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La ragione minoritaria. E due filoni di ricerca

Daniel Kahneman ha vinto il Nobel e scritto una vita di studi dimostrando che gli umani prendono decisioni basate sul ragionamento controllato soltanto in una minoranza di casi. Il più delle volte decidono in base all’intuizione, cioè fanno “la prima cosa che viene in mente”.

Il che mette in minoranza l’idea dell’homo oeconomicus. L’antropologia assurdamente anti storica degli economisti neoclassici prevedeva che la persona decida sempre in modo razionale, scegliendo in modo da massimizzare l’utilità e il profitto. E un corollario era che tutti erano perfettamente informati. Era una condizione essenziale per provare che la perfetta concorrenza è il migliore dei modi possibile per allocare le risorse. Dunque era una condizione essenziale per rendere convincenti tutte le politiche che proponevano l’abbattimento delle barriere alla concorrenza come soluzione per migliorare l’economia. Se la concorrenza perfetta non esiste, però, che cosa esiste?

Il mercato resta una fantastica idea ma solo se è deideologizzata e pensata come una pratica storica molto precisa. Il mercato esiste solo se è protetto. Si tratta di uno spazio dello scambio economico abbastanza circoscritto nel quale c’è concorrenza e le persone possono effettivamente scegliere sapendo di potersi fidare delle alternative che si trovano di fronte. E nel quale le scelte sono necessariamente informate e razionali. E che stimola al miglioramento delle offerte. E che probabilmente innesta dinamiche innovative significative. Ma è uno spazio piccolo e minoritario in un oceano nel quale vale la legge del più forte, la manipolazione, la disinformazione e l’irrazionalità. Insomma: il mercato è uno spazio che va protetto dal capitalismo. E le regole antitrust dimostrano che questa non è un’idea peregrina.

Fuori dal mercato e dalla ragione della minoranza, c’è l’abitudine a operare d’istinto o di intuizione, con paura o violenza, subendo l’influenza o la manipolazione dei persuasori di professione, e così via. Come funziona tutto questo? Come ce ne possiamo liberare? La prima cosa che sappiamo è semplice: la libertà si allarga con la consapevolezza. E aumentare la conoscenza di ciò che trova la scienza è liberatorio.

Uno studio di Gregory Trevors e altri mostra perché è tanto difficile convincere le persone sulla base dei fatti. Mostra che se i fatti vanno contro le convinzioni delle persone, quelle convinzioni che le persone considerano in un certo senso parte della loro identità, allora i fatti vengono rigettati. Se i fatti avvalorano il senso identitario delle persone allora vengono presi in considerazione (BPS).

La ricerca di Robert Epstein e altri mostra come il successo di Google – e Facebook – stia costruendo un nuovo sistema della manipolazione. In pratica le risposte del motore di ricerca sono in grado di modificare la percezione della realtà e dunque le convinzioni degli utenti quando sono ignari di eventuali effetti distorsivi che il motore può contenere. Va detto che gli utenti sono quasi sempre acritici nei confronti dei risultati offerti da Google, lo considerano sostanzialmente oggettivo. Ma è dimostrato che l’impatto che le risposte del motore possono avere sulle scelte degli umani è gigantesco. Il pezzo di Robert Epstein va letto (Aeon). Fa il paio con la capacità di influenzare l’umore che ha dimostrato Facebook con l’esperimento del 2014 (qui).

La ragione è minoritaria. Il ragionamento è uno sforzo. Informarsi correttamente e criticamente richiede impegno. Le conoscenze non ci arrivano automaticamente: siamo noi a cercarle, criticarle, valutarne l’attendibilità, accettarle anche se non ci piacciono, scegliere di conseguenza. Quello che accettiamo supinamente e senza sforzo probabilmente è in grado di influenzarci più che di informarci.

Ma ogni minoranza può avere un ruolo in una società. E questa minoranza ha bisogno di crescere. Perché un migliore equilibrio tra ragione ed emozione può migliorare anche quest’ultima: l’emozione autentica ha bisogno di difendersi dalla manipolazione esattamente tanto quanto la ragione ha bisogno di criticare per liberare la creatività. Alla fine è l’emozione che sceglie, ma un’emozione purificata dalla critica è meglio di una irrazionalità manipolata dagli interessi. Insomma: stiamo parlando di ecologia dei media. No?

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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