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Metodo scientifico nell’informazione / update

Si diceva in un precedente post che Robert Niles sostiene che i giornalisti dovrebbero imparare il metodo scientifico. E ne scrive sulla rivista di Online Journalism (Ojr). Sull’argomento torna Matt Thompson con un pezzo che va letto. E riletto. Per gli impazienti si conclude così:

“Journalism isn’t science, and science isn’t perfect. In fact, there are many ways that the field of science is falling behind journalism in adapting to changes in our society. But I’ve only started to scratch the surface of how journalism can build on the practices science has evolved. I’m really interested to hear how journalism might benefit from concepts analogous to peer review and theory construction.


So, keeping with Lippman’s exhortation that we approach journalism in “the scientific spirit,” let’s make this an ongoing conversation, not an end point. I hope to continue this discussion in a SXSW session I’ve pitched with my friend Gideon Lichfield, a journalist with the Economist who has two degrees in the philosophy of science. And I invite you to share your thoughts with me in the comments section of this story.”

Al post precedente avevano aggiunto le loro considerazioni:

Mario Todeschini Lalli:
Sono uno storico per formazione, quindi il riferimento di Luca al
metodo storico per il giornalismo non può che trovarmi d’accordo al
centro per cento. Tuttavia, nel nostro Paese, dove la cultura
scientifica continua ad essere considerata solo come “tecnica”(provate
a contare quante lauree in materie non umanistiche si trovano in una
redazione classica) l’appello di Niles mi sembra particolarmente utile.
Tanto più che di tutto il metodo scientifico, alla fine per il
giornalismo punta essenzialmente sulla verifica e – specialmente –
sulla verifica reciproca.
E’ un punto essenziale del metodo scientifico, lo è anche del metodo
storico (nella misura del possibile), dovrebbe essero costitutivamente
del metodo giornalistico. Sappiamo tuttavia che non è così. Anzi,
nelle redazioni tradizionali c’è una tendenza a ignorare quello che
fanno gli altri a meno che non ci sia una ragione politico-editoriale
per fargli le pulci.

ed Emanuele:
A pensarci emerge la criticità del giornalismo, che non ha il
paravento di una metodologia per la ricerca solida, tanto da renderlo
immune in un suo proprio paradigma. Dovrebbe attingere a tutti e tre i
metodi e rendere pertinenti i tre tipi di conoscenza che alimentano una
notizia. La conoscenza diretta, ovvero i fatti più o meno grezzi con
cui il giornalista entra in contatto, la conoscenza competenziale che
con l’esperienza gli permette di sapere come trattare una varietà di
valori notizia e le fonti conoscitive, che lo mette nelle condizioni
di verificare se una conoscenza è vera con una molteplicità di
testimonianze: documenti, memorie, dati, credibilità del testimone.
Un’aspetto interessante sarebbe quello di far emergere anche i
presupposti non verificabili o non verificati degli assunti teorici che
guidano la propria teoria, o meglio quale teoria implicita orienta la
sua conoscenza. Ogni professione ne ha a vari livelli, dai più
generici fino a quelli che caratterizzano la persona. Provo a rendere
l’idea con una situazione banale avvenuta la settimana scorsa. Mi sono
recato all’agenzia delle entrate per chiedere delle spiegazioni in
merito una dichiarazione dei redditi per un famigliare. Il mio intento
era conoscere la correttezza delle aliquote applicate ma quello che in
realtà cercavo era di verificare se avessero commesso un errore (un
pò come la falsificabilità Popper). Alla prima domanda postami dal
funzionario per sapere la mia esigenze, ho risposto che “volevo fare
una verifica”, e dallo sguardo sbalordito con cui mi ha guardato ho
avvertito che avevo toccato un termine tecnico inappropriato. Nel loro
implicito “verifica” significa riscontro dell’illegalità e non della
correttezza, come è ovvio infatti. Per il giornalismo credo che siano
molto rilevanti le assunzioni sul concetto di verifica, difficilmente
possono essere trattate alla stregua di quelle di un venditore di
hamburger, al quale basta contare il numero di teste che lo hanno
gradito.

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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