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Disordine (creativo) dei giornalisti

E dunque c’è stato il famoso convegno organizzato dall’Ordine dei giornalisti, sul futuro del giornalismo. Una cronaca è sul Sole. Sono stati presentati dati significativi sul comportamento e le opinioni del pubblico.

Le persone che usano internet più o meno tutti i giorni tra i 15 e i 55 sono 16 milioni in Italia. La metà delle persone di quell’età. Sono quasi tutti diplomati e laureati. Gli altri? Incrociando con il Censis, si può supporre che sono quelli che vedono solo la tv.

Quattro internettari su cinque usano la rete per le notizie. Solo uno su quattro usa i quotidiani di carta. E molti internettari dicono che da quando usano internet per le notizie usano meno i quotidiani. Tanto che Mario Calabresi dice che si dovrebbe accendere un cero per quelli che comprano il quotidiano in edicola.

Naturalmente ho citato la conversazione di ieri e un passaggio che ne è emerso. Ho cercato di dire che non siamo più nell’epoca delle previsioni ma dei fatti: sta veramente succedendo quello che si poteva immaginare già dieci anni fa. Ma è ingiusto vedere soltanto con preoccupazione una trasformazione così profonda. Che cosa c’è da difendere? Il pubblico sta dicendo che è ora di cambiare. E molti giornalisti sono d’accordo: lo si è visto proprio al convegno dell’Ordine. Chi ha paura ed è particolarmente lento a reagire è probabilmente il sistema degli editori, ma anche loro si stanno finalmente muovendo. Ho cercato di parlare del fatto che diversissimi modelli di business fioriranno, che si può scommettere su nuove forme di pagamento per il lavoro giornalistico professionale, purché si ridefinisca come ricerca (con tanto di metodo, umiltà, spirito di servizio). Il punto di partenza è l’armonizzazione del rapporto con il pubblico attivo, il passaggio dalla gerarchia alla rete, dalla linearità alla complessità. I giornalisti sono chiamati a rinnovare il loro mestiere. E lo faranno. Mentre intanto nasceranno nuovi modelli di business e i vecchi che ce la faranno si rinnoveranno. Non è tanto difficile. E’ molto probabile che succeda. E quindi è il momento di concentrarsi a migliorare il nostro lavoro. (Non ripeto quello che ho detto. Casomai, lo farò prossimamente…).

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  • …..i dati che ci fai assaggiare quando e dove sarà possibile reperirli? Preferisco leggere digerire per conto mio invece che prendere pasti pre masticati.
    Mi fai sapere qualcosa gentilmente, grazie.
    Buon lavoro.
    PLuca

  • è come per le agenzie di pubblictà tradizionali.
    i grossi colossi, gli elefanti burocratici che erano abituati ad avere capitali sproporzionati per sviluppare spot tv e filosofeggiare sulle questioni artistiche le stanno prendendo. Intanto piccole agenzie insider nascono, crescono, si inseriscono, intercettano budget e se sono brave lavorano (nonostante si sia in un mercato in crisi e fatto di conoscenze “è un amico del direttore marketing etc etc” come quello italiano).
    Stessa cosa i giornali, specie quelli abituati a adagiarsi sul brand che nonostante siano in crisi da anni hanno sempre pensato con snobismo al giornalismo da rete e ai suoi modelli (la questione della musica online avrebbe dovuto insegnare qualcosa).
    Ieri ho sentito la conferenza in streaming e mi è piaciuta molto un’affermazione (purtroppo non ricordo chi parlasse in quel momento): “Internet è un’alfabeto, un linguaggio, non un media”
    chi vuole stare in questo mondo si adatti.
    che sia la volta buona che si mandi in pensione un pò di gente (e anche un pò di vecchi pubblicitari)?

  • “…non sono convinto di questa storia. Internet non è un media. (…) Internet è un alfabeto. E’ un linguaggio. Internet è un modo radicalmente diverso di concepire il sapere, di produrlo e di distribuirlo. Non è la nuova televisione. E’ come la scrittura e i caratteri mobili…”. Michele Mezza.

  • Gli unici a non capire che è ormai tempo di cambiare sono proprio i soggetti interessati dal cambiamento. Ci ripropongono ancora lo studio che contrappone da un lato l’affidabilità della stampa e dall’altro l'”allegria” di Internet. E poi, in conclusione, un bell’elogio dell’Ordine dei giornalisti.
    Ma insomma, ci credono solo loro ormai.
    Poi, scusate, ma che è il post-giornalismo? Una cosa tipo WEB 2.0?
    http://pennedigitali.libero.it/2009/giornalismo-e-post-giornalismo/

  • Mezza è stato uno dei primi a crederci, nel 1996 con rainews 24 fu l’antesignano. Ma se gli chiedi da dove passerà il cambiamento, non credo abbia cambiato idee rispetto i device mobili.

  • Noto con piacevole sorpresa dall’intervista rilasciata da Mezza per Affari Italiani, la pipeline dell’innovazione percorribile: esser più innovativi di Google, anche se su un segmento più marginale della ricerca semantica, riprendendo un tuo intervento fatto al convegno. Qualche anno fa avevo l’impressione che nei dibattiti la voce filosofica fosse stata spodestata dagli ingegneri. Ora sono questi che dovranno tornare alle discipline del senso. Era ora.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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