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Informazione di mutuo soccorso e sistemi anti-bufala

La qualità del controllo dell’informazione migliora o peggiora? È un tema ricorrente da quando la rete ha aperto le porte a moltissimi che vogliono fare informazione. Anche di questo si parla oggi al Palazzo Ducale di Genova, a un convegno dell’Auser.

Il tema si declina spesso in termini di maggiori o minori possibilità di conoscere quali sono le notizie controllate e quali sono le bufale.

Le risposte si dividono ma difficilmente soddisfano:
1. I fiduciosi dicono che la maggiore disponibilità di informazione consente a più persone di esprimersi; starà poi al pubblico farsi un’idea. Ma il pubblico non ha tempo di farsi un’idea autonoma. E questo fa passare indubbiamente un sacco di bufale.
2. Gli scettici dicono che era meglio quando a controllare erano i giornali. Ma la storia insegna che le bufale sono passate anche sui giornali.

Il caso Boffo, tanto per fare un esempio, era tutto sulla carta stampata. Ma tanti altri casi sono su internet. La differenza casomai sta nel fatto che le probabilità di incappare in una bufala o in un piccolo caso Boffo sono cresciute, con l’aumento delle persone che possono produrre informazioni e bufale.

Un tempo la disinformazione, le bufale e le imprecisioni erano prodotte da poche persone, passavano da pochi media e riguardavano spesso persone importanti. Oggi si sono diffuse a strati più ampi della popolazione, dispongono dei mezzi per farsi notare e si sviluppano per motivi anche più futili: basta mettere in giro una bufala ben fatta per avere più traffico sul proprio blog o sul proprio account di Twitter.

Sarebbe assurdo concluderne che la situazione è peggiorata. Ma resta il fatto che di fronte a problemi come questi le persone responsabili cercano soluzioni.

Questione di metodo e pratiche.. Possiamo dire che i giornali ritorneranno a essere il baluardo anti-bufala per cui alla fine ritroveranno in questo modo il loro significato?

Per esempio. Verrebbe da dire che se una storia è una bufala non dovrebbe essere pubblicata dai giornali. Oppure andrebbe pubblicata per dire che è una bufala. Il fatto è che oggi, nel pieno della crisi editoriale, se i giornali non sanno se è una bufala tendono a scegliere tra due strade: qualche volta cercano di saperne di più; altre volte, se come spesso succede non hanno tempo ne parlano come di una cosa incerta. In quel caso, pensano di fare bene il loro lavoro riportando la storia e dicendo che qualcuno la sostiene mentre altri la definiscono una bufala. Alla fine il lettore ha l’impressione che gli resta in base ai suoi preconcetti. O alla sua voglia di buone o cattive notizie.

La strada migliore è che il giornale si faccia un’idea in base a un’inchiesta e decida se è o non è una bufala. Se è una bufala e se proprio ne deve parlare, si impegni a far capire bene ai lettori che è una bufala documentando i fatti. Ma ci vuole impegno e tempo.

La strada peggiore è che qualunque storia che appare interessante o curiosa trovi una strada nel flusso delle notizie lasciando il suo strascico di convinzioni. Anche se è una bufala. E il pubblico ne esce disinformato. Con l’impressione che non ci sia molta differenza tra quello che esce su internet e quello che esce sui giornali.

Con i media digitali non cambia molto dal punto di vista sostanziale. Ma appunto i fenomeni di cui parliamo coinvolgono molte più persone, più o meno importanti, sia tra coloro che diffondono bufale, sia tra coloro che le leggono e diffondono.

Si scopre che non è una cosa che si possa affrontare individualmente.

Quando ti trovi coinvolto in una bufala non riesci a far finta di niente. Al massimo ti consoli pensando che questa volta ti trovi inserito in una storia falsa e ti senti criticato ingiustamente, ma altre volte qualcuno ti ha attribuito meriti esagerati. Non è che una magara consolazione. Serve solo a sentirsi saggi.

Vorresti ripristinare la realtà dei fatti. Ma il flusso di notizie, bufale e non, fluisce. Tra retweet, titoli di giornali, chiacchiere più o meno solidali.

Niente di tutto questo resta. Ma tutto ha conseguenze. Meglio concentrarsi sulle conseguenze importanti. E queste sono meno personalistiche, sono più un lavoro collettivo. Responsabilità, reputazione, valore civico dell’informazione hanno bisogno di un terreno comune, almeno metodologico, che aiuti a limitare i danni e ad aumentare lo spazio dei fatti documentati.

Si deve sperare, e lavorare per costruire, uno spazio metodologicamente corretto, nel quale ci si comporti esplicitamente seguendo i principi dell’accuratezza, della completezza, dell’indipendenza e della legalità, fatto da persone di buona volontà e di responsabilità, che lavorano nella mediasfera, nei giornali o su internet, accomunate dallo stesso spirito civico. La scommessa è che si sviluppi una sorta di crap detector collettivo in grado di isolare le bufale e renderle meno pericolose.

Questo è uno degli argomenti che portano all’esigenza di lavorare per lo sviluppo di un’informazione di mutuo soccorso che, in questa fase pionieristica di costruzione del sistema dei media del futuro, le persone possono sviluppare per aiutarsi insieme contro i predatori dell’attenzione.

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  • A volte basta pero` poco per verificare la veridicita` di una notizia. magari andare alla fonte e fare un po’ di ricerche. Da parte nostra ( noi lettori, fruitori delle notizie ) ci vorrebbe un po’ piu` di diffidenza, ed evitare di far girare notizie sui social network pensando cosi` di aiutare la nostra community di riferimento.
    Ma e` anche un problema di maturita` nel vivere la Rete. Molti degli utenti FB o Twitter sono “adolescenti digitali”

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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