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Dialogo sull’informazione senza paura

Ok. I giornali non sono l’informazione. I cittadini e il pubblico attivo possono cogliere le opportunità offerte dalla rete per partecipare all’ecosistema dell’informazione. Lo abbiamo visto. E qualcuno l’ha capito. Ma non è la fine della storia. I problemi sono vari:
1. Come si mette ordine nella complessità di informazioni che arrivano da ogni parte, con una quantità di link e di rimandi a notizie nuove, meno nuove, vere, meno vere, emozionate e razionali, ideologiche ed empiriche… ?
2. Come si possono garantire le identità di coloro che pubblicano notizie?
3. Come si accumula conoscenza sulla loro affidabilità? Come si costruisce la loro reputazione, al di là dei grandi personaggi che in qualche modo se la sono costruita?
4. Come si può progettare un sistema che faccia emergere dalla rete un’agenda condivisa?
5. Che ruolo può essere assunto dal lavoro dell’informazione professionale in questo contesto?

Insomma. Che cosa si può fare per migliorare strutturalmente il contributo del pubblico attivo all’ecosistema dell’informazione?

A questo proposito, mi pare rilevante segnalare un dialogo avviato via Facebook.

Scrive Michele Costabile (che, come scrive sul suo profilo su Facebook, è un programmatore, un docente, un technical writer,
un copy writer, un musicista. Insomma: un creativo in generale).

Ciao
Luca, io sto ragionando da un po’, come ti ho visto fare, su come
evolverà il giornalismo e mi piacerebbe scambiare le idee con te.

I TREND

Mi
sembra che la persona più sulla palla in questo momento sia Dave Winer,
per esempio il post “when sources go direct” a proposito del fatto che
la pubblicazione può prescindere dalla stampa, anzi spesso è user
generated content aziendale

http://www.scripting.com/stories/2009/05/15/sourcesGoDirect.html

Comunque
vadano le cose, la scelta editoriale è importante, così come è
importante distinguere il vero dal falso fra ciò che viene pubblicato,
e questo è il lavoro editoriale

http://friendfeed.com/clique-with-claque/c91b0bb2/josh-young-on-twitter-would-like-us-to-discuss

Anche Winer riconosce che, qualunque cosa succeda, il New York Times è un brand e una reputazione.

Parlando di reputazione, trovare le fonti originali e distinguere il grano dal loglio sarà sempre un lavoro professionale.

Un
dato importante è l’inquinamento del contenuto generato spontaneamente
dovuto alle citazioni e ri-citazioni, tweet e ritweet dello stesso
contenuto: servirebbe un filtro e servirebbe un motore di ricerca per
arrivare alle origini di una notizia, quello che tipicamente fa un
giornalista perdendoci parecchio tempo.

L’inaffidabilità del
contenuto web è un problema interessante, una soluzione potrebbe essere
un indice di affidabilità per le persone. Winer ha segnalato di recente
questo su Twitter

http://threeminds.organic.com/2009/06/docs_are_old-school_we_need_pa.html?utm_source=twitter&utm_medium=threeminds&utm_campaign=praise

In
effetti, un server di identità condiviso sarebbe utile anche per
togliere dalle grinfie dei siti di pubblicazione una cosa personale
come la lista di amici di ogni singola maschera che io decido di
indossare (al lavoro, a casa, nel mio hobby).

LE IDEE

Sarebbe
utile per chi lavora nell’informazione catalogare la lista di tutti
quelli che producono notizie in qualche modo. Pensandoci non è un
numero così elevato di persone, dato che si tratta di mettere in
relazione aziende, istituzioni e altri organismi con i canali di
informazione in cui viene veicolato del contenuto prodotto dagli utenti.

Questo
contenuto può essere catalogato per argomenti in modo da poter essere
diretto a chi desidera avere uno stream di notizie su un argomento
specifico.

L’ordine dei giornalisti potrebbe esere interessato a farsi promotore di questa aggregazione, l’Ansa dello UDC.

La
pubblicazione di articoli potrebbe essere stampigliata da un
identificatore che indica chi ha pubblicato una cosa, permettendo di
associare una reputazione al singolo articolo. Sarebbe anche
interessante poter tracciare l’albero di citazioni. L’ideale sarebbe
poter avere un motore di ricerca in grado di risalire a eventuali
originali partendo da una singola pagina, un lavoro interessante per un
prossimo Google.

Probabilmente nelle pieghe di queste tendenze
ci sono ottime possibilità di sviluppo commerciale, anche se per ora
sembra più che si possa parlare di sviluppi finanziati da associazioni
o progetti europei.

Cosa ne pensi?

