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Sovranità, debito e ristrutturazione culturale. I prossimi vent’anni per la ricostruzione del senso

Comunque vada la vicenda dell’euro, gli italiani hanno di fronte un lungo periodo di cambiamento profondo. Gli scenari sono diversi e sono compresi tra due principali prospettive: vent’anni di ricostruzione orientata a riguadagnare un minimo di senso delle proporzioni e delle priorità, cinque anni di disordine con peggioramento continuo delle condizioni materiali e sociali seguiti da un avvitamento democratico e culturale sempre più pericoloso. L’unico scenario che ha probabilità nulle o quasi di verificarsi è che si torni come prima della crisi.

[hang1column]Sovranità e debito in una prospettiva sensata[/hang1column]

La politica non ha molti margini di manovra. Il debito pubblico è di per sé una cessione di sovranità. Ma in un contesto internazionale nel quale gli stati sono sempre più integrati, per via della globalizzazione ancor prima che per via della cresita delle istituzioni sovranazionali, trasforma quella cessione “teorica” di sovranità in una limitazione “pratica” delle opzioni disponibili per le scelte locali.

Nello scenario virtuoso, la politica italiana sceglie autonomamente di rimettere in sesto i propri conti e le proprie pratiche di governo viaggiando sui binari precisati dal contesto europeo. In uno scenario simile ma un po’ meno virtuoso, la stessa cosa viene imposta alla politica italiana dall’intervento d’autorità delle istituzioni europee. La differenza non è tanto nelle scelte operate quanto nella velocità ed efficacia con la quale ottengono risultati. Perché la politica può aiutare a leggere la prospettiva che si è creata oppure negarla per un po’ fino all’arrivo della prossima crisi. Nel corso del 2011 abbiamo assistito a questo secondo modo di agire, nel 2012 abbiamo visto il primo.

Il bello di questa condizione è che il quadro politico diventa un po’ più sicuro. E questa è una condizione essenziale per convincere gli imprenditori locali e internazionali a credere di poter investire in Italia con la sicurezza che il successo dipenda soltanto dalle loro capacità competitive.

Sappiamo che cosa succede quando manca questo quadro ordinato. In mancanza di questa relativa sicurezza, gli imprenditori che possono vanno altrove, altri tentano di stabilire forme di connivenza con la politica che si comporta in modo discrezionale, generando un sistema corrotto e inefficiente.

Nello scenario virtuoso, la politica in questo contesto non ha poteri discrezionali significativi e si astiene dall’intervenire sui contenuti dell’azione economica, che viene lasciata alla capacità degli imprenditori e della società di interpretare la contemporaneità per cogliere le opportunità che offre. Ed è chiaro che le opportunità oggi sono nell’innovazione, nella creazione di nuove imprese orientate al mercato internazionale, nell’inclusione delle forze produttive giovanili, nella capacità di ricostruire un sistema di aspettative sensato.

Si dice che abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità. Ma non è esatto, visto che tecnicamente in quel modo abbiamo potuto vivere. Abbiamo vissuto in base ad aspettative e con comportamenti insostenibili nel tempo. L’indebitamento è una mentalità orientata al breve termine, che ricaccia nel futuro i problemi invece di risolverli. E anzi per sostenere quel modo di vivere ci siamo convinti che la soluzione fosse quella di indebitarci sempre di più. Trattando il tema della sostenibilità, dell’equilibrio, della compatibilità di bilancio, come se fossero argomenti troppo noiosi per poter trovare spazio nel dibattito televisivo. La bolla che è scoppiata è la bolla delle aspettative, indotte dalla finanza, dal consumismo, dalla mentalità chiusa nel breve termine.

In uno scenario virtuoso, si ricostruisce una prospettiva di crescita ristrutturando la cultura delle aspettative e delle priorità, dando importanza alle cose importanti. Anche se non sono adatte a garantire picchi di audience.

Vent’anni di ricostruzione culturale possono essere necessari per abbandonare la mentalità dello spreco, per risparmiare energia, per smettere di comprare cose che poi non si usano, per riorganizzare il settore pubblico, per rilanciare la centralità della formazione, per investire nell’innovazione, per cercare non più la soddisfazione di breve termine ma la felicità di lungo termine: la qualità dell’ambiente, delle relazioni, della consapevolezza culturale. L’inefficienza non è stata solo del settore pubblico, ma anche di quello privato. Lo spreco è stato generalizzato. Pagarlo è necessario. Viverlo con il senso di progettare una bonifica mentale e ricostruire una società più decente è una scelta: ma vale la pena di compierla.

[hang1column]Altrimenti la finzione seguita da un bagno di realtà[/hang1column]

Altrimenti, la politica può continuare a far credere di avere il potere discrezionale di scegliere anche le opzioni più populiste. Può continuare a dibattersi nei dettagli che fanno audience. Può continuare a fingere di vivere nella finzione. Ma la realtà non ci metterà molto a farsi vedere. E allora sarà una delle due: da un lato una cessione definitiva della sovranità, dall’altro l’avvio di una fase di perturbazioni economiche e sociali come non ne ricordano coloro che non hanno vissuto la guerra.

Se n’è scritto anche in questo blog. Il dramma dell’uscita dall’euro sarebbe l’avvio di una lunga fase di instabilità, di svalutazione, di inflazione. Solo i forti e i furbi ne trarrebbero qualche vantaggio. Ma la maggior parte della popolazione subirebbe le conseguenze della povertà, della violenza, dell’illegalità. Dell’ingiustizia.

Vedi anche:
Sovranità e governo, Corriere, 5 agosto
L’irresponsabilità di chi vuole uscire dall’euro, 23 luglio
Lo scenario dell’uscita dall’euro, 30 luglio

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  • “Il dramma dell’uscita dall’euro sarebbe l’avvio di una lunga fase di instabilità, di svalutazione, di inflazione”
    L’instabilità, politica economica e sociale, c’è già e non da oggi.
    La svalutazione idem, basta guardare gli indici di borsa (con aziende la cui capitalizzazione ha perso anche l’80% del proprio valore) e il costo della vita che aumenta progressivamente e mette un numero crescente di persone in condizione di non sapere come sbarcare il lunario.
    L’inflazione è nei fatti e, lungi dall’esserne una conseguenza, è all’origine di tutto questo.
    E’ infatti il differenziale di inflazione all’interno della zona euro, insieme alle differenze nel mercato del lavoro e a qualche altro parametro, che ha portato i paesi della periferia europea (i famigerati PIIGS) ad un eccesso di debito estero (prevalentemente privato!); la conseguente pretesa di salvataggio delle banche ha poi spostato la crisi dal debito privato a quello pubblico.
    La “crisi del debito pubblico” è una conseguenza: questo dicono i dati a chi li vuole guardare.
    E la cessione di sovranità in questo contesto è stata l’adozione dell’euro. Poi siamo andati molto oltre fino ad avere un governo imposto dall’estero, ma questa è, in parte, un’altra storia.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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