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Chiose alla frontiera dell’istruzione informale

Un precedente post dedicato alla progettazione dell’istruzione informale è stato commentato in modo profondamente istruttivo: grazie a Marco, Maurizio, Piero, Annamaria, Paolo, Alessandro. Ci torniamo e rilanciamo, a partire da questo vecchio ma interessante dato di fatto (via Leonardo Tosi di Indire):

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In pratica, impariamo la maggior parte di ciò che sappiamo in modo informale, anche se spendiamo la maggior parte di quello che ci costa l’educazione in attività di istruzione formale. Ci sono delle differenze da tener presente nelle diverse dimensioni dell’apprendimento: addestramento, istruzione, educazione.

Alcune tendenze favoriscono un’ulteriore accelerazione di questo fenomeno nell’addestramento. Basta pensare al fatto che gli strumenti più complessi che usiamo più spesso – come il cellulare – sono progettati in modo da non obbligare agli utenti a leggere un manuale. L’interfaccia è organizzata in modo da guidare l’utente. Quello che non capiamo direttamente lo chiediamo agli amici. Alcuni strumenti complessi quindi concentrano il contenuto educativo nella progettazione e ne liberano la fruizione.

Questo può accelerare l’adozione dell’utilizzo e contemporaneamente aumentare l’analfabetismo tecnico generando una genia di utenti troppo guidati dallo strumento e da chi lo progetta. La capacità di valutazione e confronto dei diversi strumenti viene meno se si sanno usare solo gli strumenti che hanno un’interfaccia facilitante. L’istruzione alla partecipazione attiva sui linguaggi che generano gli strumenti è fondamentale per coltivare una visione critica e favorire il confronto tra le soluzioni diverse: d’altra parte l’istruzione non si limita alla lettura ma insegna anche alla scrittura.

L’educazione è a sua volta un motore della dinamica culturale che non può più essere concepita se non in relazione all’innovazione.

Si arriva a comprendere che la progettazione di soluzioni per guidare e rigenerare l’educazione informale equivale alla progettazione di:
1. metodi per l’espressione dei contenuti educativi formali allo scopo di aggiungere la trasmissione informale di passione e interesse per le materie
2. piattaforme per lo scambio di conoscenze tra pari che garantiscano la gradevolezza dell’esperienza e l’efficacia informativa delle attività
3. percorsi per l’accesso a esperienze necessarie all’apprendimento di materie non codificabili in modo formale

L’educazione informale non si fa col manuale, per definizione. Ma si fa pensando alle strutture nelle quali si fanno esperienze di valore culturale. Ogni passaggio della vita ha un valore educativo informale, in fondo. E c’è una responsabilità educativa nei progettisti. Ma, senza andare tanto per le generali, queste considerazioni possono condurre ad architettare nuove strutture dell’istruzione che valorizzino lo scambio informale di conoscenze per cambiare i connotati della tabella mostrata in alto.

Vedi anche:
Modesto contributo per una visione di lungo termine nel sistema “scuola, università, ricerca”

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  • In pratica il sottotesto del post è che i soldi investiti nella Scuola sono buttati dalla finestra.
    Ecco, in un paese in cui c’è “un 71 per cento della popolazione italiana che si trova al di sotto del livello minimo di comprensione nella lettura di un testo di media difficoltà” (fonte: De Mauro – http://www.corriere.it/cultura/11_novembre_28/di-stefano-italiani-non-capiscono-la-lingua_103bb0fa-19a8-11e1-8452-a4403a89a63b.shtml) è quello che ci vuole !
    Comunque, a proposito dei “metodi per la trasmissione informale di passione e interesse per le materie”, ti consiglierei di rivalutare le tue affermazioni dopo aver visto o rivisto il film “L’attimo fuggente”

  • Io sono sempre un bastian contrario, ma un modello 80-20 continua a farmi pensare diversamente: spendiamo molto di più sull’istruzione formale perché le cose che dobbiamo imparare formalmente sono molto più complicate di quelle per cui possiamo permetterci il lusso di imparare informalmente.
    Possiamo insomma riuscire a spostare qualcosa dall’istruzione formale a quella informale, ma non possiamo sperare di rovesciare la situazione.

    • ma certo .mau! il punto non è ovviamente quello di spostare risorse a scapito dell’educazione formale; il punto è osservare l’efficienza dell’informale per abbattere le barriere attuali alla piena alfabetizzazione funzionale e andare oltre.. e qualcosa si può progettare, penso..

  • Ma se il rischio è che “l’addestramento informale” all’utilizzo in qualche modo passivo delle tecnologie e dei media che queste supportano soppianti lo sforzo di analisi che il sistema di apprendimento formale potrebbe sostenere, che fare? Ci provo, come genitore, a spiegare ai figli che cosa c’è oltre allo schermo del tablet, ma i nativi digitali di oggi sono come gli italiani dell’era televisiva. Se l’ha detto la TV è vero. se lo ha detto il social network è vero. Insegnare a vedere cosa c’è dietro però non è solo un problema di risorse, ma di atteggiamento. Credo.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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