Un cambio di passo politico, in Italia, è apparso ineluttabile grazie
alla massiccia dose di fatti che ha colpito l’economia italiana
nell’ultimo anno: un flusso di fatti tanto enorme che la diga posta
all’informazione dal vecchio sistema mediatico non è riuscita a contenerli. E se il nuovo indirizzo di politica economica
definito dal governo sarà confermato dal parlamento comincerà un
percorso nel quale la qualità dell’informazione sarà decisiva per la migliore definizione dei problemi, la chiarezza delle decisioni che verranno prese, la rispondenza delle aspettative sulle misure alle loro effettive conseguenze.
Sarà un’informazione orientata a costruire un terreno comune di conoscenze sui fatti, sul quale si divideranno giustamente le opinioni e le ricette.
La necessità di un cambiamento dell’informazione in questo senso è parallela alla necessità di fare emergere le reali condizioni dell’economia, alla chiarezza sull’urgenza e la direzione delle misure di risanamento e rigore statale, alla credibilità dei principi di equità ai quali si dichiara debbano essere ispirate le nuove regole, all’efficacia delle operazioni orientate alla crescita: l’efficacia di una politica economica non sta solo nei conti ma anche (e alla lunga soprattutto) nelle conseguenze che genera sulle azioni degli operatori economici, dai lavoratori agli imprenditori, dai consumatori ai risparmiatori, e così via.
Un paese reagisce unito di fronte alle difficoltà se ha un modo di informarsi coerente e unificante. Altrimenti ognuno va per la sua strada. In quel caso, i gruppi sociali entrano in conflittualità permanente. Gli operatori economici avviano un’estenuante contrattazione, cercano di evitare le regole che li penalizzano, tentano di massimizzare i propri vantaggi senza tenere in alcun conto la possibilità che le loro azioni possano contemporaneamente penalizzare gli altri. In questo frangente, prevale la giungla, la prepotenza, la violenza, la forza: qualcuno si arricchisce, molti si impoveriscono. I media hanno grandi responsabilità a questo proposito.
Si agisce in base a una visione su come stanno le cose. È chiaro che la visione del mondo dipende in una certa misura dal modo di informarsi, da quello che si apprende informandosi, dalla capacità di comprendere l’informazione. E le azioni che si compiono dipendono in una certa misura dalla visione del mondo. Dunque, si può dire che chi fa informazione influisca sull’azione dei singoli e dei gruppi e, di conseguenza, cambia il contesto stesso del quale fa informazione. Per questo per ricostruire un tessuto sociale decentemente collaborativo, rispettoso dei beni comuni e della pacifica convivenza, può avere molta importanza l’attività di fare informazione con un metodo chiaro, trasparente e condiviso. C’è una sorta di mutuo soccorso tra la crescita del patrimonio condiviso di conoscenze, l’adozione generalizzata di un metodo di ricerca trasparente che legittimi la produzione di informazioni e lo spazio dei beni comuni che arricchiscono la cultura, la società e l’economia di una popolazione.
C’è da chiedersi dove si stia andando a questo proposito. La domanda è importante, proprio oggi, vista l’urgenza di riformare il sistema dell’informazione per accompagnare il cambio di passo richiesto all’Italia.
Ebbene, si osservano novità positive. In un contesto stanco e affaticato da trent’anni di esperienze manipolatorie, superficiali, divisive.
L’epoca della televisione definita dal marketing editoriale, dalla logica dei target pubblicitari, dalla tecnologia top-down, era adeguata alla fase di rilancio dell’economia basata sui consumi e i debiti. Non lo è più nella fase di ricostruzione dell’economia produttiva alla quale dobbiamo dedicarci ora. Oggi si tratta di conoscere e cogliere le opportunità imprenditoriali fondamentali dell’economia sostenibile, della riqualificazione dell’impatto economico delle imprese sociali o socialmente avvertite, della generazione di valore aggiunto a partire dall’intensità culturale e di riceca degli innovatori. tutte opportunità che hanno bisogno di informazione ben fatta, di servizio, non manipolatoria e capace di ispirare con le idee e i fatti ad adottare una nuova prospettiva.
L’esperienza degli ultimi trent’anni, ha lasciato segni profondi. La società si è divisa.
