Si sa. Se ne parla fin troppo. I giornali sono in crisi. Una spirale perversa sembra aver preso di mira questo strumento dell’informazione. Meno lettori, meno pubblicità, meno soldi per gli editori, meno soldi per i giornalisti. Dov’è, se c’è, il bandolo dalla matassa?
gli editori sono al centro del problema, se il problema è essenzialmente quello del modello di business. E a quanto pare, in questi giorni sono concentrati sull’idea di vendere le notizie online per rispondere alla crisi dei lettori della carta e degli inserzionisti della pubblicità. Ma è una soluzione molto complicata. E lo sanno loro per primi. È una soluzione complicata perchè rivoluziona l’intero ecosistema dell’informazione: gli editori infatti, non hanno mai venduto le notizie; hanno sempre venduto il supporto che rendeva accessibili le notizie al pubblico, l’attenzione generata dalle notizie agli inserzionisti pubblicitari e la piattaforma di trasporto ai produttori di altri oggetti editoriali come i cosiddetti collaterali (libri, film, canzoni, ecc.).
in un certo senso, a vendere le notizie, agli editori, sono stati piuttosto i giornalisti.
lo spiazzamento concettuale e pratico non è di poco conto. Se le piattaforme per vendere le notizie saranno abbastanza facili – e non potranno non esserlo – anche singoli autori e non solo gruppi organizzati da editori, potrebbero pensare di vendere le notizie direttamente al pubblico.
per motivare la loro parte nella filiera dell’informazione, gli editori dovranno inventarsi qualcosa di meglio che una sorta di mega-accordo tra loro finalizzato a far pagare le notizie online. Ci possono riuscire tanto meglio quanto più attentamente studieranno le scelte di altre aziende simili – pur con le dovute differenze: le etichette musicali in primo luogo. Imho.
Ho dei dubbi che siano i giornalisti dei quotidiani a vendere le notizie, e non le agenzie.
I “30mila megawat” di Corriere e da dove arrivano?
Bella e stimolante osservazione … MA forse il problema e un altro ovvero il concetto stesso di media e’ quantomai obsoleto. Il vero problema e’ che nellera dellinformazione diffusa non ha più senso un media ma ha senso un “media diffuso” la dove le persone si aggregano spontaneente. Dai discorsi che faccio periodicamente con importanti editori nazionali CIO spaventa non poco in quanto l’audience “diffusa” viene vissuta come una “perdita di potere mediatico” peccato che non si accorgano già di essere degli zombie. Come ci insegna l’evoluzione solo pochi sopravviveranno …
Sarà per la passione che ho le potenzialità dello strumento telematico, sarà perché non condivido le opinioni che fanno intravedere nella Rete un pericolo piuttosto che un’opportunità, ma ritengo che il problema di una possibile crisi della carta stampata sia imputabile più alla carenza nella qualità delle “firme giornalistiche” piuttosto che nella concorrenza del Web.
I giornali non devono continuare a veicolare informazioni, questo sarebbe assurdo in un mercato ormai reso saturo dalla contestuale offerta di informazioni che provengono dal web, dalla televisione satellitare (penso ai notiziari 24H) alle edizioni cartacee dei quotidiani pomeridiani gratuitamente distribuiti nelle stazioni metropolitane.
I giornali per conservare fette significative di mercato dovranno accaparrare le migliori “firme giornalistiche” e focalizzare l’attenzione su “commenti e approfondimenti” alle notizie.
Tutti pagheremmo volentieri un commento politico, sociale o semplicemente sportivo se ben scritto e capace di accrescere la nostra opinione.
Luca, bel post sull’argomento più caldo del momento.
Condivido la perplessità che lucidamente hai sollevato sulla rivoluzione concettuale che si propone tra corrispettivo del supporto e corrispettivo dell’informazione (o se preferisci del contenuto).
Scrivevo in modo più “intuitivo” e meno lucido e riflettuto qualche settimana fa (http://www.guidoscorza.it/?p=961) che l’idea di un metodo “payperinformation” oltre a non convincermi sotto il profilo della sostenibilità economica (ma non ho competenze al riguardo) mi preoccupa sotto il profilo della qualità e libertà dell’informazione: la corrispettività diretta rischia di costituire una troppo forte tentazione per gli editori di caricare i giornali di informazioni cariche di appeal (nude&sex per esempio) e povere di contenuti e, soprattutto, di trasformare l’informazione in “comunicazione commerciale.
Ti segnalo, perché mi sembra vada nella stessa direzione concettuale del tuo post questo interessante link: http://paidcontent.org/article/419-the-fallacy-of-the-link-economy/.
Due ultime osservazioni: tra le leve per vendere i giornali che, forse romanticamente, ma non credo debbano morire ne siano condannati all’estinzione ce n’è una troppo a lungo sottovalutata proprio perché si pagava il supporto: la qualità dell’informazione.
