Dal 2004 a oggi, i giornali hanno più che raddoppiato il numero di
articoli nei quali parlano di giornali.
Ma le persone che usano il web
hanno più che dimezzato il numero di ricerche online contenenti la
parola “newspapers”.
Lo si può verificare, con tutte le cautele
metodologiche del caso, consultando Google Trends.
Il che suggerisce
che il problema dei giornali nell’epoca di internet cambia a seconda
dei punti di vista. Per il pubblico, le difficoltà dei giornali non si
traducono – apparentemente – in un problema (per esempio in una scarsità di informazione). Anzi. La
sostenibilità del business dei giornali preoccupa invece chi vi si dedica
professionalmente ma non chi ne fruisce in cambio di un po’ di
attenzione per le inserzioni pubblicitarie.
Il problema è che le questioni sono in parte sovrastimate e in parte sottostimate.
Sovrastimati:
1. problemi del business degli editori
2. problemi dell’attenzione del pubblico
3. problemi della pubblicità online e offline
Sottostimati:
1. problemi del filtro critico dell’opinione pubblica
2. problemi del filtro critico dei giornalisti
3. problemi di organizzazione strutturale della produzione dei contenuti
L’informazione c’è e ci sarà. Cambierà piattaforma e troverà il modo di sostenersi. Alcuni editori andranno in crisi, alcune carriere andranno a rotoli… Altri editori e altri giornalisti emergeranno. Il pubblico darà attenzione a quello che la merita. E la pubblicità troverà il modo di influenzare i consumi.
Il filtro è la questione culturale centrale. E l’organizzazione è la sua incarnazione strutturale. L’obiettivo di una riforma del mestiere di chi fa informazione è necessariamente concentrati intorno a queste questioni:
1. come attuare consapevolmente il programma di riformare i filtri culturali con i quali interpretiamo la realtà;
2. come organizzare le relazioni tra giornalisti, pubblico attivo, pubblico di esperti, in modo che emergano le informazioni e circolino nel modo più libero e intelligente…
Credo che Internet metta in discussione l’attuale informazione proprio perché rende evidente il carattere del giornale come prodotto. E’ come se si svelasse il trucco, che pure è noto a tutti.
In quanto prodotto, il giornale ha una sua funzione anche sociale, non solo informativa: serve alla nostra identità. Non ricordo se Moretti o chi prendeva in giro quelli che giravano con l’Unità che usciva dalla tasca della giaacca per far vedere che erano compagni (ma quanti anni fa è successo?) Hai voglia a metterti un giornale online in tasca, a meno che non tieni l’IPhone acceso alla cintola, ma mi sembra poco fine.
Andrebbe esplorato che cosa ha sostituito questa funzione identitaria dei giornali cartacei e se internet è in grado di farlo.
Be’, dal punto di vista dei lettori l’offerta di notizie e approfondimenti è aumentata: lo sviluppo di internet ha aumentato la quantità di canali e (perlomeno all’apparenza) di fonti rispetto alla pur consistente pletora dei mass media tradizionali.
Poi c’è la questione della qualità dell’informazione. Avendo a disposizione più fonti, e però lo stesso tempo per leggerle o addirittura anche meno tempo, i lettori fanno una automatica cernita in base alla qualità che percepiscono. Se i telegiornali sono deludenti, le immagini le si va a cercare su YouTube… che peraltro a volte è utilizzato come fonte di materiali proprio dagli stessi tg. Se gli articoli pubblicati sui quotidiani e periodici italiani sono deludenti, si va a cercare in internet il giornale online straniero, oppure il blog di cui si è imparato a fidarsi. E in questo senso i tagli draconiani che gli editori tradizionali impongono al proprio personale (licenziando i professionisti e allontanando i collaboratori diminuendo loro i compensi invece di premiarne la crescita nel mestiere) non vanno certo a vantaggio della confezione di buoni prodotti.
Mentre i mass media si parlano addosso tremolando, il pubblico è sempre più informato.
“il pubblico è sempre più informato.”
Cosa ???? ahahahahahah. Che invece che 160 morti, la suina (non nel senso di maiala) ne aveva fatti 7 ? Scusa, ma considero “7” informazione, non 160. peccato gli “informatori” tutti continuano con i 160.
Ammettiamo anche ora nessuno sa quanti sono i morti, qual’è il rischio di contagio, come si è diffusa e tant’altro.. Si parla di ceppo H1N1 ma a rigor di logica e con due nozioni di biologia è pressoché impossbile, quindi addio anche al suino. Se fosse tale genotipo il ceppo significherebbe soltanto fuga da laboratorio, quindi allo stato dei fatti è solo stato d’allarme.
Un’occhiata a quest’intervista fatta in tempi non sospetti chiarisce la questione sull’H1N1
http://www.molecularlab.it/news/view.asp?n=3988
La prima questione serebbe da pretendere chiarezza istituzionale sulla natura genotipica del virus. La televisione blattera sull’antiallarmismo e sulla non virulenza del ceppo, ma è vero? L’H1N1 è molto virulento a quanto dicono gli immunologhi.
Riporto la dichiarazione dell’intervista: “La pandemia potrebbe verificarsi quando i ceppi di influenza umana e aviaria dovessero iniziare a combinarsi tra loro. Alcuni ritengono che dovrebbe esserci una nuova combinazione in grado di coinvolgere i suini. Molto probabilmente, se ciò accadesse, il virus si adatterebbe a vivere in un ospite umano, il che ne consentirebbe la diffusione. Non dobbiamo preoccuparci, bensì prepararci. La copertura delle vaccinazioni aumenterà al 33 per cento entro il 2010. Tuttavia tali vaccini copriranno solamente l’UE e non potranno prevenire una pandemia”, ha sostenuto”.
Un pò allarmante in effetti.
Il Problema della qualità dell’informazione è strettamente connesso al problema del business
PRIMA EQUAZIONE
Qualità + Modello di business innovativo per l’online
uguale
Possibile rendita economica dell’informazione 2.0
SECONDA EQUAZIONE
Qualità + Modello di business tradizionale
uguale
Non rendita economica dell’informazione 2.0
TERZA EQUAZIONE
Non Qualità + Modello di business innovativo per l’online
uguale
Rendita economica dell’infotainment
QUARTA EQUAZIONE
Non Qualità + modello di business tradizionale
uguale
Grossa crisi dell’editoria, posti di lavoro persi, precariato, qualità ancora minore
Pssst, pandemia non vuol dire morìa generale.