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Editori in cerca di coraggio

Gli editori sanno perfettamente che oltre a tagliare i costi devono innovare. Ma non è chiaro che cosa stiano facendo come conseguenza di questa consapevolezza.

E’ vero che sono diminuite drasticamente le entrate tradizionali. E dunque è vero che devono tagliare. Ma non è vero che devono prima tagliare e poi innovare.

I tagli e l’innovazione dovrebbero essere parte di una visione. E dovrebbero essere pensati come conseguenza di quella visione, per accelerare l’avvento di una fase innovativa.

Nel migliore dei mondi possibili, anche i tagli dovrebbero essere visti come innovazioni. E a questi tagli dovrebbero aggiungere gli investimenti destinati a esplorare i modi nuovi di fare il loro mestiere. La tecnologia che sta cambiando non è solo un nemico della tradizione. E’ anche un amico dell’innovazione. Ma le opportunità che offre vanno scoperte, sperimentando, subito.

Un esempio di tagli poco innovativi è quello dei prepensionamenti dei colleghi che hanno più di 58 anni. A parte la perdita di esperienza e capacità produttiva che i prepensionamenti significano, quelle operazioni costano care: sono un taglio futuro a prezzo di un costo immediato. Che invece potrebbe essere inteso come investimento. Che cos’è un taglio innovativo? Non sono certo io la persona più indicata a rispondere con competenza. Mi viene in mente un’idea, a solo titolo di esempio. Invece di pagare per il prepensionamento di colleghi esperti, si potrebbe pagare lo start up di cooperative di informazione formate dagli stessi colleghi, già perfettamente capaci di produrre contenuti da utilizzare sui giornali e i siti web stessi. Si otterrebbe in cambio la produzione di informazioni preziose, allo stesso prezzo dei prepensionamenti; e la nascita di cooperative che potrebbero riconoscere il senso professionale maturato dai colleghi stessi oltre che puntare a raggiungere una posizione di mercato interessante, progressivamente slegata dai loro giornali di origine. Magari, si potrebbe aggiungere l’obbligo di assumere anche una quota di giovani. 

Vabbè. E’ solo un’idea. Ma serve a sostanziare la richiesta più pressante: la strategia degli editori non può essere soltanto espressa dalla tattica dei tagli…

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  • resto terra terra, ma da freelance sono allibita dai tagli e dalla scarsa considerazione (in senso economico) di chi sta fuori dalle redazioni. spesso, purtroppo, nell’indifferenza degli stessi redattori, che sarebbero colleghi. eppure in condizioni come quelle attuali gli esterni dovrebbero diventare (per gli editori) appetibili, o no? le cooperative sono una buona idea, purtroppo in quelle che già ci sono (perché ci sono, e non intendo server) lavorano come cani e fanno la fame.
    eppure il futuro probabilmente sarà una sorta di super desk centrale, interno, e una certa quantità di collaboratori esterni. con una controindicazione di cui tenere conto. una gran massa di “vecchi” giornalisti andrà in pensione di colpo, non solo grazie agli attuali prepensionamenti: l’ultima infornata di assunzioni risale alla fine degli ’80, poi il nulla o quasi (mentre l’ordine piazzava scuole di giornalismo qua e là facendo finta di non vedere il mercato, e il sindacato… vabbe’). quando avverrà, concordo con te, le redazioni si troveranno pesantemente impoverite di un sapere che solo il mestiere può dare. e per mestiere intendo la redazione, da soli si può fare molto ma non abbastanza. il giornalismo, come il cinema, è un grande lavoro collettivo. e gerarchico, non lo dico in senso negativo anzi.

  • Bisognerebbe capire una volta per tutte se c’è effettivamente una domanda inespressa di giornalismo di qualità, qualsiasi attributo la definisca. Ho l’impressione che non ci sia per come viene intesa nei rigori deontologici, dubito anche rispetto all’approfondimento. Per quel che sembra di intravedere ora, la tendenza è quella dello “strillone” che riesce ad alzare più il tono. Per per quello non servono né scuole né mestiere. Sarebbe un gran peccato.

