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Giornali. La tecnologia è un obbligo. La conoscenza è il valore

Chi, quando, dove, cosa? In un articolo sul futuro dei giornali queste domande trovano una risposta nella tecnologia. Perché? In quell’articolo questa domanda trova risposta nel servizio al pubblico con informazioni che non si trovano altrove e alimentano la conoscenza.

La tecnologia è obbligatoria. Assurdo nascondersi. Senza tecnologia adeguata qualunque altra cosa è inutile. Ma questo vale per tutti, dagli alberghi alle banche, dalla pubblicità alla politica. La specificità dei giornali è che hanno un “perché”. Questo “perché” è stato tradito molte volte in passato, ma questo “perché” è un aspetto che diventa sempre più decisivo e il suo valore potenziale è tanto alto da far pensare che si tratti di un motivo per pensare che il giornalismo che serve il pubblico alimentando la conoscenza sia potenzialmente la “prossima grande innovazione”.

film-spotlightIl film Spotlight dimostra che la leggenda originaria del giornalismo, quella che motiva le persone che praticano questo mestiere e soprattutto che motiva il pubblico a dare ascolto al giornalismo, è stata una realtà, qualche volta. Gli esempi sono innumerevoli. I valorosi giornalisti che si sono dedicati al pubblico offrendo informazioni ricercate con un metodo controllato – accuratezza, completezza, indipendenza, legalità – sono moltissimi. Ma non si può dire che siano la norma. Anzi. Si può dire che il business del giornalismo sia stato in passato definito, economicamente e socialmente, dal servizio alla pubblicità e alla politica, più che al pubblico. È un’affermazione forte, che va relativizzata tenendo conto appunto dei grandi casi di giornalismo fatto in nome del pubblico, ma si può sostenere per definire il sistema degli incentivi fondamentali che hanno sostenuto la gran parte del fatturato e della rilevanza dei giornali: servivano la pubblicità e la politica con un’attenzione maggiore, in generale, di quanto non servissero il pubblico. E anche se questa affermazione non fosse ritenuta vera, va detto che la perdita di credibilità del giornalismo tradizionale è comunque dovuta alla percezione che così stessero le cose. Un giornalismo sostanzialmente fondato sulla sua motivazione istituzionale fondamentale, sarebbe dunque non un obiettivo di difesa di ciò che esiste ma un progetto per creare un’innovazione che ancora non è pienamente sviluppata. La prossima grande cosa è – forse – un sistema con il quale i cittadini si informano su come stanno le cose in base a notizie ricercate con un metodo di qualità. Può essere possibile nel mondo attuale?

Il mondo attuale è l’infosfera (vedi l’articolo L’editoria di fronte al picco dell’attenzione. Il nuovo modello richiede qualità e tecnologia). L’infosfera è fondamentalmente definita dall’epopea della tecnologia digitale. Le persone vivono in un ambiente arricchito dall’informazione digitale e vi operano usando protesi digitali come gli smartphone. Secondo Martin Hilbert il 98% delle informazioni registrate in un anno nel mondo sono su supporto digitale. Nell’infosfera si registra digitalmente tutto, senza discriminare ex ante ma filtrando ex post. Il potere selettivo è negli algoritmi che filtrano tutta questa informazione. E nell’interfaccia che le persone usano per accedere a tutta questa informazione. L’informazione è il processo di gestione della materia prima informativa e, come diceva Claude Shannon, «talvolta ha un significato». Ma l’informatica tradizionalmente non si occupa di quel significato (vedi questi due pezzi: Se non ci credo non lo vedo. I media osservati dall’alto e Architettura dell’informazione. Appunti). Chi si occupa del significato è chi fa l’interfaccia e ovviamente chi fa la ricerca che serve interpretare l’informazione per tirarne fuori conoscenza. Se si vuole operare nel mondo attuale si deve operare con la tecnologia digitale: che non è soltanto uno strumento da saper usare, è un ambiente da conoscere tanto approfonditamente da saperlo trasformare per cogliere le opportunità che vi si trovano.