16 giugno alle ore 20.58
Apprezzo
molto questo ragionamento perché parte dallo spirito Winer che è
certamente molto rete. La questione di rendere più solido il sistema
udc mi pare assolutamente importante. Una soluzione per la reputazione
di chi pubblica è una strada. Sto pensando intensamente a queste cose. Mi consenti di riprendere queste tue idee in un prossimo post sul mio
blog?
17 giugno alle ore 11.26

Certamente, naturalmente citandomi.

Io
sto ragionando su come si potrebbe fare un motore che “srotoli” la
lista di link e faccia un raffronto di parole chiave per riuscire a
capire qual è la catena di derivazioni fra le notizie e le citazioni.

Google AppEngine sembra la piattforma ideale per un’applicazione del genere.

Non
so quante volte ti è capitato di ricevere un tweet e pensare che fosse
una notizia fresca, quando invece magari era vecchia di due settimane o
quante volte vedi citato un blog che riprende la notizia invece della
fonte, che è a due o tre clic di distanza.

Quanto ai link sulla reputazione ho provato a seguire un caso interessante, quello di questa notizia: http://www.repubblica.it/2009/05/sezioni/scienze/felicita-ereditaria/felicita-ereditaria/felicita-ereditaria.html

Dopo un po’ di ricerche Google salta fuori che è legata a questo studio http://www.elsevier.com/wps/find/authored_newsitem.cws_home/companynews05_01209.
La notizia è stata ripresa su tutti i quotidiani, come puo si può vedere con questa ricerca http://www.google.com/search?q=bucay%20happiness&hl=en&tbo=1&tbs=qdr:y

In
realtà lo studio non esiste, perché non è stato pubblicato. All’epoca
in cui la notizia è stata data era noto solo un abstract dello studio,
che comunque è pubblicato a pagamento. Quando lo studio sarà
disponibile, le istituzioni che sono abbonate alle pubblicazioni
Elsevier potranno giudicarne la validità, ma la stampa ha già
archiviato il tutto.

La possibilità di associare non dico
un’identità, ma un insieme di personalità agli individui è molto
interessante non solo per la reputazione, ma anche per mettere le basi
per costruire alberi di relazioni (la lista dei miei amici) che non
siano chiusi dentro un servizio privato (per es Facebook) ma siano
ospitati su server neutrali e dati in concessione al servizio privato
da chi è proprietario dell’identità.

Come sai, non è la prima volta
che sottolineo che le applicazioni, come Facebook o Friendfeed, vanno e
vengono, mentre i servizi, come il DNS, sono immortali.

Sicuramente è importante che siano gli utenti a dire cosa vogliono, oltre a scegliere fra i servizi commerciali.

Infine,
credo che si potrebbero davvero catalogare tutte le sorgenti di
notizie, come i blog aziendali, le società di PR, le istituzioni
universitarie, gli ospedali, le segreterie politiche, le testate
giornalistiche, i canali di distribuzione video. Potrebbe essere il
feed Ansa dello UDC.

I termini dell’idea sono da tempo nell’aria ma restano difficili da sviluppare. Reinterpretando quanto suggerito da Michele alla luce di varie discussioni in materia si dovrebbe:
1. Trovare un modo per attribuire un indirizzo stabile e indipendente dalle piattaforme proprietarie ai profili di ciascuna persona od organizzazione che offre notizie e contributi all’ecosistema dell’informazione
2. Realizzare un motore capace di ricostruire la genealogia delle notizie (e forse anche delle opinioni) che si pubblicano sui blog, si segnalano sui social network, si ritwittano in giro, si dibattono su Friendfeed ecc ecc…
3. Legare ai singoli pezzi di notizia delle tag adatte alla valutazione della loro qualità, tali da aiutare la costruzione di un sistema di reputazione facile da usare.

Il tutto senza nulla imporre a nessuno, ma aprendo sostanzialmente tutte le piattaforme per i contributi del pubblico attivo all’interoperabilità che ha reso grande e bella la rete.

E’ chiaro che qualcosa di più facile da usare implica anche delle semplificazioni. Ed è chiaro che non ci sarà un solo sistema ma molti. Le due questioni sono potenzialmente contraddittorie. Il che oltre che inevitabile è anche divertente e creativo. E forse in questo lavoro, il contributo professionale all’informazione potrà trovare uno dei suoi ruoli del futuro. Se smetterà di farsi paralizzare dalla paura del nuovo e si metterà sul serio al servizio della rete.

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  • Io e altri, tra cui tuoi colleghi giornalisti, stiamo progettando (tramando…) qualcosa che, in qualche modo, riprende diverse idee scaturite da questo scambio epistolare.
    Per ora non posso che lasciarti un link a un tumblr: è poco, lo so, ma speriamo a breve di poter aggiungere qualche tassello informativo in più.

