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Update. La pubblicità online è ancora una possibilità per chi non sia Facebook e Google?

morning-newsIn una serie di articoli, abbiamo notato che la strategia dei giornali che ce la fanno a superare la crisi non è basata sulla pubblicità ma è concentrata sulla qualità del giornalismo che convince il pubblico a pagare per poterne fruire (Separati dalla pubblicità. Concentrati sui lettori. I giornali che ce la fanno). Perché la pubblicità è una partita tecnologica e la tecnologia per ora non è stata capita dalla maggior parte degli editori di giornali e perché gli investimenti pubblicitari sono insufficienti per pagare tutto lo sviluppo innovativo che è necessario (non solo nell’editoria) specialmente in un paese come l’Italia che continua a credere pubblicitariamente molto nella televisione.

Oggi sul Financial Times (Adtech funding drops in face of Facebook-Google duopoly, articolo a pagamento) si fa notare che i nuovi investimenti in pubblicità online vanno per il 75%-85% a Google e Facebook.

Il 75%-85%!

È una specie di duopolio del tempo che la gente passa in rete e dunque dell’attrazione di budget pubblicitari che cercano efficienza ed efficacia. Persino gli investimenti in startup dedicate a innovare la tecnologia pubblicitaria sono in ribasso, tanto appare evidente la vittoria dei due giganti, dice il FT.

Per gli editori di giornali è bello e giusto puntare sull’altra strada: il servizio alla comunità con informazione ricercata con un metodo di qualità che è un valore sempre più grande nel mondo contemporaneo. La comunità pagherà quel servizio se lo comprenderà nella sua purezza metodologica. Chi si voglia comunque cimentare nell’accompagnamento all’informazione commerciale dovrà trovare il modo di innovare concettualmente in modo radicale. Non è impossibile. Imho.

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  • Leggere articoli come questo è una boccata d’ossigeno.
    Purtroppo intanto i mass media italiani continuano ad avvitarsi in una spirale di contenuti trash e tonnellate di pubblicità dal valore aggiunto bassissimo e a quasi nessuno passa neanche lontanamente per la testa di cambiare direzione. Intanto il resto del mondo è già passato attraverso innumerevoli stadi di evoluzione che qua in Italia non ci immaginiamo nemmeno, col risultato di una polarizzazione impressionante dei leader di mercato, che non fa che rendere sempre meno rilevanti le aziende del nostro paese nello scenario globale.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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