La seconda osservazione: se la crisi dell’editoria è determinata dagli aggregatori di news allora è in quella direzione che occorre andare a recuperare utili e non addossare ai lettori il costo di un preteso danno arrecato all’impresa editoriale da altri imprenditori…
Ci siamo già passati con l’equo compenso – ed ancora paghiamo il prezzo – anziché affrontare il problema della pirateria (soprattutto commerciale) si è trovata la comoda via di addebitare subdolamente alla collettività il costo del danno da altri prodotto ad un’industria.
Scusa la lunghezza del commento e buon lavoro.
Una piccola curiosità OT (neanche tanto poi) assolutamente priva di qualsiasi vena polemica.
Luca, tu che scrivi per il Sole24Ore, mi sapresti spiegare come mai in questo momento (sono le 17,55) nelle home page di tutti i principali siti di informazione (e quando dico tutti intendo tutti, compreso Il Giornale) compare la notizia del crollo del pil e dei consumi con i soli telefonini in controtendenza, e la stessa notizia non compare nell’home page del Sole? (io almeno non l’ho tovata).
Gli editori possono anche provare a mettere un prezzo alle loro notizie… ma non possono obbligare il pubblico a comprarle. Se nell’ecosistema dell’informazione continuano a prodursi notizie a costo zero per il lettore, saranno quelle a essere maggiormente ricercate e fruite. Le notizie a pagamento non sembrano una buona strada da seguire.
A salvare dall’estinzione gli editori tradizionali potrebbe essere l’autorevolezza, perché notizie gratuite ma di livello scadente (in un mondo logico) non le vorrebbe nessuno. Tuttavia, nel passato soprattutto recente, tra gli editori sembra esserci stata una gara al ribasso e alla perdita di autorevolezza – su questo versante la situazione non è positiva.
Di questo post mi colpisce soggettivamente il titolo e la conclusione. Se non ho le competenze per paragonare le scelte di business delle etichette musicali all’editoria (posso solo consigliare la lettura dell’articolo di Mantellini, “Il futuro delle notizie di carta”, dove partendo dall’intuizione di De Benedetti di voler fare di Repubblica.it l’iTunes delle notizie si passa anche attraverso un paragone critico con le case discografiche), di certo sono persone sia gli editori che i giornalisti, ed anche i sopramenzionati singloli autori. Tutti loro però fanno parte dell’offerta, mentre IMHO quello che bisognerebbe approfondire nel contesto delle news online a pagamento anche in Italia è la domanda, sempre fatta da persone. Se è vero che il comitato della Fieg sta studiando le formule per far pagare le news online lasciando poi libertà di scelta all’editore proprio a seconda della domanda, nella stessa dichiarazione all’ANSA il presidente della Fieg dichiara di essere convinto che – nonostante l’abitudine alle news gratis online – “ci siano fruitori di contenuti di qualità, specialistici o di elevata professionalità che sarebbero disposti a pagare i servizi di cui hanno bisogno”. Non metto in dubbio questa autorevole convinzione, e per ora mi conforta pensare che i singoli editori faranno verosimilmente delle ricerche di mercato (mi auguro ad es. dei sondaggi e/o “forum”, ma – sconfinando un po’ – anche consulenza di autorevoli giornalisti-blogger quali obiettivamente Luca De Biase), che soggettivamente ritengo che in tutta questa annunciata trasformazione – piuttosto che una decisione presa dall’alto – sia l’elemento di inclusione di tutte le persone.
In un giornale grande e complesso come il Sole 24 Ore chi si occupa di un settore di solito tenta di non rispondere di ciò che fa chi si occupa di un altro settore. E io non ho l’incarico di occuparmi del sito del Sole. Ma posso dire che i colleghi ce la mettono tutta per fare un buon lavoro. Non ho visto il sito del Sole nel pomeriggio. Vedo ora che il dato Confcommercio è riportato in questa pagina: http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Economia%20e%20Lavoro/2009/08/confcommercio-consumi-italia.shtml?uuid=22d203e8-8b1d-11de-af46-a0df39fd03cb&DocRulesView=Libero&fromSearch
Ne approfitto per ringraziare di tutti i commenti. Che francamente ritengo siano la parte più interessante di questo blog. Tornerò sull’argomento prossimamente: come dicevo ne sto scrivendo. Anche se è davvero enormemente difficile: ho infatti l’impressione che le responsabilità dello stato in cui versa il sistema dell’informazione italiana siano condivise tra tutti gli attori coinvolti. Giornalisti compresi. Non è dunque facile scagliare una prima o un’ennesima pietra per chi fa comunque parte di una categoria che a modo suo e con il suo ruolo contribuisce alla crisi. E non è facile dover dire che per quanto attiene ai modelli di business – il tema principale del dibattito di questi giorni – la questione è fondamentalmente degli editori.
(io però avevo commentato… il mio messaggio si è perso perché aveva due link? 🙁
“È una soluzione complicata perchè rivoluziona l’intero ecosistema dell’informazione: gli editori infatti, non hanno mai venduto le notizie; hanno sempre venduto il supporto che rendeva accessibili le notizie al pubblico”.
