social network esiste, dice uno studio. Ratti e Helbing hanno un’idea

sfera-di-cristalloNelle discussioni analizzate da Walter Quattrociocchi, IMT Lucca, Antonio Scala, CNR – Intitute for Complex Systems, Cass R. Sunstein, Harvard Law School, gli utenti del social network mostrano una tendenza a cercare e ricevere informazioni che rafforzano le loro narrative preferite (Echo Chambers on Facebook, giugno 2016).

Abstract
Do echo chambers actually exist on social media? By focusing on how both Italian and US Facebook users relate to two distinct narratives (involving conspiracy theories and science), we offer quantitative evidence that they do. The explanation involves users’ tendency to promote their favored narratives and hence to form polarized groups. Confirmation bias helps to account for users’ decisions about whether to spread content, thus creating informational cascades within identifiable communities. At the same time, aggregation of favored information within those communities reinforces selective exposure and group polarization. We provide empirical evidence that because they focus on their preferred narratives, users tend to assimilate only confirming claims and to ignore apparent refutations.

Carlo Ratti, architetto, e Dirk Helbing, data scientist, hanno sviluppato un pensiero in materia di algoritmi e sviluppo culturale in rete (The Hidden Danger of Big Data). Dicono che il costo dell’anarchia è grande nella gestione delle città, ma una certa misura di casualità nelle decisioni online va mantenuta per conservare la capacità innovativa del sistema.

Si potrebbe chiosare. Nelle questioni che riguardano risorse “fisicamente” scarse, come l’ordine del traffico in città, il vantaggio di un po’ di anarchia si confronta con un costo superiore dovuto al disordine e alle perdite di tempo nel traffico che non generano molta serendipity. Ma nelle questioni che riguardano risorse che non sono “fisicamente” scarse, come le idee e le informazioni, il costo dell’anarchia è inferiore al valore della contaminazione casuale tra punti di vista diversi. Ma anche questo va visto con attenzione. Perché, in realtà, lo scambio di idee avviene anch’esso in un ambiente nel quale esiste una scarsità importante e analogica: il tempo della gente. Quindi la sacrosanta anarchia delle idee dovrebbe confrontarsi con la limitatezza delle risorse fondamentali nel suo ambiente. Ma come? Non con una restrizione “fisica”, ovviamente: cioè non con una restrizione censoria, top down. E neppure, appunto, con un banale algoritmo pensato per una piattaforma costretta per modello di business a pensare in termini soprattutto pubblicitari. Quindi occorre una idea diversa, mediaticamente ecologica. Occorre piuttosto una maturazione culturale che consenta di scegliere metodologicamente bene le idee importanti e quelle meno importanti. Questo non può essere un algoritmo banale. Deve essere qualcosa che viene fuori da una profonda esperienza culturale. Per questo c’è un futuro per chi ha un passato di profondità. (Pensando alle vecchie istituzioni come biblioteche, archivi, musei, università, persino buoni giornali: non possono campare come quando erano monopolisti della scelta di ciò che è importante, ma di quello che hanno imparato c’è bisogno…). Imho.

Vedi anche:
Che senso ha parlare di politica su Facebook

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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