Mentre tutti i giornali tentano di capire come farsi pagare il loro servizio in rete, pochi ci riescono davvero. Perché in rete c’è tale abbondanza di informazione gratuita che una via alternativa al pagamento del prezzo del biglietto sembra sempre disponibile.
In rete, dunque, si tende a pagare se è “bello”, “giusto”, “figo” pagare.
Per questo alcuni tentano la via della “membership”: si invitano i lettori a partecipare a un progetto comune. Non è una strada per tutti. Occorre che il progetto sia davvero comune e accomunante. E’ particolarmente difficile per gli editori molto “profit oriented” e percepiti come molto “potenti”. Ma anche i nuovi entranti devono accreditarsi prima di riuscire su questa strada.
Gli esempi citati su NiemanJournalismLab: MinnPost, GlobalPost, Texas Tribune.
Vedo che funziona, ltre che per analisti, knowledge houses, etc, anche con gli aggregatori, ma di cose raffinate e/o specialistiche. Come dici tu, non è per tutti, c’è da farsi il mazzo, devono risconoscere che sei uno che ne sa e che ne capisce, anche se non sono sempre d’accordo con i tuoi giudizi. Il business model, temo però, è vecchio come il cucco…. solo il mezzo è nuovo. Ma evviva lo stesso.
Proviamo ad assimilare un giornale in crisi a un museo che ha pochi paganti. E lasciamo anche perdere il passato e tutti gli errori che ha fatto.
Ora la conseguenza è che non ha reddito e proprio per questo vorrebbe introdurre altri sistemi di pagamento (o alzare il prezzo del biglietto) ma così aggraverà la propria situazione. Infatti selezionerà e discriminerà all’ingresso la propria clientela quando invece dovrebbe far entrare tutti. Poi, per chi vuole toccare, scattare foto, stampare o portarsi qualcosa a casa (insomma: essere attivo) costui è candidato a pagare. In altre parole, dopo la garanzia della qualità offerta, potremmo arrivare che chi vuole partecipare chiederà di pagare. Lo so, sembra assurdo ora, ma quando falliranno gli odierni paywall ne riparliamo.