I media sono elementi costitutivi dell’ambiente nel quale gli umani percepiscono di vivere. Ma la percezione non è un fenomeno esterno alla realtà. E’ parte integrante della realtà, modifica la realtà, conduce gli umani ad adattarsi e ad adattare la realtà. E muta il corpo con il quale gli umani vivono nella realtà, mutando il cervello, organo plastico preposto all’elaborazione, alla memorizzazione, alla comunicazione di quanto percepisce. Usando i propri sensi e usando i sensi aumentati dai media.
La media ecology si occupa di questo, anche. Ed è una disciplina tutt’ora più complicata da conoscere di quanto meriterebbe. Anche perché un’evoluzione consapevole della società umana deve internalizzare nella sua dinamica la conoscenza delle conseguenze delle scelte mediatiche: esistono i disastri ecologici anche nei media, come esistono gli ambienti di qualità, come esiste il rispetto per l’ambiente mediatico, come esiste l’inquinamento mediatico, e così via.
Per renderla meno astratta occorrerebbe anche avvicinarla all’esperienza di tutti i giorni.
E’ chiaro che certi ambienti mediatici hanno conseguenze sui comportamenti. La televisione, la radio, i giornali, i libri, le sale conferenze, i bar: sono tutti ambienti mediatici che spingono a certi comportamenti. Per esempio, come osservava David Weinberger, se un ascensore fosse preso come mezzo di comunicazione, sarebbe un medium che disincentiva la conversazione e spinge tutti a guardarsi la punta delle scarpe piuttosto che a scrutare il soffitto, pur di superare l’imbarazzo di stare vicino a qualcuno senza sapere che cosa dirgli. L’automobile in coda, vista come mezzo di comunicazione, sollecita comportamenti aggressivi in alcuni, tentati dal sentirsi potenziati dai cavalli del motore e dalla carrozzeria del veicolo: spesso un guidatore si sente autorizzato a dare del “tu” a un altro che gli taglia la strada o perde tempo aggiungendo epiteti che non direbbe se si trovasse in un museo o semplicemente a piedi per strada. Inutile parlare del bar come luogo che incentiva chiacchiere non particolarmente approfondite o della biblioteca che suggerisce alle persone di parlare sottovoce…
Ma oltre l’aneddotico è interessante seguire le poche tracce di sviluppo empirico che alcuni studiosi producono, per esempio seguendo la traccia dell’effetto priming. Angelo Antocia, Laura Bonelli, Fabio Paglieri, Tommaso Reggiani e Fabio Sabatini hanno pubblicato “Civility and trust in social media” un paper che riporta i risultati di uno studio sul civismo o l’inciviltà nei social network: emerge che tutti danno per scontato che i social network siano contesti fondamentalmente incivili; incontrare ambienti online nei quali ci si comporta civilmente alimenta altrettanti comportamenti civili, mentre incontrare comportamenti incivili non rende più incivili, dato che il default atteso è incivile. Generalizzando, direi, è la differenza del percepito e dell’atteso a fare l’effetto…
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