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Attenzione media perplessità

Google – Francia

Come valutare l’accordo tra Google e gli editori francesi? Una bella discussione si è sviluppata attorno a un’ambiguità generata da un interessante articolo pubblicato online da Wired Italia.

L’ambiguità sta nell’idea che i giudizi espressi da me sul Sole e Gianni Riotta sulla Stampa fossero comparabili. In realtà, parlano di due cose diverse. Il pezzo di Riotta è strategico. Il mio riguarda il contesto specifico. E per la verità entrambi qualificano come relativa al “passato” la posizione francese, mentre connettono al concetto di “futuro” la posizione di Google. Ma l’occasione è buona per fare qualche commento in libertà.

Il fondo di 60 milioni messo a disposizione da Google per la digitalizzazione degli editori francesi – e che a quanto pare verrà gestito da un comitato comprendente insieme editori e Google oltre a esperti indipendenti – non è in alcun modo un pagamento per l’uso dei loro contenuti su Google News. Non ha niente a che fare con il copyright, anche se la disputa era nata da un’equivoca considerazione del copyright (tanto equivoca che per farla valere ci sarebbe stato bisogno di far passare una nuova legge). Con l’accordo, gli editori ammettono che non hanno nulla da chiedere sul piano del copyright. E anzi chiedono implicitamente a Google di continuare ad aggregare i loro titoli e gli estratti delle loro notizie: anche perché, mentre Google non ci guadagna direttamente nulla visto che sulle pagine di Google News non mette pubblicità, per gli editori perdere l’aggregatore equivale a perdere traffico dunque a perdere denaro pubblicitario. Del resto, l’accordo non implica nulla sulle possibilità che gli editori conservano di imparare a darsi una mossa per innovare indipendentemente da Google. Sempre che siano capaci di farlo, o anche di concepire l’idea di farlo.

Di certo, Google non ha perso. E gli editori non hanno vinto. L’accordo è logico, vista la forza relativa delle parti. La conclusione chiara e forte è questa: il futuro dei giornali non dipende da Google, dipende dai giornali. Si può fare meglio di quanto fa Google News? Si può fare altro? Si può modernizzare l’editoria giornalistica? Certo che si può. Se si è capaci. Se si investe seriamente. Se si prende in considerazione la realtà, invece di sperare che il passato ritorni dopo la tempesta.

schmidt-hollandeUn’impressione resta, però. Quella conferenza stampa tra i presidenti Schmidt (Google, a sinistra nella foto) e Hollande (Francia) sembrava la conferenza stampa di due capi di stato. E questo fa simbolicamente, appunto, un po’ impressione. L’unico problema per Schmidt è che non aveva una bandierina davanti a se. Ma forse la bandiera è un po’ passée.

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  • Ho dato un’occhiata a quanto si è detto online, su Twitter nello specifico.

    Il suo articolo mi è piaciuto molto, quello di Riotta credo non centri la questione. Vedere Google e l’editoria come contrapposti credo sia un po’ ingenuo. E’ l’editoria in affanno per l’arrivo del web, che ha abituato i consumatori ad avere contenuti a bassissimo costo – anche se spesso riciclati, di pessima qualità o generati con lavoro sottopagato – e aperto la porta a competitor talvolta molto validi a livello di qualità e efficienza. Quelli più focalizzati.

    Vedere Google come il nemico è lontano dal problema della stampa. Basta aprire il bilancio di BigG e vedere da dove vengono i soldi, per 2/3 (parliamo di Google “tradizionale” non di Motorola che ora appare nel suo bilancio) vengono dagli AdWords, le scommesse che vengono fatte per apparire con il “bordo giallo” nei risultati delle search. Nel 2011 valevano 26 miliardi, quest’anno non ho ancora controllato.

    Le notizie dei giornali sono pessimo materiale per le pubblicità su Google, pagare per pubblicizzare una notizia non porterà i risultati sperati perché le keywords saranno in competizione con operatori completamente diversi e inoltre la finestra di tempo per guadagnare i lettori è breve.

    Google News è un servizio offerto per mantenere il “gancio” con l’utenza. Google guadagna dall’avere più contenuti possibili sull’open web come lei ha puntualizzato.

    Credo che l’astio della stampa verso il motore di ricerca più diffuso sia l’ultimo grido di un settore in sofferenza, travolto da una rivoluzione che non si è mai curata della loro sostenibilità e basata su modelli che facevano pagare una pubblicità non misurabile (o sarebbe meglio dire misurabile in modo discutibile) prezzi troppo alti. A questo aggiungiamo la vecchiaia di alcuni o forse molti dirigenti che non comprendono le dinamiche del web e degli operatori, il supporto da parte delle telco a fare lobby contro BigG, l’eventuale entrata in campo dei governi che per farsi belli di nazionalismo “aggrediscono” la multi-nazionale invasore del mercato e facciamo una bella frittata.

    Che poi non voglio difendere a spada tratta BigG, di questioni interessanti a livello di business, trasparenza, privacy e competizione ce ne sono. Ma “demonizzarlo” sul suo rapporto con la stampa è vedere il problema sbagliato, cercare un capro espiatorio per giustificare revenues che non arrivano più. Un mercato che ha subito una disruption che ancora nessuno ha saputo davvero sfruttare.

  • Che poi la “resa” come ha fatto intendere Riotta degli editori è stata tale perché non hanno davvero nulla nelle mani da opporre alla casa di Mountain View. Oltre al fatto che non è una vera resa, 60 milioni sono pochi per BigG ma per l’editoria rappresentano soldi interessanti, lei ha evidenziato che a Google non servono i giornali per continuare a campare. Il contrario è invece fondamentale.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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