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Coronavirus. Sta per arrivare un fiume di denaro pubblico? Chi lo gestirà? E con quale visione?

Questo post è scritto con la massima umiltà, ma i problemi che stiamo vivendo sono così grandi che può apparire esagerato. In realtà, ogni scelta di oggi, in un contesto caratterizzato da instabilità così gigantesca, avrà conseguenze enormi. Questo post è soltanto un atto di ricerca.

Che cosa sappiamo già. La cura all’epidemia di Covid-19 che i sistemi sanitari di mezzo mondo hanno deciso di imporre ai governi dei loro paesi ha come effetto collaterale una profonda recessione economica. In mancanza di meglio, infatti, la cura si limita al rallentamento della velocità del contagio in modo che il numero di persone che hanno bisogno di cure ospedaliere in un dato periodo di tempo non superi i limiti della disponibilità di posti letto e macchinari. Ma per ottenere questo risultato, quasi ovunque, si è pensato solo a chiudere la gente a casa. Chiudendo anche l’economia. La profondità della recessione dipende dalla lunghezza della chiusura. Per Goldman Sachs i Pil degli Stati Uniti diminuirà del 24% nel prossimo trimestre. Per curare l’effetto economico della cura, gli Stati Uniti hanno messo in campo un ammontare di spesa pubblica paragonabile alla quella perdita di Pil: 2 mila miliardi. In Europa la questione non è molto diversa: la recessione e la spesa pubblica avranno proporzioni simili, molto probabilmente. Si tratta di scenari dotati di forti probabilità. (Vedi post di ieri e precedenti: Coronavirus. Crisi economica: il privato è politico)

Che cosa non sappiamo. Se nei prossimi tempi l’Europa metterà in campo una montagna di denaro per riparare al danno fatto dalla cura contro l’epidemia di coronavirus, come spenderà quei soldi? A chi andranno? Per quale scopo esattamente? Con quali sistemi di controllo? Sulla base di quali informazioni?

Risposta visionaria. Oltre a spendere per sostenere i consumi essenziali, si potrà investire per innovare i sistemi produttivi, la distribuzione e i servizi allo scopo di ripulire l’ambiente, rigenerare la qualità delle relazioni sociali, ravvivare profondamente la cultura anche con un nuovo sistema di insegnamento pubblico per tutti di grande valore per l’economia della coscenza. Per ottenere questo saranno necessari investimenti in innovazione tecnologica, ricerca, design. La sostenibilità di questi investimenti dovrà essere garantita dall’introduzione di meccanismi di mercato innovativi (del tipo di quelli suggeriti dal Mariana Mazzucato, per esempio: The Covid-19 crisis is a chance to do capitalism differently). E si potrà fare di più anche per finanziare i commons della conoscenza e della ricerca di fondo. Tutto questo avrebbe la possibilità di contenere il cambiamento climatico e correggerne le conseguenze, ridurre la polarizzazione sociale e la povertà, rilanciare l’educazione e la cultura, la creatività e il valore delle relazioni umane. Affrontando problemi di fondo che finora sono stati messi sotto il tappeto.

Alternativa diabolica. Il sistema di potere che ha portato alla situazione attuale, costruito sull’alleanza dei ceti politici dominanti con il ceto capitalistico che si è sviluppato negli ultimi quarant’anni di neoliberismo, non intende certo cedere il potere. Negli ultimi tempi, di fronte alla crescita dei fenomeni sociali che mettevano in discussione quel sistema di potere a fronte dei suoi palesi fallimenti (come la crisi del 2008 dalla quale molti paesi non sono ancora usciti) alcuni ceti capitalistici hanno pensato bene di appoggiare alternative politiche più estreme, autocratiche, xenofobe, autoritarie, violente. La chiusura dei mercati poteva essere una perdita accettabile pur di mantenere il potere. Naturalmente non tutto il capitalismo è di questo tipo. Ma capitalismo di questo tipo esiste. E appoggia i partiti estremisti, violenti, fondati su ideologie contrarie alla scienza e all’innovazione, all’apertura globale e alla correzione delle disparità sociali. In questo contesto, gli stati puntano ad accontentare i loro elettori e non costruiscono alcuna solidarietà internazionale, mentre all’interno degli stati le regioni non si aiutano, le città non si mettono insieme, i cittadini si guardano in cagnesco, la società si frammenta, le piattaforme si rafforzano e governano senza avversari (Vedi FT: Nationalism is a side effect of coronavirus)

Risposta parziale fino a oggi. Il dibattito a Bruxelles, secondo il Financial Times, si concentra su tre ipotesi sulle modalità di intervento (ne parla anche il commissario Paolo Gentiloni e riporta il FT: What’s next for the eurozone?)
a. Lo European Stability Mechanism offre linee di credito senza limiti a stati che accettino le condizioni stabilite dal meccanismo stesso pagate dalla Bce, usanto uno strumento già esistente. Le condizioni per queste linee di credito non sono ben chiare.
b. Lo European Stability preparerebbe un nuovo strumento per dare linee di credito generalizzate a tutti gli stati che ne facciano richiesta. Meno condizionato ma meno chiaro come meccanismo
c. Si creano dei “coronabond” delle obbligazioni europee per il finanziamento della risposta alla crisi generata dal coronavirus. Assomigliano agli eurobond che i tedeschi hanno sempre rigettato. Ma questa volta anche i tedeschi avranno bisogno di soldi.

