Si tratta di una ricerca fondamentale da leggere per chiunque abbia interesse ad approfondire il senso dell’evoluzione del lavoro e del welfare nell’epoca digitale. Va letta qualunque cosa si pensi delle sue conclusioni. L’ha svolta il Conseil national du numérique per conto del ministero del Lavoro. Un riassunto è proposto da Bien. Il testo integrale è disponibile su CNNum (in pdf).
Il senso della ricerca è chiaro. Il digitale sta creando condizioni radicalmente nuove per il lavoro, la solidarietà, la sicurezza economica delle persone, il ruolo dello stato. Il rapporto prende in considerazione con attenzione l’ambiguità delle opportunità offerte dalla tecnologia digitale, senza negarne il valore ma imponendo all’attenzione uno sguardo disincantato e consapevole della complessità delle condizioni sociali emergenti. I nuovi mestieri che si presentano come opportunità sono molti: richiedono nuove competenze ma soprattutto un nuovo approccio al lavoro e alle sue prospettive, per imparare a conoscere il cambiamento e a tentare di cavalcarlo. Ma nello stesso tempo, il nuovo contesto emergente mette in discussione molte delle forme abituali attraverso le quali la società si è organizzata per gestire l’evoluzione dell’economia e delle sue conseguenze per la sicurezza delle persone. Le opportunità finora colte non sono per tutti. Sicché è tempo di sviluppare una nuova cultura del welfare, proattiva, adattiva e consapevole. L’atomizzazione del lavoro connessa in particolare all’emergere del lavoro “on demand” mette in crisi le aggregazioni del lavoratori tradizionali e la continuità o prevedibilità del salario, mentre la sfida tecnologica e organizzativa viene vinta soprattutto da chi la comprende, il che rischia di allontanare la parte della società che “ce la fa” da quella “che non sa come fare”.
Non mancano in questo straordinario lavoro le idee di Antonio Casilli, che si occupa di digital labor (le forme di lavoro non pagato che gli utenti svolgono per le piattaforme), che l’ha segnalato anche in relazione a un post pubblicato su questo blog: Cambia il lavoro nella “on demand economy”: freelance, contractors, digital labor, e altre ambiguità.
Le raccomandazioni contenute nel rapporto sono ampie e articolate. Si suggerisce di promuovere forme di lavoro plurale, con lo svolgimento di molte attività da parte delle stesse persone, oltre a fluidificare il passaggio da un lavoro all’altro e a rinnovare le agenzie per la ricerca di lavoro dotandole di una capacità interpretativa dell’evoluzione del mercato e della tecnologia. Si suggerisce di inquadrare in modo nuovo le attività che si svolgono sulle piattaforme collaborative e di favorire le nuove forme di aggregazione tra i lavoratori. Si suggerisce di prendere attentamente in considerazione le conseguenze dell’automazione spinta che si sta affacciando all’orizzonte e di sviluppare pratiche di innovazione aperta e collaborativa, adatta al contesto valoriale europeo. Si suggerisce di trasformare radicalmente la struttura e lo scopo della formazione professionale (che peraltro in Francia è particolarmente articolata). Si suggerisce di prendere in considerazione lo studio di forme di reddito di base garantito a tutti.
Spero di aver riassunto in modo decente. Ma leggere la ricerca originale sarà certamente un’esperienza migliore.
Ovviamente il dibattito si è concentrato soprattutto sull’ultimo punto, che peraltro ha senso solo se realizzato contemporaneamente al resto. Tanto che anche il ministero del Lavoro, ringraziando per lo studio, ha preso le distanze dall’ultima raccomandazione, dichiarando che il suo costo va valutato molto attentamente. Ma sta di fatto che questo rapporto ha messo in condizione i politici di prendere decisioni consapevoli della profondità del cambiamento in atto. Quando si dovesse riprendere in mano l’argomento avviato con il Jobs Act in Italia, questo rapporto potrebbe servire.
[…] al recente rapporto del Conseil National du Numerique francese (CNNum) sul futuro del lavoro (qui un articolo di Luca de Biase al riguardo). La Francia, paese la cui monolitica burocrazia e il generosissimo […]
Il digitale è solo uno dei motivi, ma il vero motivo della fine del lavoro è la globalizzazione: per ogni lavoro c’è un milione di persone disposto a farlo.
Il digitale agevola, ma il vero distruttore è il container che ha permesso la globalizzazione.
Ma il vero competitor sarà l’automazione e la robotica, per eliminare una parte consistente del lavoro fisico, e i computer cognitivi che elimineranno il lavro dei colletti bianchi.
E questo fa emergere anche il fatto che parlare d’immigrazione e d’integrazione è una discussione oziosa, visto che non ci sarà lavoro nè per il locali nè per gli ospiti.
E pochi lo rimpiangeranno il lavoro, visto questo: http://www.vice.com/it/read/peter-fleming-the-mythology-of-work-lavoro-inutile-382
il paradosso:
per mantenere il tenore di vita in una società basata sul consumo, serve, per l’appunto, un continuo consumo di beni non di prima necessità
per mantenere costante (in realtà in crescita) il consumo, serve un’adeguata capacità di spesa del singolo
la capacità di spesa del singolo deriva da una retribuzione adeguata a seguito di lavoro eseguito
l’automazione ridurrà la possibilità di impiego -dal muratore al manager-, quindi direttamente/indirettamente la capacità di spesa del singolo
veniamo al paradosso, a cosa serve una capacità produttiva sempre più elevata, una spinta ad un consumo frenetico?
Che sia arrivato il momento di ripensare la società nel suo complesso, con soluzioni che vadano oltre il semplice reddito di cittadinanza?
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[…] anche: Nuovo welfare e lavoro nell’èra digitale. Dibattito profondo in Francia a partire da uno studio d… Cambia il lavoro nella “on demand economy”: freelance, contractors, digital labor, e altre […]
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