L’attenzione è considerata la moneta fondamentale per valutare il successo editoriale. Ma potrebbe essere una moneta sopravvalutata. Anche perché non è banale da quantificare. Ma è facile da manipolare.
In realtà, molte misure dell’attenzione la scambiano per il tempo. Lo share di tempo mediatico che si dedica a un mezzo di comunicazione o a un servizio editorie non è attenzione ma una sua proxy basata sull’ipotesi che l’attenzione sia costante per il tempo di collegamento. Il che ovviamente non è. Piuttosto è molto variabile. Cambia con le tecniche di stimolo delle funzionalità istintive del cervello: ripetizione, novità, ritmo di modifica delle inquadrature, facilità, segnale d’allarme, coinvolgimento affettivo e così via. Cambia con la rilevanza riconosciuta nei messaggi o nei messaggeri: autorevolezza, prossimità, importanza, e così via. Inoltre cambia in funzione delle alternative immediate e di lungo termine, oltre che delle altre forme di accesso mediatico in qualche modo compatibili con una fruizione (pseudo) contemporanea. Sicchè l’attenzione è una sorta di aspirazione più che di moneta.
Ci sono molti modi con i quali si cercano modi per valutare tutto questo. Un modo piuttosto banale in pieno stile finanziario è quello proposto da David Pakman in un pezzo comunque da leggere. Un il modo molteplice oltre che plurale è proposto dall’utilissimo prezzo di Laura Bertocci.
Anche in questi contributi l’attenzione non è valutata in modo standard, ma resta nel mondo delle ipotesi. L’avvicinamento a un modo più umano e meno massificante di valutazione è avviato da temp.
Commenta