Grazie per aver beccato il punto.
I giornalisti continueranno a fare i giornalisti (“ciò che è davvero il giornalismo: un lavoro artigiano, fondamentalmente di ricerca, dotato di un metodo di lavoro orientato alla raccolta e alla verifica dei fatti, con una linea interpretativa esplicita”, scrivevi), la pubblicità continuerà a dovere e volere essere sempre presente dove passa lo struscio, la vera rivoluzione sta dove dici tu e quanto e come verrà convissuta da altri verrà dopo.
Non è ovviamente una delega: è solo che il mercato si muove là dove passano i soldi, e l’editore in questo campo è il media (economico) dei media (di notizie, i giornalisti e il supporto). Indipendentemente da quale tipo di editore sia, ovvio, vedi Spot.us
ciao .mau! non so perché si sia perso… ora ho liberato un tuo commento che si era impigliato in chissà quale perplessità di questa piattaforma, ma non conteneva due link… 🙂
boh… chissà che era successo con il commento (alla fine i link non li avevo messi perché non erano così importanti 🙂 )
La struttura redazionale classica è nata e si è sviluppata perché – data l’infrastruttura tecnologica esistente – permetteva l’ottimizzazione della filiera dell’informazione con la conseguente ottimizzazione dei costi, in maniera non molto diversa da quanto avvenuto per l’industria classica.
Il modello è entrato in crisi quando è risultato evidente che Internet produce e distribuisce informazione in modo più efficiente.
Sfruttare a proprio vantaggio questa “nuova” infrastruttura significa modificare profondamente il modello redazionale classico, adottandone altri come la redazione distribuita e on demand e accettando di trasformare la piramide a senso unico editore-giornalista-lettore in un grafo fortemente connesso.
La struttura redazionale classica è nata e si è sviluppata perché – data l’infrastruttura tecnologica esistente – permetteva l’ottimizzazione della filiera dell’informazione con la conseguente ottimizzazione dei costi, in maniera non molto diversa da quanto avvenuto per l’industria classica.
Il modello è entrato in crisi quando è risultato evidente che Internet produce e distribuisce informazione in modo più efficiente.
Sfruttare a proprio vantaggio questa “nuova” infrastruttura significa modificare profondamente il modello redazionale classico, adottandone altri come la redazione distribuita e on demand e accettando di trasformare la piramide a senso unico editore-giornalista-lettore in un grafo fortemente connesso.
La struttura redazionale classica è nata e si è sviluppata perché – data l’infrastruttura tecnologica esistente – permetteva l’ottimizzazione della filiera dell’informazione con la conseguente ottimizzazione dei costi, in maniera non molto diversa da quanto avvenuto per l’industria classica.
Il modello è entrato in crisi quando è risultato evidente che Internet produce e distribuisce informazione in modo più efficiente.
Sfruttare a proprio vantaggio questa “nuova” infrastruttura significa modificare profondamente il modello redazionale classico, adottandone altri come la redazione distribuita e on demand e accettando di trasformare la piramide a senso unico editore-giornalista-lettore in un grafo fortemente connesso.
Mi scuso per i commenti “clonati”, ma ricevevo messaggi d’errore (internal server error) mentre tentavo d’inviarli.
Please, Luca, cancella i surplus…
roberto scrive:Mi sbrema che la critica del post sia rivolta alla carta stampata, che fa fatica a competere con l’informazione online, o non compete nel modo giusto, col risultato di peggiorare il prodotto editoriale. Tra le righe leggo un invito alla stampa a confrontarsi con l’innovazione, non il contrario.
Unaltro aspetto da non sottovalutare minimamente e’ che la parte più importante dell’editoria e’ letteralmente “sovvenzionata” dalle provvidenze (economiche) della presidenza del consiglio che finanziano i costi dei quotidiani e che vengono erogate sulla base della tiratura e del colore politico: quindi non esiste “informazione indipendente” per nessuno. Ritengo che visto che oggi il digitale spesso supera anche il cartaceo tali provvidenze debbano essere estese anche agli editori digitali degni di questo nome, proprio perché possano batterai ad armi pari con l’editoria tradizionale. Relativamente agli aggregatori di notizie,Google in testa, visto il potere informativo di cui dispongono nell’era digitale ritengo che sia assolutamente doveroso ( e legale) che dichiarino pubblicamente i meccanismi di ranking per i quali danno più o meno visibilità alle notizie ed alle testate orientando di fatto il traffico dei lettori. Il primato del digitale e la libertà di informazione passano sopratutto dalle regole chiare ed uguali per tutti. 🙂
@MIchele Ficara Manganelli: è vero che l’informazione on line merita rispetto, mi preoccupa quello che dici rispetto agli editori digitali degni di questo nome, probabilmente così finirà che i finanziamenti li prendono gli stessi controllati dal sistema di potere. Lo stato deve tutelare l’informazione e l’accesso all’informazione ma bisogna trovare criteri diversi per incentivare la produzione di informazione.