La divisione più dolorosa, certo non dovuta solo ai media, è stata quella che ha separato i destini, i linguaggi e i modi di vedere il mondo dei giovani e degli anziani. Entrambe categorie deboli e tenute insieme solo da quello che resta (e resta molto) della famiglia, si trovano a vivere in modi diversi e senza solidarietà una condizione di difficoltà: entrare nel lavoro, avere prospettive, contribuire costruttivamente alla società, sono bisogni primari che giovani e anziani sembrano costretti a cercare di soddisfare in solitaria, ciascuno per conto proprio, e dunque con poche possibilità di farcela.
Il Censis mostra questa larga fascia di anziani italiani che non hanno altro modo di informarsi che la televisione mentre solo il 15% di loro (65-80 anni) è su internet. E intanto osserva come l’87% abbondante dei giovani si informi su internet. Informazioni diverse.
Ci sono molti dati che danno l’idea di un’Italia come paese di minoranze. Il dato spaventoso del 47% di italiani in condizioni di analfabetismo funzionale (Tullio De Mauro è persino più severo) è un’immagine della distanza tra gli inclusi e gli esclusi dalla circolazione delle conoscenze necessarie a vivere in una società complessa.
E del resto non si scopre ora la incredibile distanza tra ricchi e poveri italiani. Secondo l’Ocse il coefficiente di Gini italiano è prossimo a quello americano e inglese e lontano da quello più egualitario della Germania e della Francia.
Modi di vedere il mondo diversi. Diversa partecipazione. Diversa costruzione di network sociali. Diversa capacità di incidere sul futuro. E di cambiare il percorso che ci porta al futuro. L’informazione conta. Da questo punto di vista internet resta un’opportunità, ma non ancora una risposta. Le tendenze attuali, in questo senso, si innestano sull’esperienza degli ultimi trent’anni e non la possono modificare in poco tempo. Le innovazioni però sono possibili. E ora abbiamo anche un criterio per valutarle: le innovazioni migliori, nell’informazione, servono a unire sulla conoscenza dei fatti e a sostanziare le eventuali differenze di giudizio.
A parte il fatto che differenziare l’informazione televisiva da quellla internet, come se esistesse unifromitá, mi sembra una emerita assurdita’, é sempre tanto rumor per nulla, voler vedere il diverso nell’uguale, forse gli attori sono cambiati, ma il copione é lo stesso. Qualche “a parte” da guitto in piú, qualche furtiva lacrima, e sinceramente l’interpretazione é anche scadentina. ripeto, i bit sono stanchi, e piú si va avanti a paginate, piú si stremano.
Marco a me sembra che tu stia dicendo un’assurdità. L’informazione su Internet si consuma con modelli, partecipazioni e tempistiche molto diverse.
Inoltre non è necessariamente spinta dall’alto.
Spiegami cosa ci sarebbe di uguale. Sono curioso di sentire il tuo punto di vista.
Aggiungo: anche la demografia e gli stili di vita dei consumatori di informazione è differente fra i media tradizionali e quelli moderni…
Mi spiego subito, e mi scuso per l’oscurità apodittica, ma sono argomenti su cui sono tornato mille volte. Il fatto che il medium sia il messaggio è una questione mal posta. Internet ha la POSSIBILITA’ di fornire, o consentire di trovare, informazioni di maggiore qualità di quelle disponibili sui media tradizionali (mi sembra che qui si parli di TV, ma ci metto anche la carta stampata). E questo perchè esistono su Internet (perchè il medium lo consente) a) un numero immensamente maggiore di fonti (anche se bisogna cercarsele, e con fatica) b) user generated contents a due vie, su cui puoi appronfondire, come si può fare solo con i contatti personali. Ma tutto dipende da quale “pezzo” di Internet prendiamo in considerazione. Se leggo un sito internet di un giornale (o un giornale internet), non esiste a priori differenza nella qualità dell’informazione rispetto ad un giornale stampato (anzi, a mio parere per i giornali italiani la qualità è generalmente più bassa,a parte certi blog). E non esiste a priori una differenza di qualità tra un telegiornale o un programma di approfondimento TV e un giornale, ne’ di carta ne’ internet.
