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Sorvegliare e terrorizzare

Come in un riflesso pavloviano, il discorso intorno alla sicurezza a fronte degli attacchi terroristici sfiora pericolosamente l’antica opinione secondo la quale la lotta al terrorismo è una guerra e per difendersi in una guerra bisogna rinunciare alla libertà. È esattamente quello che ha fatto chi comandava l’amministrazione andata sotto il nome dell’ex presidente americano George W. Bush: orrore, paura, irrazionalità, possibilità di cambiare le leggi per aumentare il potere del governo e dei servizi, conseguentemente prendere decisioni che altrimenti sarebbero state impopolari o illegali. In questo contesto, il richiamo spesso ripetuto all’uso della tecnologia per il controllo delle comunicazioni in ordine all’individuazione dei potenziali terroristi, allude alla possibilità di introdurre tecniche di sorveglianza di massa. Tecniche che in sostanza consentono al governo di intercettare e controllare tutti i cittadini, indipendentemente dalla procedura giuridica standard, senza distinguere tra i sospetti o gli indagati e le persone oneste e pacifiche.

Si può sostenere che la riduzione di libertà introdotta con la sorveglianza di massa possa essere temporanea, fino alla fine della guerra. E che aumenti le probabilità di scoprire e contrastare i terroristi. Oppure si può sostenere che quella riduzione di libertà tende poi a diventare stabile e che la sorveglianza di massa non faccia che aumentare il potere dei servizi segreti. L’esperienza aiuta a capire quale sia la valutazione giusta.

L’esperienza americana è chiara. La sorveglianza tecnologica “di massa” era stata introdotta, con Echelon, molto prima dell’11 settembre 2001. E la Nsa aveva iniziato il suo progetto di sorveglianza via internet prima del più terribile atto di terrorismo della storia americana. Secondo alcune inchieste (vedi Washington Post), in più occasioni è stato provato che le notizie potenzialmente utili per fermare i terroristi erano in possesso dei servizi americani, archiviate da qualche parte e non utilizzate a dovere. Anche per la scarsa collaborazione tra servizi, dovuta a una certa loro idea di potere. Dopo di allora, l’attività di sorveglianza di massa dell’Nsa si è sviluppata oltre ogni senso del limite, come ha provato Edward Snowden. E il tentativo di sradicare la sorveglianza di massa operato in qualche occasione dall’attuale amministrazione si è arenato di fronte al “ricatto” dei servizi formulato in modo tale da far pensare che ridurre quella sorveglianza significhi aumentare i rischi di attentati.

Una volta definita “guerra” la lotta al terrorismo, dunque, gli Usa hanno potuto cambiare le regole, ridurre la libertà dei loro cittadini, monitorare gli stranieri senza garantire loro alcun diritto umano, il tutto in nome di un’idea astratta di sicurezza.

L’Uk e ora la Francia hanno introdotto legislazioni simile a quella americana. Secondo alcuni la Francia è andata quest’anno persino oltre con la loi de reinsegnement. I recenti attentati non sono stati però fermati da questo indurimento delle leggi (forse si può dire che era stato sì precedente agli attentati ma troppo recente). Di certo si sa che i terroristi erano già noti alle autorità, i loro movimenti tra l’Europa e la Siria erano particolarmente evidenti, ma le polizie non sono riuscite a coordinarsi abbastanza da fermarli, dice il New York Times. Non occorreva la sorveglianza di massa per individuarli, visto che li avevano individuati: occorreva che le polizie e i servizi europei collaborassero e comunque agissero con efficienza e con lo sguardo dritto all’obiettivo.

Se la sorveglianza di massa non era servita a individuare i terroristi e se la mancanza collaborazione tra i servizi preoccupati dell’indipendenza del loro potere ha impedito il successo, allora la sorveglianza di massa è una risorsa che aumenta il potere ma non elimina alla radice il motivo che impedisce di ottenere il risultato di prendere i terroristi prima che commettano il loro attentato.

I servizi, e i loro governi, non guardano all’obiettivo della sicurezza dei cittadini: guardano al loro potere. Altrimenti collaborerebbero per prendere i terroristi condividendo le informazioni. La sorveglianza di massa è pensata proprio nell’errata convinzione che questa dia a chi la pratica la possibilità di conoscere e agire senza bisogno di collaborare. È una questione di potere, non di risultati.

I risultati si possono ottenere con le informazioni già disponibili, ma attraverso la collaborazione tra i servizi, dunque attraverso una cessione di una parte del loro potere.

Gli obiettivi dei cittadini europei sono:
avere insieme sicurezza e libertà
aumentare la qualità della vita nelle città che riduce il reclutamento di terroristi
sapere come stanno le cose per poter influire consapevolmente sull’operato del governo.

È del tutto chiaro che i giovani americani che vivono nei ghetti e che hanno una speranza di vita simile a quella dei loro coetanei del Bangladesh (calcola Amartya Sen), godono di una libertà limitata e non hanno alcuna sicurezza. Come del resto i loro coetanei di origine mediorientale che vivono nelle periferie di Parigi o nei quartieri degradati di Bruxelles. L’Europa, dice Richard Florida, sta lasciando che nelle sue città si sviluppi una sorta di segregazione per quartieri simile a quella degli americani. E questo riduce la sicurezza, non aumenta la libertà e soprattutto, in Europa, genera il terreno fertile per il reclutamento dei terroristi.

Quando il presidente del consiglio italiano dice che il nostro paese reagirà con equilibrio indica la strada giusta. Quando dichiara che molto dipenderà dalla cybersicurezza, senza spiegare che cosa intende, apre la porta alle mire dei servizi che vogliono guadagnare potere. L’Italia, imparando dagli altri paesi, deve darsi come metodo che ogni modifica legislativa relativa alla crisi in atto deve essere operata in modo che sia temporanea in modo chiaro e forte. E deve evitare in modo chiaro e forte la sorveglianza di massa. Che non fa gli interessi dei cittadini, ma solo quelli dei centri di potere.

Vedi: NyTimes – Mass Surveillance Isn’t the Answer to Fighting Terrorism

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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