Tony Abbott, primo ministro dell’Australia, dice che i limiti alle emissioni di CO2 che ha deciso sono nella media delle economie indistrializzate. E spiega che non li ha voluti più ambiziosi per non andare contro gli interessi dell’industria australiana (9news). Ma l’Australia resta e dunque resterà uno dei posti con le peggiori emissioni procapite del pianeta. Non aiuta di certo il percorso per la riduzione delle emissioni globale (Economist).
I limiti che l’Australia si è data sono in linea con Corea e Cina ma peggio di Canada, Usa ed Europa. A Parigi, alla conferenza sul clima, l’Australia non sarà un paese leader. E invece su questa questione occorrerebbe qualcuno che racconti la crisi climatica come una catastrofe vera e incombente più importante della crisi finanziara anche se più lenta. Qualcuno che dica che l’equilibrio climatico del pianeta va salvaguardato e che prenda le decisioni coraggiose che servono: “whatever it takes”.
Il senso del rispetto dell’ambiente non è il punto forte dell’Australia. Lo si vede in modo struggente lungo le strade a lunga percorrenza, intorno alle quali giacciono per tanto tempo le carcasse dei canguri che le automobili distrattamente uccidono dopo il tramonto. Sono centinaia. Questa disattenzione si comprende conoscendo quanto sia ancora indomita e pericolosa la natura australiana, così vasta e in larga parte intonsa. Comprendere è d’obbligo per gli europei, maestri di inquinamento e di rimorso per la distruzione ambientale che per primi hanno perpetrato.
Ma l’argomento da discutere non è tanto specifico dell’Australia, anche se il primo ministro di questo paese lo ha sostenuto con tanta ingenua sicurezza. La questione è che non ha più senso contrapporre la salvaguardia dell’ambiente e l’efficienza economica di un paese. Le due vanno insieme o non vanno da nessuna parte. Chi non si lascia intrappolare in una visione di breve termine lo sa. Imho.
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