Dirò di più, appunto perchè c’è molto user generated content e rapporti pseudopersonali, su internet il lavoro di chi fa comunicazione è facilitato (è più difficile, ma qui si tratta di creare e diffondere memi)dall’abbassamento delle difese che tutti ormai abbiamo imparato ad alzare di fronte alla TV, per esempio.
Quindi, piuttosto che ripetere il clichè Internet = bene, TV = male, parliamo di qualità dell’informazione nel momento in cui viene e creata e nei modi con cui il recettore può difendersi da quella creata male.
Visto che questi argomenti stanno uscendo in occasione della crisi del debito, spiegatemi in che modo la presunta differenza tra i media abbia avuto un influsso sulla comunicazione dei vari attori(che è fondamentale, perchè stiamo parlando di offerta di informazione). Non perdete tempo a pensarci, ve lo dico io, nessuna.
Quanto al fatto che ci sia differenza demografica etc, sicuramente, ma in democrazia questa è una ricchezza e una opportunità, non un limite. E i partiti lo sanno, altrimenti perchè tutte le lotte per controllare la RAI ? E ci chiediamo mai perchè c’è questa differenza ? Indizio: un ragazzo ha orari diversi da un anziano. L’anziano mediamente è in casa quando c’è il telegiornale, il ragazzo è fuori con gli amici. Internet permette di avere informazioni anche alle 2 di notte o alle 3 del pomeriggio (e non costa). E poi c’è il fenomeno FB: quanta dell’informazione internet è mediata da FB ? Ma chi media l’informazione FB ? Gli “amici”, ma allora la qualità dipende dalla qualità degli amici… e allora si scopre che in realtà non si esce da una certa cerchia, un po’ come le chiacchiere da bar. Un progresso ? Boh ?
Quello che dici è tutto abbastanza scontato. Internet è piena di belle fonti ed è piena di monnezza. E’ diversa da un media tradizionale, è diverso il suo pubblico e questo trova fondamento nelle diversità demografiche, nella distribuzione della cultura, della ricchezza e via dicendo.
Il non uscire dalla cerchia, la segregazione culturale è possibile su Internet come sui media tradizionali. C’è chi ha provato a dimostrare che la rete ne aumentasse la “forza” per la possibilità di selezionare i contenuti da consumare. In un mondo con tanta varietà dove i punti di vista difficilmente si sovrappongono perfettamente, dove il numero di fonti a cui siamo sottoposti è così elevato, mi sembra difficile crederlo.
Non esiste a priori una differenza di qualità ma in verità è anche impossibile definire a priori cosa vuol dire qualità. Se possiamo sostenere qualcosa di pacifico è che la varietà generalmente aiuta la cultura, la democrazia e la società. Sulla rete c’è più varietà e questo per me già basterebbe. Ma è ovvio che non è abbastanza.
Ma la rete non costituisce una sostituzione a tutto ciò che abbiamo già. Non è tutto bianco o nero.
Dove vuoi arrivare Marco? Stai portando avanti una banale crociata contro la “gente comune”, alimentata da misantropia e superbia?
Vuoi dire che non basta una tecnologia a rendere tutti bravi, colti e intelligenti?
Troppo facile. Io mi tengo stretto Internet, senza avrei molte più difficoltà. Si esistono persone che non sanno sfruttarla, con l’esperienza saranno di meno e comunque non spetta a me decidere quali sono i furbi e quali gli stupidi. Il progresso dipende da ciò che identifichiamo come avanzamento. Non è una linea retta, è cambiamento.
Mai letto Thomas Kuhn o Feyerabend sul progresso scientifico? Le visioni cambiano, non si scopre di più, si fanno collimare più dati con dei sistemi teorici.
I bit sono stanchi di leggere critiche sterili. Non vedo dove De Biase abbia definito tout-court l’informazione online necessariamente più valida. Del resto è un giornalista del Sole 24 Ore, non un blogger nato sul web. E puoi trovare in questo blog discussioni su come la rete sia anche fonte di notizie scarsamente affidabili che si sviluppano in modo virale.
Sei sicuro che la banalità non sia più facile trovarla nei tuoi commenti?
Aggiungo: é sacrosanto dire che la TV non è necessariamente un male e Internet non è necessariamente un bene. E’ anche questo banale e scontato.
