Home » Approfondimenti » Economia Felicità » Dopo trent’anni – Dalle macerie alla ricostruzione
Economia Felicità visioni

Dopo trent’anni – Dalle macerie alla ricostruzione

Lunedì densamente simbolico. La fine un periodo storico. Un nuovo inizio. All’Institute for the Future dicono sempre che per guardare avanti di qualche anno, occorre ricostruire la storia di qualche decennio. E la storia appena passata è densa di informazioni.

Per trent’anni il mondo occidentale, sotto la guida dei paesi anglosassoni, ha subito un cambiamento culturale profondo. La generazione di senso si è concentrata sul paradigma economico e la leadership dell’economia è stata assunta dalla finanza, mentre l’economia reale veniva ricentrata dalla produzione al consumo, dall’organizzazione della fabbrica al marketing. La narrazione fondamentale si è spostata dalla soluzione dei problemi materiali alla costruzione di bisogni, dalle strutture alle mode: dal lungo termine al breve termine. La televisione commerciale è stata la regina assoluta del sistema dei media perché era sostanzialmente predisposta per questo passaggio culturale fondamentale.

Vecchie solidarietà, vecchie forme di protezione delle categorie sociali, vecchi privilegi sono stati attaccati. Istituzioni che non si sono adeguate sono state spiazzate. La finanza costruiva la realtà, il marketing la raccontava.

Non era certo una tendenza storicamente insensata. Corrispondeva alla fine della contrapposizione tra classi sociali, al rimescolamento dei ceti e alla ridefinizione delle strutture produttive. Ma divideva la società in una quantità di minoranze, alimentava le divisioni in gruppi di interessi, favoriva l’emergere di identità valoriali. Mentre la finanza privilegiava i numeri e omogeneizzava i significati, il marketing costruiva lo storytelling intorno a orientamenti culturali e caratteri sociali che non raccontavano una società ma molte società diverse e separate. I concetti di classi sociali e di ceti descrivevano le società in modo che ogni gruppo era relativo e funzionale agli altri, sicché ciascuno conosceva il proprio posto nell’insieme. In questa fase invece prevaleva la nuova classificazione impostata dal marketing: che aveva elaborato il concetto di target e che a sua volta si riferiva alla nozione, piuttosto nuova, di “stili di vita”: i gruppi sociali non erano mutuamente funzionali e neppure troppo comunicanti, ma derivavano da categorie culturali, psicologiche e sociali, relativamente stabili. Ne veniva fuori un’idea di società che non era più un organismo unitario ma una giustapposizione di “etnie” diverse. A loro volta formate da individui sempre più separati. La solitudine era in questo contesto non soltanto un’esperienza quotidiana, ma anche il riflesso della fine delle solidarietà. Il valore centrale era quello di consumare, la misura del successo era finanziaria, la competizione era tra tutti contro tutti. Il governo si poteva concentrare nelle mani dei pochissimi che avevano enormi mezzi e che si apprestavano ad approfittare di questa fase storica per accumulare una distanza economica enorme dalla base della società. Le funzioni che riguardavano la coesione sociale, come quelle dei maestri e dei professori, perdevano valore sociale, mentre aumentava il valore sociale di coloro che consumavano tanto e di quelli che accumulavano tanto denaro. L’ascensore sociale non esisteva: esisteva la legge della giungla in cui ogni mezzo era buono per raggiungere l’unico fine sintetizzato dal denaro. Chi non correva in sincrono con questa trasformazione si trovava spiazzato. Chi riusciva ad approfittare era vincente.

Il paradigma espansivo della fase dell’industrializzazione poteva proseguire, ma cambiando sostanzialmente di significato: non era più sostenuto dalla crescita della produzione e dalla soluzione di problemi materiali forti, come la ricostruzione dei paesi devastati dalla guerra, ma avveniva alimentando bisogni di consumo e pagandone la soddisfazione aumentando il debito e la dipendenza dalla finanza.

I valori e le identità sociali si modificavano. Lasciando dietro di sé persone che non  conoscevano il loro posto nel mondo, la prospettiva sociale che potevano costruire, ma soltanto il loro rapporto tra entrate e uscite monetarie e la quantità di consumi che si potevano permettere. Ciò che non creava ricchezza in breve termine non aveva valore. Le leggi, la profondità culturale, il senso del dubbio dei ricercatori, la scuola, perdevano peso rispetto all’interesse individualistico, alla brillantezza televisiva, alla produzione di slogan. E tutta questa trasformazione avveniva in un costante e martellante bombardamento di notizie, immagini, affermazioni ripetute, capaci di distrarre da tutto ciò che non fosse coerente con il paradigma.

Oggi, la cortina fumogena si sta dirandando. E dietro si vedono le macerie culturali che lascia.

Solo vedendo quelle macerie si può cominciare a ricostruire. In base a progetti non mutuati da un passato che non ritorna, ma da valori di lunga durata che si leggono e riconoscono solo uscendo dalla trappola del breve termine. Sono fonti di energia sociale e culturale rinnovabili che si contrappongono al sistema insostenibile del consumismo indotto dall’ipertrofia dei messaggi del marketing televisivo e al sistema insostenibile dell’indebitamento: dal reality si riconquista la realtà. Dall’informazione-spettacolo si riconquista l’informazione al servizio della ricerca e della conoscenza di come stanno le cose.

L’impostazione del lavoro di ricostruzione parte dalle strutture fondamentali che sono emerse in questi anni nei quali non c’è stata solo la crisi del modello precedente ma anche la predisposizione di nuove istituzioni contemporanee e adatte al nuovo contesto, fondato sui grandi fenomeni della globalizzazione, della digitalizzazione, dell’economia della conoscenza.

Le nuove opportunità si colgono osservando le grandi tendenze che emegono in questa caotica fase di passaggio. Da dove viene il valore? Per che cosa vale la pena di dare la vita? In che modo si può definire il progresso?

È chiaro che mentre il bombardamento degli ultimi trent’anni abbatteva vecchie strutture culturali, nuove idee e realtà emervevano. E sono coerenti con la tensione verso il recupero della lunga durata come dimensione costruttiva. I punti di riferimento emergenti nella definizione dell’idea di progresso sono quelli della qualità ambientale come bisogno materiale emergente, della profondità culturale come fonte di valore nell’economia della conoscenza, della intensità delle relazioni tra le persone come generatore di esperienze di felicità.

Le opportunità di internet si sono fin qui concentrate sulla sostituzione di alcune delle storture precedenti: dall’ipertrofia della comunicazione standardizzata della televisione all’inefficienza di alcuni mercati dei beni immateriali. Ma la ricostruzione porterà a un uso molto più profondo e innovativo della rete. Che corrisponde non a una nuova tecnologia ma a una nuova dimensione della socialità, a un’accelerazione della dinamica culturale, a un ampliamento dell’accesso alle opportunità. Si tratta di liberare queste forze innovative incentivando le visioni orientate al lungo termine. Imho.

Commenta

Clicca qui per inserire un commento

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

Video

Post più letti

Post più condivisi