Jason Lee Miller segnala un’epidemia di blogger che abbandonano. E il New York Times pubblica un resoconto sui giornali che chiudono. Entrambi rispondono con qualche idea per comprendere che cosa emergerà da questa crisi della produzione di notizie, dalle iniziative editoriali al pubblico attivo.
Sta di fatto che il bisogno di informazione continua a esistere. Una soluzione è necessaria. E si trova nella costruzione di un ecosistema della conoscenza sostenibile. Nel quale ci sia infodiversità ed equilibrio simbiotico tra lavoro professionale e attività delle persone che vogliono partecipare. E c’è bisogno di aiutare l’emersione di forme di auto-organizzazione più solide.
Facebook ha avuto enormi conseguenze sul tempo passato online dalle persone, assorbendo una quota del traffico dei blog (come ha assorbito una quota del tempo dedicato a Msn). Ma anche Facebook deve essere ricollocata nell’ecosistema. Le forme dell’auto-organizzazione sono inevitabilmente spontanee, ma richiedono anche una riflessione: come valorizzare il potenziale informativo di tutta la gente che agisce online? come incentivare la solidarietà nella ricerca e nello scambio di informazioni? come creare veri e sinceri luoghi di aggregazione per l’informazione del nuovo ecosistema? come indurre i professionisti a mettersi davvero al servizio dell’ecosistema? ci sono regole esplicite che le persone possono autonomamente scegliere di darsi per favorire una collaborazione vera (una sorta di nuova e più consapevole netiquette?). Queste sono le domande che – sebbene spesso ripetute – restano in parte inevase. Occorre una riflessione.
Ho il sospetto che Facebook sia su un altro pianeta rispetto ai blog, e che i blog venivano utilizzati per socializzare e quindi sono in ritirata di fronte a uno strumento FATTO per socializzare. E’ una cosa diversa dall’informazione. Quello che sta succedendo, forse, è che ora si vede chiaramente che la maggior parte degli utenti vuole socializzare (rimorchiare, fare gruppo, essere rafforzati nel proprio modo di essere e pensare ?), chiarezza che prima non c’era perchè si usavano per fare queste cose degli strumenti visti come informativi. Ma era solo un’illusione ottica.
Credo che la differenza la faccia lo scopo.
Voglia di esprimersi, di scherzare, di prendere per il culo chi legge e venirne ripagati, nueroni conrto neuroni, antagonista il modello di business.
Il primo ha successo, magari modesto. Il secondo dopo un tempo-bite (2/3 mesi va rinnovato secondo un diverso modello vincente).
Le emozioni che si provano leggendo una cazzata rendo poco, ma sono più intense di una schermata FB.
Nnon affannatevi su FB, ha la stesa aspettativa del Dodo:
http://it.wikipedia.org/wiki/Raphus_cucullatus
Forse l’epidemia di blogger che abbandonano è semplicemente il segnale di una crisi economica che costringe a fare i conti. A parte limitati casi di integrazione con una professione (giornalistica nel tuo caso) o con la vendita di prodotti, essere blogger è un lusso. Richiede una marea di tempo e spesso anche soldi (server, libri, attrezzature fisse e in mobilità, software, per uno dei miei blog pago anche traduzioni e diritti). Comunque, forse non abbiamo bisogno di più informazioni in questa fase storica, probabilmente siamo arrivati ad un picco anche nella mole di informazioni in circolazione. L’evoluzione può procedere altrove.