Riccardo Luna pubblica in una nota su Facebook – in anteprima – un mio contributo al prossimo numero di Wired Italia:
Content is king, si diceva: il contenuto era il Re Media che
trasformava in esperienza di valore il frutto del lavoro delle
tipografie, dei network televisivi, delle compagnie di
telecomunicazioni, dei costruttori di piattaforme digitali. Ma internet
è una repubblica. E in internet il Re conta fino a un certo punto: in
ogni caso non per diritto di nascita, ma casomai solo se si mette come
tutti al servizio della cosa comune. Il che vale anche per il
giornalismo.
Il pubblico reagisce con molta flemma alle lamentazioni dell’industria
editoriale che denuncia il calo delle copie dei giornali e la presunta
concorrenza della gratuità internettiana: non potrebbe essere
altrimenti, visto che in effetti è proprio il pubblico a generare i
sintomi motivanti di quelle doglianze. Ma non ne è la causa: è
semplicemente l’arbitro, il giudice insindacabile della qualità dei
giornali in rapporto ai suoi vincoli di bilancio – di tempo e denaro –
e ai suoi interessi alternativi. Le opportunità che internet ha
dischiuso al pubblico che le ha volute – e potute – cogliere
attivamente hanno generato esperienze ormai imprescindibili anche
nell’accesso all’informazione: dai blog ai wiki dallo scambio di foto e
video ai social network, il nuovo medium delle persone ha ridefinito il
contesto di tutte le vecchie gerarchie mediatiche. Il mutamento è
definitivo. E probabilmente era tempo che avvenisse.
Sicché della troppe volte annunciata “morte dei giornali” si
preoccupano prevalentemente i giornali. Ma questo dibattito sarebbe
certamente più appassionante per il pubblico se riguardasse non la
difesa di ciò che esiste ma la costruzione di qualcosa di meglio. E, se
così fosse, tra l’altro, avrebbe qualche possibilità di risolversi.
Avverrà. I giornalisti saranno chiamati a fare bene i giornali. Ma,
paradossalmente, non basterà. I giornali non sono la loro carta, ma la
relazione dei produttori professionali di informazione con il pubblico
evolverà anche in base all’innovazione dei mezzi sui quali quella
relazione si sviluppa. La funzione degli editori è quella di trovare le
soluzioni imprenditoriali e tecniche per portare l’informazione al
pubblico. Per trovarle dovranno trasformarsi in imprese che sanno fare
ricerca, sperimentare, innovare. Velocemente. Con metodo. Con visione.
I mezzi digitali, da questo punto di vista, non sono più una minaccia.
Sono una realtà. Come sempre nella cultura internettiana, ogni novità è
una potenziale opportunità. L’annuncio dell’iPad della Apple è stato
visto in questo modo, soprattutto alla luce della strada fatta dalla
Apple con il sistema iPod-iTunes nella riqualificazione del business
della musica digitale, disastrato dal panico con il quale, sulle prime,
le etichette avevano reagito alla rivolta del peer-to-peer. Il
suggerimento implicito nella piattaforma che accompagna l’iPad è
affascinante: non essendo né musica né libri, i giornali potrebbero
essere dunque concepiti come applicazioni. Cioè programmi per
organizzare i flussi di informazione e per sviluppare specifici modelli
di business. Con design e funzioni molto innovative. E potenzialmente
tanto attraenti da motivare persino un pagamento da parte del pubblico.
Ma gli editori non ci arriveranno aspettando che l’iPad cada dal cielo.
La vittoria della cultura internettiana sta nella consapevolezza che,
anche nel mondo dell’editoria, il futuro non è quello che succederà, ma
quello che costruiamo.
Riccardo Luna si accomoda con chi da il crucifige ai giornalisti come se questi avessero mancato al loro dovere di dare le notizie.
Considerata la struttura proprietaria dei nostri giornali può sembrare che i ns giornalisti abbiano messo in crisi i giornali perchè omettono o distorcono, (cosa che non è, salvo noti e pochi pennivendoli).
Però i giornali sono in crisi in tutto il mondo, anche negli USA dove si può sbattere fuori un Nixon e sbeffeggiare una Palin.
Allora, qual’è la ragione della crisi?
Non certo Internet (come fa piacere pensare ai geeks)!
La crisi non è delle notizie ma è crisi della pubblicità perchè tutta l’industria dell’advertising ha smesso di mandare messaggi pubblicitari ed è tutta presa dall’esibizionismo di fare campagne che facciano schiattare il fegato agli altri pubblicitari.
La pubblicità ha perso il senso e la gente non la guarda più, e siccome i giornali e i magazine si sfogliano per guardare la pubblicità è chiaro che la gente non li compra più perchè la gente non ha i mezzi per capire l’astrattismo di certa comunicazione pubblicitaria ormai forma d’arte, molto astratta!