  • Vedo che hai parlato di informazione senza paura. Corretto. Meglio non parlare di informatori senza paura.

  • beh ci sono gli informatori da paura, ci sono gli informatori che fanno paura, ci sono gli informatori senza paura e quelli dei quali abbiamo parlato su nòva nella pagina dedicata all’autocensura…

  • Secondo uno dei grandi vecchi del giornalismo italiano, il problema degli informatori under-35 è che sono mossi più che dalla paura dal rifiuto del conflitto, foss’anche quello derivante dal fare una domanda in conferenza stampa a uno che non ha detto una cosa che ti servirebbe per scrivere. Faccio un esempio: cosa ci voleva a chiedere alla Marcegaglia quali sono le “riforme” di cui pensa ci sia assoluta necessità. Mi sembra una domanda naturale, e invece un cane che lo avesse scritto. Solo la slta sbobba, che non vuol dire nulla, e non sono riforme: «sburocratizzazione, istruzione, infrastrutture, legalità, in particolare al Sud, e liberalizzazioni». Ok, liberalizzazioni: quali ? Ci voleva tanto ?

  • Hai messo il dito nella piaga Marco. Le nuove leve sono deferenti, troppo, si comportano con quello zelo come fossero invitati ad una festa. Però la riverenza è un sentimento che viene da lontano, qualcuno li chiamava cani da riporto. La paura influisce, anche se in certi casi credo siano scelte deliberate, il voglio esserci pagano. Decidere di avventuarsi in un lavoro del genere e non sapere affrontare la paura è un forte limite. Ne discussi poche settimane fa con una mia amica giornalista, anche se non in questi termini. Le dicevo come mai negli anni di professione non avesse mai fatto una inchiesta scomoda. Ovviamente lei sosteneva che non era il suo genere e io insistevo che il genere non poteva esser una scappatoia. Se in tanti anni non aveva scocciato nessuno era perché (mia tesi) aveva fatto pubblcità non pagata. Il famoso indice del peccato originale EVA, equivalent value advertising. Ora scrivendo no mi viene in mente una cosa sotto gli occhi di tutti, quanta attività di publicity è cresciuta a discapito di quella classica negli ultimi 10 anni. Poi è vero che il mercato della classica scende di anno in anno, ma molta è confluita lì eh. Pensiero emergente: se i giornalisti facessero i cani da guardia, una parte del comparto pubblicitario emergerebbe dal sommerso e gli editori magari avevano più entrate per pagarli. Secondo la maggior parte dei rapporti, sempre più aziende aumentano il budget in marketing, ma le spese finali nei mezzi non corrispondono proporzionalmente a tale allargamento in numero e valore.

  • D’accordo, naturalmente, ma sai che mi basterebbe veramente che uno chiedesse senza dietrologie, e senza abbaiare per far la guardia a chissacchè: “Scusi, mi consenta, può spiegare cosa intende con “riforme” ?”. Ma neanche per criticarle o che so io, solo per SAPERE. Se l’informazione non ti fa SAPERE di più, cosa cavolo serve ? A emozionare ? A convincere ? A cosa ? Oppure, ho ragione in quello che scrivo da migliaia di secoli, solo per ottenere ciglia aggrottate: E’ COMUNICAZIONE, e facciamola finita con le pippe. Ditelo a Johnny.

  • Sarebbe già molto ammettere quanta comunicazione c’è nel voler informare. Non credo come molti hanno fatto, che sia impossibile distinguerle, solo per coprirsi dietro una foglia di fico di pensiero debole. Ma quello che sostieni Marco è un’altra storia. Giusto per compredere la faccienda, per te è un problema di deontologia personale assopita? Ci sono persone che in buona fede non sanno di fare comunicazione, di questo ne sono convinto. Perchè un conto che non ce se ne renda conto, un’altro è aspirare un ideale impossbile (quello dell’informazione pura) e altro ancora la paura o il tornaconto che lascia viatici di quieto vivere. Per generalizzare, vedo molta più leggerezza e conformismo come aspetti problematici. La prima è una quasi colpa perché solo in parte consapevole che per funzione pubblica di informare bisognerebbe distinguere tra sapere e credere come per informare piuttosto che comunicare, la seconda è un brutto vizio dato che sa ma finge di non saperlo.

  • Sai, io penso che il segno che una cosa uno non la fa apposta è che ogni tanto si fa male facendola. Non vedo informacomunicatori che si siano mai fatti il minimo graffio… Quanto a quelli che comunicano senza accorgersene, succede nelle migliori famiglie …

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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