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Martel e l’eterogeneità della rete

È davvero superata l’epoca della globalizzazione per via internettiana. Quella annunciata, sbagliando dalla giornalista dell’Economist Frances Cairncross nel suo libro Death of distance nel lontano 1987. Quella ideologicamente proposta da Thomas Friedman in The world is flat. La distanza è rimasta e il mondo si è complicato. La separazione tra chi non è connesso e gli altri resta fisicamente palpabile, economicamente spiegabile e culturalmente precisa (il digital divide è sempre meno infrastrutturale e sempre più anche economico, culturale e anagrafico). La distanza tra darknet e rete convenzionale non fa che crescere. Le diverse interpretazioni delle leggi nazionali in relazione a internet non fanno che scontrarsi: non solo tra i regimi autoritari e quelli democratici, ma anche tra le democrazie occidentali. Lo dimostra la diversa interpretazione della privacy in Europa e in America, con la crescente pressione del governo americano sulle multinazionali del web per accedere ai dati delle persone ovunque si trovino nel mondo e la difesa dei diritti europei lanciata dalla Corte di giustizia. E la Commissione europea che prevede la creazione di nuove reti non neutrali per scopi specifici e nuovi business non fa che aumentare il senso di una separazione. Preservare uno spazio per l’internet neutrale, interoperabile, standard, è una battaglia per l’ecologia della rete. È il frutto di una concezione del bene comune della conoscenza umana. Non è certo la sola tendenza in atto. Ciò che sembra vincente, al momento, è la separazione della rete in molte reti.

È molto interessante dunque il libro di Frédéric Martel, Smart, Inchiesta sulle rete, uscito in italiano con Feltrinelli. Nel suo libro precedente, Mainstream, Martel vedeva l’avanzata della cultura omogenea globale con i media tradizionali. In Smart invece vede la crescita della territorializzazione con internet. La rete per Martel non riguarda tanto l’informazione, o la comunicazione, ma soprattutto la conoscenza. Esalta e sottolinea le differenze, alimentando le identità e le attività di comunità. Nella differenza tra i due libri, entrambi realizzati con una lunga inchiesta sul campo, Martel aggiunge stimoli per la riflessione. Non si esime dal guardare alla possibile balcanizzazione di internet dovuta alle diverse normative nazionali. Ma soprattutto insegue le diverse interpretazioni culturali dell’uso di internet. E viaggia tra l’America del nord e quella del sud, tra l’Europa e l’Africa, nelle diverse Asie. Si addentra nelle città, più o meno intelligenti. Ritrova le comunità locali. E sente che internet non è un medium come quelli che aveva studiato in precedenza. La sua storia è in pieno movimento. La sua tecnologia si sta fondendo con il territorio, man mano che l’accesso diventa mobile.

Per i media precedenti valeva un pensiero industriale e consumistico, forse. Ma per internet vale un pensiero ecologico.

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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