Le piattaforme che le persone usano di più, attualmente, gestiscono l’informazione con algoritmi abbastanza banali (tipo: quello che ti ha interessato in passato ti potrebbe interessare anche in futuro; oppure: quello che ti è piaciuto in passato ti potrebbe piacere anche in futuro). I media sociali sono quelli che per interfaccia mettono insieme persone che si piacciono e sviluppano bolle di filtri nelle quali le persone sviluppano scambi di informazioni potenzialmente preconcette, che incuriosiscono e gratificano, ma che non sono necessariamente capaci di stupire e generare nuova conoscenza. I media civici sono quelli che per interfaccia mettono insieme persone che non necessariamente si piacciono ma hanno qualcosa da fare in comune: dunque hanno bisogno di una base di informazione comune e condivisa sulla quale sviluppare conoscenza per prendere decisioni sensate (vedi gli articoli segnalati in fondo). Va aggiunto che gli algoritmi dei media sociali e delle grandi piattaforme centralizzate sono sostanzialmente fuori dal controllo dei cittadini (vedi Fuffa e manipolazione. Esperimenti di Facebook sugli utenti, tipo: “se ti selezioniamo solo i post degli amici contenti tu sei più contento?” e Pnas e l’esperimento di Facebook). In quelle piattaforme, inoltre, il senso dell’interfaccia è orientato a massimizzare il traffico, attrarre il pubblico, moltiplicare le entrate in base al modello di business della piattaforma. Invece, nel contesto progettuale dei media civici, gli algoritmi e il senso dell’interfaccia sono trasparenti, condivisi, aperti e distribuiti, altrimenti la “civicità” di quei media viene meno.

In questo contesto, i giornali tradizionali sono chiamati a scegliere tra il tentativo di inseguire le piattaforme prevalenti su un terreno concentrato sul modello di business e proporsi come i campioni dei media civici.

Se continuano a servire la pubblicità e la politica, possono farcela ma non certo alimentando l’infodiversità, la qualità della ricerca di informazione, l’indipendenza e tutto il resto. Di certo quelli che che la possono fare percorrendo solo questa strada sono pochi. I giornali che invece puntano a fare molti abbonamenti e a farsi pagare dal pubblico sono votati a servire, appunto, il pubblico con informazione ricercata adeguatamente, con metodo trasparente, indipendenza, completezza e tutto il resto: quindi sono destinati a fare parte dei media civici. Ma arrivano a questo obiettivo con una tradizione e con professionalità altissime per raggiungere questo scopo. Quindi possono essere la prossima grande innovazione.

Come fare? Ci sono molti esempi. Di certo non facili. Mediapart è un caso. Report è un caso. Il Washington Post di Jeff Bezos dimostra che mantenere la qualità dell’informazione e migliorare sul piano della consapevolezza tecnologica è una strategia fattibile. Il Financial Times è un ottimo esempio. E lo stesso Sole 24 Ore – primo in Italia per abbonamenti digitali – sta dimostrando qualche cosa. Si tratta di lavorare sulla tecnologia come un’azienda tecnologica e sulla qualità dell’informazione come un mezzo di informazione civico, orientato all’interesse dei cittadini. Si può fare. E può essere uno dei grandi successi del futuro.

In quest’ottica, la tecnologia è obbligatoria. Non fa la differenza ma è obbligatoria: sul serio, senza se e senza ma. A fare la differenza, poi, è la qualità della ricerca definita dal metodo usato per generare informazione alimentare la conoscenza del pubblico.

ps. Qualunque sia l’obiettivo, fare volume di traffico o servire il pubblico pagante, una questione aperta è quella di progettare il lavoro di ricerca e produzione algoritmico, basato su intelligenza artificiale (vedi lo studio di Andreas Graefe). In generale il Washington Post, il cui sito dopo il trattamento Bezos ha raggiunto quello del New York Times, è un esempio per quanto riguarda il valore della consapevolezza tecnologica (vedi: Exploring the Amazon, A Progress Report on Jeff Bezos Transforming the Washington Post, Come Jeff Bezos sta cambiando il Washington Post). Intanto, le informazioni economiche sui giornali continuano a segnalare che adattarsi soltanto alle piattaforme non basta: Digital publishers face a winter of discontent.

Vedi anche:
Da Strasburgo a Torino per Nexa: Internet e democrazia. Appunti sui media civici
La cura degli altri come qualità della rete sociale: l’emergere di media medici
Media Civici, una costellazione di iniziative emergenti. Il codice è insieme software e regola di comportamento
Media Civici. Informazione di mutuo soccorso

Da vedere poi la cartina sulla libertà di informazione di Reporters sans frontières.

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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