La locuzione “gene editing” ha avuto successo. Dal nulla è arrivata a crescere verticalmente (nella foto in alto, il risultato di una ricerca del termine su Google Trend). Dà l’idea che si possano ormai modificare le sequenze di geni di ogni specie vivente con la stessa facilità con la quale si “edita” un testo sul computer. Ed è il titolo più comune che si affida agli articoli relativi alla tecnica CRISPR-Cas9 che ha reso facile e poco costoso cambiare un pezzo di DNA con un altro.
Le conseguenze di quella tecnica sono visibili. La diffusione degli esperimenti di modificazione genetica è esponenziale. Si stanno modificando insetti, topi e persino embrioni umani. Sembra un vaso di Pandora scoperchiato. Si cercano soluzioni per migliorare l’agricoltura, per curare malattie genetiche, per abbattere l’HIV. Ed è entusiasmante. Nello stesso tempo ci si preoccupa della possibilità di costruire armi genetiche. O addirittura di far partire una nuova mania eugenetica da qualche parte del mondo.
Gli scienziati sono convinti che la tecnica sia superinteressante. Ma in generale dicono che le conseguenze indesiderate dell’utilizzo di questa tecnica sono ancora ignote, soprattutto perché serve a sostituire un preciso pezzo di DNA con un altro, sotto la guida di un pezzo di RNA. Ma non si sa assolutamente quali altri pezzi di DNA si modificano o si possono modificare nello stesso tempo e senza averlo previsto. Inoltre non è chiaro come queste modifiche possano diventare ereditarie. E per questo tre organizzazioni di scienziati di importanza fondamentale – la National Academy of Sciences of the United States, l’Institute of Medicine, la Chinese Academy of Sciences e la Royal Society of London – hanno indetto una conferenza e chiesto una moratoria sull’uso del CRISPR sugli umani. La conferenza si è tenuta a inizio dicembre e non ha portato a molto. Ci vorrà qualcosa di più: un sistema di riflessioni sul rapporto tra diritti umani e genetica; una presa di posizione forte dei sistemi militari, industriali e finanziari di tutto il mondo; una maggiore informazione dei cittadini, non polemica ma sostanziale. Qui non si può giocare con il fuoco: la comunicazione superficiale, in questo caso, potrebbe essere devastante.
Quello che è chiaro è che la scienza sta generando spazi di possibilità straordinariamente ricchi e profondamente problematici. Di fronte alla complessità delle conseguenze della ricerca, gli scienziati cominciano a rendersi conto che non possono più affidare la valutazione delle conseguenze di ciò che fanno alla società e alla politica. Anche perché la politica e la società sono altamente impreparate a comprendere quello che sta succedendo nella ricerca. Quando si trovano parole azzeccate come “gene editing” si arriva a sollecitare l’attenzione di molti, ma si alimentano anche pensieri legati più alla metafora che alla realtà che quella metafora serve a descrivere. Con la conseguenza di controversie inutili, rischi ostruzionistici, entusiasmi finanziari generatori di bolle, e così via. La scienza è chiamata a pensare di assorbire nel suo metodo qualcosa che abbia a che fare con le conseguenze dei suoi risultati. La scienza delle conseguenze non è più un’utopia: è un elemento emergente dell’epistemologia.
Il dibattito:
Explainer: what is genome editing (Conversation)
Of Science, CRISPR-Cas9, and Asilomar (Stanford)
Don’t edit the human germ line (Nature)
Why there’s an urgent need for a moratorium on gene editing (Vivek Wadhwa, WashingtonPost)
Scientists Seek Moratorium on Edits to Human Genome That Could Be Inherited (NewYorkTimes)
A proposito, giovedì 24 dicembre, con il Sole 24 Ore, esce il quinto numero delle “Lezioni di futuro”: dedicato a “La vita sintetica”.
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