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Richard Gingras. Il compito culturale di Google e l’informazione

In pieno flusso di informazioni, la tendenza del momento, parziale e importante, è chiara. Mentre i vecchi giornali si stanno aggiustando lentamente alla nuova condizione digitale, proprio quando avevano colto una possibilità nello sviluppo di traffico sui loro siti, il terreno sta velocemente cambiando sotto i loro piedi. Perché il caposaldo concettuale e pratico che avevano tenuto presente fin dall’inizio del loro lavoro sul web sta andando in crisi: la homepage dei giornali online non è più centrale nel comportamento dei lettori.

I dati sono fortissimi. Fino al 2009, almeno la metà del traffico che raggiungeva i giornali sul web andava alla loro home page e poi proseguiva verso gli articoli interni. Una quarto del totale arrivava direttamente dai sistemi di ricerca e Google News. Oggi la home vale il 25% del traffico. Il cambiamento è generato dai social network, Facebook in particolare, ma anche Twitter, che hanno conquistato una quota di tempo eccezionale degli utenti e che stanno diventando anche una sorta di home page di smistamento delle notizie. Sono gli amici o le persone che seguiamo a fare da home page, sempre meno le testate.

Le proteste che un tempo gli editori qualche volta lanciavano contro Google News, sempre attenuate dal fatto che quel servizio generava per loro molto traffico, ora si trovano superate da un fenomeno ancora poco osservato e commentato. E molto più grosso.

Può essere che l’evoluzione della competizione tra Facebook e Google porti quest’ultima a diventare più attenta alle esigenze degli editori?

Richard Gingras è il capo dei prodotti che si occupano di news a Google. È stato qualche giorno fa al center for Civic media del MediaLab. Ha parlato a lungo di come è cambiato l’ecosistema dell’informazione negli ultimi tempi. E di quello che si può fare ora. Il resoconto va letto.

Per Gingras la dinamica tecnologica ha cambiato in modo fondamentale lo scenario. Non si torna indietro. Ma gli editori possono imparare a convivere con questa dinamica. Purché comprendano che non è un passaggio da una condizione stabile all’altra. Ma da una condizione stabile a una condizione di cambiamento continuo. Chi innova continuamente può farcela, chi si ferma no.

Dà consigli di buon senso, Gingras. Non farsi determinare nelle scelte dai dati, inventare nuovi format, tenere i giornalisti aggiornati e dotarli degli strumenti più avanzati, pensare al giornalismo dei dati, fare informazione non portali… Sono consigli di chi pensa che il giornalismo possa avere un ruolo autorevole, sia destinato a svilupparsi non ad andare in crisi, ma debba darsi una cultura dell’innovazione necessaria per operare nel mondo contemporaneo.

Questa posizione rispecchia l’evoluzione culturale di Google nel suo complesso. Che ha oscillato verso l’inseguimento della logica social, per scoprire che non è abbastanza forte in questo settore e quindi riscoprire – nella sua strategia – la centralità della conoscenza, della tecnologia e degli algoritmi. Google sta evolvendo ancora. E coglierne le sottili contraddizioni, che in fondo derivano da diverse impostazioni culturali delle persone che guidano Google (i manager concentrati sulla finanza, quelli concentrati sulla pubblicità, quelli che si occupano dei prodotti…), è un modo per alfabetizzarsi a uno degli strumenti che nel bene e nel male influiscono sull’evoluzione culturale contemporanea. Utenti alfabetizzati potranno a loro volta, forse, sostenere le persone che lavorano a Google e stanno tentando di mantenerla consapevole delle sue responsabilità culturali.

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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