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La pubblicità non può bastare a tutto ciò che serve al giornalismo

Il caso di Saddleworth News, un sito di informazione iperlocale che ha avuto un discreto successo di pubblico ma non è diventato un business significativo, è molto istruttivo. Il suo creatore è Richard Jones, un freelance che oggi insegna alla Leeds university. E lo ha raccontato sul Guardian.

In breve, Jones è riuscito a fare un buon lavoro di informazione in una zona poco coperta dai grandi media tradizionali, seguendo i casi più importanti del posto con attenzione e professionalità. «Si può diventare editore facilmente di questi tempi». I suoi costi erano limitati visto che faceva quasi tutto da solo. Il pubblico era arrivato a circa 20mila lettori al mese in un’area dove abitano 24mila persone. Le sue entrate erano solo pubblicitarie e non sono riuscite a superare le 150 sterline al mese: «Sono un giornalista e non sono un buon venditore».

Conclusione. Sembra facile fare l’editore. Ma non è così. Un editore è un imprenditore che combina tecnologia e autori per realizzare un modello di business, basato sul successo nei confronti del pubblico ma monetizzato in ogni modo giusto e possibile. Se il modello di business è fondamentalmente concentrato sul pubblico e se il pubblico è disposto a pagare per il servizio, se i costi sono bassi, allora forse il mestiere dell’autore può estendersi a quello dell’editore. Ma se i costi devono salire (Jones aveva bisogno di guadagnare di più di 150 sterline al mese dal suo giornale) e se si va a cercare la pubblicità, al mercato del pubblico si aggiunge il mercato degli inserzionisti, il che costituisce un cambiamento fondamentale. Un autore fedele al suo pubblico non può essere sempre e chiaramente fedele anche agli inserzionisti senza incrociare qualche volta un conflitto di interessi o anche solo un dubbio. Talvolta, per motivi legati alla sua storia personale o alla cultura dell’autore libero e indipendente, se si occupa di vendeere pubblicità finisce per avvertire un vago senso di colpa. E in ogni caso, non è detto che sia capace di scrivere e vendere: sono due mestieri diversi.

Ma il fatto è che l’informazione iperlocale serve e piace al pubblico. La soluzione è probabilmente che si deve sviluppare una competenza editoriale capace di organizzare un’informazione iperlocale con costi bassi e molti modi per finanziarla. Difficilmente la normale pubblicità basterà. Ci vorranno certamente delle persone che sanno sviluppare progetti di comunicazione sensati. Ci vorrà un link con dei sistemi di vendita che garantiscano un valore aggiunto superiore a quello della semplice pubblicità. Ci vorranno sperimentazioni tecnologiche avanzate che non limitino la pubblicazione alle forme più banali di fruizione. E ci vorranno nuovi modelli di business per i quali il pubblico sia disposto a pagare, o nella forma di un “biglietto” o nella forma di una “sottoscrizione”. Il profitto elevato in questi casi non sarà facile da ottenere. Il non profit entrerà probabilmente in gioco. Il contributo dei cittadini andrà motivato e alimentato. E il giornalista dovrà essere capace di mantenere vivo l’interesse, instillare un metodo di lavoro comune con i cittadini, garantire indipendenza e completezza. Se saprà sviluppare anche il modello di business dimostrerà di essere un vero e proprio genio. Altrimenti dovrà affidarsi a un accordo con un “editore”.

Le funzioni editoriali di certo non spariscono. Forse si redistribuiscono, però, in nuove attività imprenditoriali. Che partono dalla tecnologia, in certi casi. Oppure dalla capacità di inventare nuovi modelli di business. L’equilibrio tra il potere degli autori (scrittori, designer, programmatori) e il potere degli editori si dovrà ridefinire. Perché tutti dovranno rimettersi al servizio del pubblico.

Ma dal punto di vista macroeconomico, è probabile che la pubblicità non basterà a finanziare le necessità produttive. Troppo poco valore aggiunto e troppe funzioni della filiera da ripagare. La sperimentazione e l’implementazione di nuovi modelli di business, basati sulla partecipazione del pubblico, sono una necessità prioritaria.

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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