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I luoghi della fiducia. Rachel Botsman da commentare

Rachel Botsman ha scritto What’s Mine Is Yours: The Rise of Collaborative Consumption. Una delle intuizioni del libro riguardava la fiducia: una vera e propria “moneta” nella economia emergente. Una sorta di patrimonio, un deposito di valore, e molto di più. Ora Botsman esce con un nuovo libro dedicato a indagare proprio sulla fiducia: Who Can You Trust?: How Technology Brought Us Together – and Why It Could Drive Us Apart.

Ci sono tre tipi di fiducia, dice Botsman. Il primo è la fiducia tradizionale, quella che tutti hanno sempre coltivato con la prossimità fisica, convivendo con i parenti, solidarizzando con i vicini. Il secondo è istituzionale e si incarna nelle strutture pubbliche, con le loro regole e il loro potere di farle rispettare, oltre che con la loro capacità di rappresentare la società. Il terzo è la fiducia diffusa che si sta sviluppando nella rete e che è dimostrata da quanto le persone tendono a fidarsi di sconosciuti per andare a casa loro con AirBnb o per farsi portare in macchina con Uber. E del resto si fidano anche dei legami deboli dei social network per farsi raccontare o valutare le notizie.

L’osservazione immediata è che mentre il sistema istituzionale sembra perdere la capacità di alimentare la fiducia, il sistema della rete riesce a conquistarla. Ma se si vuole andare oltre questa osservazione vagamente populista vale la pena di chiosare. Cercando di commentare il rapporto che c’è tra le relazioni tra le persone i luoghi nei quali si sviluppano: luoghi che sono sempre più spesso “media”. È una delle tendenze riflessive che vengono in mente pensando in termini di ecologia dei media.

C’è una fiducia incondizionata che sta nella relazione con le persone che si amano e che spesso sono i vicini e i parenti. I luoghi di questa relazione sono la casa e il vicinato, in qualche caso forse anche il luogo di lavoro, ma comunque i luoghi dell’esperienza di vita: eccezionale o più spesso quotidiana. La situazione da questo punto di vista si è complicata con la televisione che ha portato nelle case la sensazione di vicinanza con i personaggi della tv, tra i quali hanno scelto di entrare i politici: che sono usciti così dai luoghi istituzionali per entrare nei luoghi privati delle relazioni sociali più intime. Ma poiché la fiducia, per quanto si speri possa essere assoluta è sempre relativa al rapporto tra aspettative e fatti, i politici “vicini” finivano per rischiare molto: se i fatti non corrispondevano alle aspettative venivano subito sentiti come traditori della peggior specie. Sicché questi politici si sono trovati a doversi comportare in modi sempre meno istituzionali e sempre più simili a quelli delle persone che incontravano nelle loro caso, sviluppando un’abilità particolare a spostare le aspettative su istituzioni delle quali fingevano di non appartenere e facendosi sempre più spesso rappresentanti delle idee che istintivamente si sviluppano nelle relazioni sociali di base, accettando la tentazione di diventare populisti pur di mantenere la fiducia dei loro “vicini”. Ma la scoperta della finzione era latente, anche per l’alternanza continua che si sperimenta in televisione tra la “vicinanza” personale con i personaggi tv e il messaggio commerciale che finanzia la piattaforma.

Insomma. I politici che hanno abbandonato le sedi istituzionali e sono diventati vicini di casa attraverso la televisione hanno cambiato le relazioni di fiducia. E la televisione è un luogo nel quale la fiducia cambia di significato, diventando un po’ meno probabilmente assoluta. La rete non è diversa, probabilmente: si sente la vicinanza degli amici di Facebook soltanto fino a quando non ci si accorge che si tratta comunque di legami deboli. E allora si adattano le relazioni in modo che ci si continui a rassicurare, per esempio condividendo le stesse opinioni sulle cose che succedono e chiudendosi in bolle.

Ma in rete si scopre una dimensione della fiducia che resta e che funziona nel momento in cui non è soltanto la vicinanza ad alimentarla. Se si chiede ai tecnici perché hanno fiducia nelle piattaforme di rete probabilmente faranno considerazioni sui meccanismi che preservano la fiducia in termini di relazione tra aspettative e fatti. Fintantoché le piattaforme funzionano come promesso sono generatori di fiducia. Se usano la metafora del mercato e sono effettivamente un mercato leale con tutte le parti in causa riescono ad alimentare fiducia e in qualche modo a “garantire” per i partecipanti. Ma è chiaro che non siamo arrivati a una stabilizzazione. Quei mercati non sembrano sempre leali. E la fiducia è forse troppo spesso garantita dal giudizio dei “pari” che qualche volta può essere distorto. Ma su quell’onda i tecnici vanno avanti: la blockchain è una nuova tappa che aggiunge un meccanismo di salvaguardia della fiducia molto forte. La fiducia distribuita in rete, insomma, gode di un contesto mediatico che non necessariamente la mette a rischio (come avviene nelle piattaforme televisive che si basano sulla pura e semplice pubblicità emozionale degli spot) ma che in qualche caso e sempre più spesso lavora proprio per salvaguardarla.

In sintesi, si dovrebbe distinguere la fiducia che si desidera assoluta che è connessa alle persone che si amano e la fiducia relativa che si connette ai meccanismi della razionalità e della convenienza. La questione della fiducia nelle istituzioni resta complicata perché forse la si desiderebbe assoluta ma facilmente diventa relativa: istituzioni come comunità o istituzioni come agenzie di servizi. Da quest’ultimo punto di vista, in questo periodo, le istituzioni tecnologiche sono facilitate. Le istituzioni tecnologiche della rete si impegnano a salvaguardare la fiducia e danno riscontri quotidiani dei risultati. Le istituzioni hanno tempi più lenti e si prestano alle critiche fondate ma anche infondate. Ma non è finita così. Perché c’è bisogno anche di fiducia nei beni comuni che si salvaguardano con le dinamiche di comunità.

Il libro ha il merito di alimentare una discussione necessaria.

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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