Possibilità per l’Europa. Se i soldi saranno affidati alla Commissione e se la Commissione conferma la policy che ha annunciato all’inizio del suo mandato può essere che si apra un nuovo ciclo storico. Il rischio è che il sistema di potere di Bruxelles non sia aperto alle esigenze diverse delle varie zone d’Europa: Nord, Sud, Est, Centro, ma si appiattisca sul Centro. Se i soldi saranno semplicemente dati agli stati, in un modo o nell’altro, i rischi saranno ancora più grandi: nazionalismo, corruzione, scarsa lungimiranza e grande polarizzazione tra stati ben gestiti e stati mal gestiti potranno emergere e spazzare via quel che resta della solidarietà europea. Update: nove paesi – comprese Italia, Francia, Spagna) hanno proposto un nuovo strumento per creare un debito europeo (FT, Nine eurozone countries issue call for ‘coronabonds).

Problema italiano. È evidente che l’Italia non se la caverà da sola a meno di non dichiarare default del debito e ripartire da zero. La recessione italiana rischia di essere dura. E di colpire le attività più sane del paese, turismo ed esportazioni. Un crollo del Pil farà balzare in alto il rapporto debito/Pil ovviamente. La sostenibilità del debito si baserà sulla velocità della ripresa del Pil dunque sulla qualità e quantità della spesa pubblica che verrà messa in campo. Se la decisione su come spendere i soldi sarà affidata al governo italiano i rischi saranno relativi alle possibili inefficienze e incertezze strategiche che potrebbero emergere. Senza parlare di peggio. Forse sarebbe meglio che la Commissione avesse il compito di attribuire il denaro in base alla qualità dei progetti. (Forse anche per superare lo scetticismo di certi stati di cui parla Politico: EU finance ministers deadlock on coronavirus economic strategy)

Come siamo arrivati fin qui. E dove andiamo adesso. Ma il problema non è solo italiano. Il grande equivoco degli ultimi tempi, quello che ha confuso ili capitalismo con il mercato, è ormai arrivato al capolinea. Non si fa più finta che il mercato funzioni e che il potere dei capitalisti sia la “giusta” conseguenza che premia i più bravi. Il capitalismo è tutto salvo che amico del mercato: il mercato è difeso dallo stato e dall’antitrust contro i monopoli privati che costruiscono il grande potere dei capitalisti. Ma il capitalismo è riuscito a far credere che la sua ideologia di riferimento, il neoliberismo, fosse favorevole al mercato. In realtà era favorevole all’accumulazione infinita di ricchezza in mano a un numero sempre più ridotto di centrali di potere. Dopo quarant’anni di politiche neoliberiste, lo stato è stato ridotto al lumicino, i politici sono stati asserviti al potere del capitalismo con conseguenze anche impreviste. Per esempio, tra l’altro, i sistemi sanitari sono ridotti all’osso e non hanno la resilienza e la ridondanza necessarie a resistere a una crisi come il coronavirus. Questo si è rivelato un problema anche per il capitalismo che non ha saputo restituire difese alla società che aveva impoverito del suo spazio pubblico. Ora il disastro è fatto. Di fronte all’emergenza gli stati hanno chiuso l’economia. E per riaprirla dovranno immettere denaro. Avranno la libertà di scegliere come darlo e a chi, con quali scopi. Se lo daranno ai vecchi padroni tutto tornerà peggio di prima. Se creeranno nuovi meccanismi, faranno nascere nuovi mercati, crederanno nell’innovazione e nella ricerca, nell’educazione e nella democrazia potrà essere diverso.

In questa serie:
Coronavirus. Crisi economica: il privato è politico
Sembra un film di scarsa qualità
Dopo la crisi: resilienza
Studi sul futuro e resilienza
Il destino comune della rete umana
Solo la generosità ci salverà
Coronavirus. Come ne esce l’economia

Altre letture:
Lessons from the Italian Media’s Coverage of the Coronavirus
Europe Is Unprepared for the COVID-19 Recession
Olivier Blanchard. Italian debt is sustainable

Da non perdere:
Yuval Noah Harari: the world after coronavirus | Free to read
Branko Milanovic: Four types of labor and the epidemic
MIT: We’re not going back to normal
Politico: Coronavirus Will Change the World Permanently. Here’s How

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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