Un articolo di Chris Schonberger e Justin Bolois parla dei food media. Ma vale per tutti i sistemi di informazione, in un modo o in un altro, che abbiano nella pubblicità e nelle relazioni con le pubbliche relazioni un punto di forza strategico (FirstWeFeast). Una lettura che vale la pena, senza aspettarsi troppo: solo per un riassunto delle perplessità che genera un sistema di informazione nel quale la complicità tra i media e le fonti è più importante della complicità dei media con il loro pubblico.
Non è questione di costi, anche se quelli c’entrano: se non puoi spendere per fare ricerca sei meno indipendente. Non è neppure questione di brama individuale di privilegi: nessuno è esente dalla tentazione di accettare vantaggi e gratificazioni a qualunque livello di reddito si trovi. Non è forse neppure questione di ricatti da parte delle fonti: quasi dovunque ormai le aziende e le istituzioni tendono a rispettare poco l’informazione indipendente e a lodare, adulare, coccolare e persino temere proprio chi fa informazione in modo amichevole e complice ma è capace di costruirsi un grande seguito.
In realtà, se i sistemi incentivanti sono tutti basati sull’ammiccamento con le fonti, la ricerca di storie che fanno traffico, la targettizzazione della pubblicità, non se ne esce.
E’ un labirinto. Solo dimostrando la superiorità di un’informazione che basi la sua qualità sulla qualità del metodo con il quale è sviluppata si può rompere il circolo vizioso. Occorre investire sulla capacità del pubblico di riconoscere il valore l’informazione generata con un metodo basato sui principi dell’accuratezza, dell’indipendenza, della completezza, della legalità. E osservare che in assenza di questo investimento si va avanti nell’equivoco e si erode la credibilità di qualunque sistema di informazione.
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