Ma resta il fatto che se è vero che il medium non è indice diretta di qualità è altrettanto vero che ci sono dei canali che sono più facilmente influenzati da gruppi di interessi (per storia, ciclo di sviluppo e via dicendo). Anche un blog, in ogni caso, può essere finanziato da un partito, un’azienda e chiunque altro.
E’ per questo che serve pluralismo. E difficilmente si può sostenere che le tecnologie dell’informazione non abbiano aiutato a incrementarlo nel tempo.
Non ho una tesi precostituita e non voglio arrivare da nessuna parte, non sono mica un blogger. Resisto però ad ogni tentativo di schematizzazione che non entri nel merito fino a sopra i capelli. Ma questi discorsi sugli analfabeti etc etc etc mi fanno venire l’itterizia. Sanno tanto di, antidemocrazia. E anche Kuhn e Feyerabend mi fanno venire l’itterizia, avendoli visti nascere al mondo (sono vecchietto, sai) e avendo letto la loro confutazione ad opera di Marcello Pera che, prima di trasformarsi in un mezzo fideista, era un filosofo della scienza serio. Non entriamo quindi in discorsi di lana caprina sul che cos’è la qualità, anche perchè altrimenti si finisce per dire che la qualità è internet semplicemente perchè siamo a favore di internet, QED. Nietzsche è morto da più di un secolo, cerchiamo di uscire dal consolatorio “esistono solo opinioni”. Dire che internet va sostenuta è come essere a favore della mamma e della torta di mele. Che cento fiori fioriscano etc etc etc. Ma continuerò ad annusarli uno per uno, a cercare di capire come sono stati coltivati e con cosa sono concimati. Delle etichette non mi fido.
Buon per te. Rimane il fatto che l’itterizia è tua. E’ chiaro che non vuoi arrivare da nessuna parte. Non c’è discorso.
Sembra solo vanità autocelebrativa.
Me le stai tirando fuori, ma non ho voglia di una flamewar, qui, poi. Se non capisci, mi dispiace, l’incapacità è tua. Se la tesi è: ci sono tanti modi di intendere l’informazione quanti gruppi sociali, ripeto, non si va da nessuna parte. Siamo alla vecchia costruzione sociale della verità, che è puro relativismo, con il quale non si procede, perchè se non esiste un terreno comune alla fine è il più forte (fisicamente) chi decide. Per questo i marxisti orfani si sono buttati su Kuhn e Feyerabend, per depotenziare le verità contrarie ai loro interessi facendole passare come verità dell’attuale classe dominante, sperando in cuor loro che la profezia marxiana avesse un fondamento e che la classe più forte diventasse poi la loro (relativismo assoluto come arma di lotta politica). Luca dice: la società è divisa (scoperta…), e sembra sembra) dare la “colpa” alla TV (semplifico, ma mica tanto), e dice, per riunire la società bisogna usare Internet. Io dico: fose, ma entriamo nel merito, e aggiungo, sino ad oggi non vedo cambio di metodo (e non è solo Monti che va da Vespa e vi fa incazzare). Entrare nel merito, mi sembra, equivalga a cercare di capire qual’è il tipo e il vettore di informazione che difende meglio la qualità dell’informazione (ossia, per me, quella che più ds avvicina alla realtà, Luca ha una visione più articolata, both-and, sia-sia, veltroniana, talmente tanto che secondo me si sfarina, ma quelo è il suo stile argomentativo). La mia posizione é: teoricamente forse internet, ma dipende quasi tutto dal recettore, non dal trasmettitore. Ossia, se hai voglia di approfondire, in qualunque delle categorie luchiane ricadi, vai avanti, se non ne hai voglia, resterai quello che sei anche se stai attaccato dieci ore al web. Tu, non ho ben capito cosa dici, forse che è inutile parlare di qualità, ma solo fotografare una situazione ? Va bene, fotografiamola. Click. Buona Immacolata.
Ahahah ce ne vuole per tirarti fuori le cose.
Ora è chiaro. Colpa mia o tua non m’importa. Ora ho bene in mente quello che dici.
Comunque, come si può esimere dai miei precedenti reply, non sono d’accordo (non ho mai parlato di fotografia, ma di pluralismo inteso come forza positiva per la crescita culturale). Poi sono punti di vista ovviamente.