  • D’accordo con Emanuele. E aggiungo, perchè i giornali COMUNQUE sono di parte, o come tali sono percepiti. Facevo ieri la battuta sul giornale – partito (Repubblica), ma anche gli altri lo sono, magari solo giornali-correnti, ma quello è. Stante che i giornali si fanno nella migliore delle ipotesi SELEZONANDO le notizie, in quella intermedia dando la precedenza al’interpretazione, e in qlla peggiore, e più frequentata, dando libero sfogo alla fantasia, pretendete anche che qualcuno PAGHI per qualcosa di diverso dall’essere confermato nelle proprie opinioni ? E che l’interpretazione sia ormai il modus operandi accettato, andatevi a leggere la notizia di ieri sui cooperanti europei rapiti e ammazzati in Yemen. Primo take: rapiti e ammazzati gli adulti salvi i bambini, interpretazione immediata di rapimento andato a male; second take, ammazzati tutti, commento consolatorio immediato, erano braccati e li hanno ammazzati; ora, le donne smno state torturate e mutilate quando erano vive. E guardate che i primi due take si basavano sul nulla, erano interretazioni che riempivano i vuoti di notizie con quello che il giornale voleva essere la linea di interpretazione: rapimento classico andato male, tutti tranquilli. Sembra una cazzata, ma non lo è.E vorreste che io PAGHI per una sbobba del genere ?

  • Valentina, lascia perdere. Ancora credi nei “colleghi” ? Siamo sempre e solo alla guerra dei garantiti e dei non-garantiti. Almeno in fabbrica l’impiegato era impiegato e l’operaio era operaio, ora ti tocca persino sentirti dire “non possamo darti più di un euro a riga per il tuo pezzo, caro collega… Ah, e ci serve subito, Uh, e ti paghamo a 180 dalla data di pubblicazione”.
    Ciao (sursum corda).

  • Il coraggio degli editori (di giornali e non solo se mi posso permettere) forse dovrebbe partire dal puntare sulla qualità, serietà e sulla professionalità di chi scrive avendo il coraggio di non lasciarsi intimorire dai contenuti e dalle inchieste e di non lasciarsi trasportare dalla convinzione che solo il gossip o le “fiction-news” possano essere vendute.
    Io so e vedo che molti vogliono vere inchieste, vere notizie, veri libri.
    Molti non vogliono più solo lustrini e paillettes (spero si scriva così io ed il francese non ci conosciamo :-))) )
    Ed allora forse se qualcuno avesse il coraggio di dare una svolta ci sarebbero più vendite (forse), meno tagli e forse più risorse da investire.
    Forse pecco di ottimismo, ma credo che certi dati e ceti riscontri, nonostante la papimania imperante, vadano chiaramente in tal senso.
    Ed allora ecco che anche i giornalisti free-lance avrebbero in Italia maggiore considerazione e sarebbero più ricercati.
    Ed ecco che in quest’ottica anche i giornalisti “d’esperienza ” quelli che ora sono prepensionati perché troppo seri ed obsoleti per cui “non servono più”, tornerebbero ad avere peso per quello che sono ed hanno fatto.
    Ma per tutto questo ci vuole coraggio….
    PS;scusa il commento forse un po’ lungo. Ho forse spaziato un po’ ma spero e credo di non essere poi veramente andato off topic. Credo e spero peraltro di aver toccato aspetti collegati al tuo post
    Daniele

  • No Marco, non sono un’ingenua e neanche di primo pelo, ma conosco anche colleghi decenti. Scontato che non tutti siamo generosi di default, il problema non sta però nelle singole personalità o nella guerra tra poveri, ma negli organi di rappresentanza dei giornalisti (e nessuno rappresenta i freelance, a cominciare dai cdr per finire con l’odg che al massimo li sanziona se sgarrano) e nelle politiche industriali degli editori che giustamente si prendono tutto quello che possono, però con la complicità della politica. Basterebbe vincolare veramente i finanziamenti pubblici a impegni precisi nei confronti dei lavoratori dei giornali, per esempio.

  • “Basterebbe vincolare veramente i finanziamenti pubblici a impegni precisi nei confronti dei lavoratori dei giornali, per esempio.” Quella potrebbe essere una piattaforma, ma temo che dovrete (non sono giornalista, solo comunicatore che ammette di esserlo), spaccare il sindacato. Se po’ fa…

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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